Una tesi rivoluzionaria: poichè aumentano i crimini consumati nelle famiglie bisogna abolire la famiglia

omicidi_famigliadi Bruto Maria Bruti

Karl Marx e Friedrich Engels, padri del comunismo, scrivevano il loro comandamento:  “Abolizione della famiglia !”

(Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista, trad. italiana, Einaudi, Torino 1974, p.152 )

Il senatore progressista Luigi Manconi, nel suo articolo “Erika e la casa prigione” (Il Resto del Carlino 18 marzo 2001, p. 25), cerca di identificare il nemico che ha spinto Erika all’uccisione della madre e del fratellino. I suoi sospetti si indirizzano soprattutto verso la famiglia intesa come istituzione in grado di determinare gravi patologie nei giovani.

Egli scrive testualmente: «(…) non è estremistico affermare che la famiglia può risultare criminogena: può produrre, cioè traumi, patologie, delitti».

Manconi afferma che una tale verità può essere terribilmente dolorosa, ma è segno di maturità riconoscerla. Se la famiglia può essere criminogena, le strategie di salvezza devono consistere nel ridurre l’autonomia della famiglia tradizionale a favore di una sua “immersione” nella società.

In realtà, se è vero che l’educazione familiare può essere sbagliata e può anche formare in modo deviato un individuo, è anche vero che le ricerche scientifiche più recenti dimostrano che ogni esperimento alternativo alla famiglia è di per sé nocivo alla formazione della personalità.

Il grande neuro-psichiatra infantile Renè Spitz ha dimostrato che l’ assenza della madre, nella prima infanzia, provoca nel bambino una sfiducia originaria verso gli altri, a tal punto che questi individui, cresciuti senza un amore stabile, continuo e personalizzato, divengono adulti pieni di risentimento e di odio.

L’etologo Irenaus Eibl-Eibesfeldt, che dirige in Germania il centro di ricerche per l’etologia umana, ha studiato a lungo alcuni esperimenti di abolizione della famiglia naturale o tradizionale. In particolare ha studiato la vita che si svolge nelle cosiddette famiglie aperte costituite dalle comuni anarchiche, dove i figli sono in comune, dove c’è l’amore libero e dove viene negata ai bambini ogni forma di proprietà. In realtà, questi bambini, al contrario di quanto certe filosofie hanno sempre sostenuto, diventano violenti, egoisti, asociali, senza capacità di amare.

Dice Eibl-Eibesfleldt che solo chi ha imparato da piccolo ad amare i genitori e i fratelli può amare più tardi la collettività perché solo lui è capace di vedere dei fratelli negli altri uomini. Amore e fiducia si sviluppano solo passando attraverso una famiglia tradizionale. Ancora, la negazione della proprietà a questi bambini ha determinato, negli individui diventati adulti, mancanza di amore per le cose che usano, di amore per il lavoro che svolgono e quindi mancanza di stimolo all’azione, mancanza d’ iniziativa e incapacità di dare vita a processi di progresso culturale e sociale.

L’incapacità di avere, di possedere, determina, inoltre, l’incapacità di dare, di donare, di condividere e di aiutare gli altri.

La famiglia può essere criminogena ma ogni esperimento alternativo alla famiglia è criminogeno e oggi, per la mancanza di una vera politica familiare, le famiglie sono sempre più espropriate degli spazi e dei tempi della vita del focolare domestico mentre nella società è dominante un modello culturale permissivo che diffonde la filosofia del piacere per il piacere e del “fai ciò che vuoi”.

Pietro Maso, che non era assolutamente malato di mente, uccise i genitori, con l’aiuto di tre amici, per poter acquistare una macchina veloce e di grido. Attraverso i modelli culturali basati sul relativismo e il permissivismo, Pietro Maso è riuscito a costruirsi una visione della vita nella quale un’auto è più importante dei genitori.

L’Arcivescovo di Fermo, Gennaro Franceschetti, nella sua lettera alle famiglie dice che la famiglia deve «(…) offrire un filtro critico a tutti i messaggi che la bombardano e giungono al suo interno (…)».(Gennaro Franceschetti, lettera alle famiglie, a tutte le famiglie dell’ amata diocesi di Fermo, Quaresima- Pasqua 2001, p. 19).

Questi messaggi antitetici al messaggio cristiano «(…) entrano in casa senza bussare alla porta e plasmano, giorno dopo giorno, la nostra mentalità, i nostri criteri di giudizio, le nostre abitudini di vita! “Una diffusa cultura dell’effimero vorrebbe far credere che per essere felici sia necessario rimuovere la croce. Viene presentato come ideale un successo facile, una carriera rapida, una sessualità disgiunta dal senso di responsabilità e, finalmente, un’esistenza centrata sulla propria affermazione, spesso senza rispetto per gli altri (Giovanni Paolo II, per la XVI giornata della gioventù )”» (Gennaro Fraceschetti, ivi, p.19).

Le famiglie non devono perdere la loro autonomia per immergersi nella società ma, al contrario, devono ridiventare famiglie, riconquistando la loro autonomia e la loro identità nei confronti delle altre realtà sociali. Infatti il dramma che si sta consumando nel mondo contemporaneo consiste proprio nel fatto che le famiglie sono sempre più espropriate degli spazi e dei tempi della vita domestica, al punto da non poter più essere considerate famiglie.

Questa situazione è talmente grave e diffusa da rendere estremamente difficile, per la sociologia attuale, definire in che cosa consista l’unità di base della società. La famiglia poteva essere definita tale quando una coppia condivideva una certa unione, un certo focolare, una certa divisione dei compiti e quindi una certa gerarchia.

Tutti questi elementi costitutivi della realtà familiare sono andati progressivamente disgregandosi nel mondo e la famiglia sta sempre più diventando una categoria – zombie, sostituita da costellazioni di relazioni diverse.

Scrive l’Arcivescovo di Fermo, Gennaro Franceschetti, che, al posto della famiglia, troviamo ormai «(…) una vera e propria babele dei sentimenti e delle relazioni» (Gennaro Franceschetti, op. cit. pp 6- 7).

«Divorzi, unioni di fatto, relazioni omosessuali, tecniche di fecondazione artificiale rappresentano solo alcuni esempi patetici e drammatici nello stesso tempo, di come si cerchi invano di inventare una “brutta copia” della famiglia cristiana, abbandonando la logica impegnativa dell’amore e affidandosi all’immaturità e all’egoismo. (…) Pretendere che le esperienze più diverse vengano messe tutte sullo stesso piano equivale ad avversare “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (Gennaro Franceschetti, ivi, pp. 20- 21).

Uno dei maggiori sociologi viventi, Ulrich Beck, nel tentativo di definire ciò che si può intendere, oggi, per unità di base del sociale, fa propria la definizione data dal sociologo Claude Kaufmann: «la coppia nasce quando due persone comprano una lavatrice insieme». Questa definizione non è una battuta di spirito ma la descrizione sintetica di una tragica realtà di auto demolizione sociale di cui la crescita esponenziale della criminalità minorile è una delle prime conseguenze.