Una istituzione che è agonizzante

Tempi, num.13 del 29 marzo 2007

È vero, medie e licei sono allo sfascio, ma la (d)istruzione inizia alle elementari

di Israel Giorgio

Una settantina di anni fa il premio Nobel per la medicina Albert Szent-Györgyi emise questa sentenza: «Il futuro sarà come sono le scuole oggi». Roba da far tremare le gambe, se si pensa allo stato della scuola italiana. Eppure, siamo convinti che Szent-Györgyi avesse perfettamente ragione. Per questo, occuparsi del nostro sistema educativo è un dovere morale, un’urgenza assoluta.

Si parla molto della condizione drammatica in cui versano i licei e le scuole medie inferiori, ma non si dice che il disastro ha evidenti radici nella condizione delle scuole elementari. Si provi a entrare in una classe elementare: assenza di qualsiasi disciplina, un chiasso indescrivibile, bambini che passeggiano per l’aula mentre altri sono accasciati sui banchi senza far nulla.

Conosco casi di bambini che sono tornati a casa dicendo di non voler più andare a scuola per il mal di testa provocato dal rumore, altri che si deprimono, altri ancora che si lamentano perché si annoiano. Del resto, basta leggere i rapporti dei tirocinanti per rendersi conto di quanto l’anarchia e il chiasso nelle elementari distruggano ogni sviluppo delle capacità di concentrazione e siano causa di incredibile inefficienza.

A volte, in otto ore di tempo pieno si fa poco più di un dettato e dopo quattro mesi di scuola si è fermi ancora all’apprendimento del numero 9. Durante la ricreazione, poi, i più prepotenti impongono le loro regole e dettano legge su chi e come può partecipare ai giochi: è il bullismo in forma embrionale.

In tutto ciò cosa fa il maestro? Per lo più è sopraffatto. A parte i casi estremi, ma non infrequenti, di maestri che ricevono oggetti in testa e debbono persino farsi medicare, il maestro passa il tempo a tentare con scarso successo di domare la classe. Qualcuno si porta persino un fischietto in classe per farsi sentire.

La vera ragione dell’impotenza dei docenti risiede negli effetti nefasti del “pedagogismo democratico”, come l’ha bene definito Ernesto Galli Della Loggia. È l’ideologia che capovolge qualsiasi forma di meritocrazia e si propone di fabbricare tanti individui tutti identici, tutti allo stesso livello.

E siccome, in questa forma di cretinismo demagogico, nessuno deve restare indietro, bisogna sempre aspettare l’ultimo della classe, riservare a lui ogni cura e attenzione, “capire” e sopportare le sue intemperanze, invece di stimolarlo, con una sapiente miscela di bastone e di carota, ad adeguarsi al livello dei più capaci (che ci sono, non c’è niente da fare, non dispiaccia ai comunisti dell’intelligenza).

Nel frattempo, i migliori vengono trascurati, e restano fermi in attesa, a vivacchiare nel chiasso e nel caos provocato dagli ultimi – quelli che non soltanto non fanno ma non lasciano fare – e che il buonismo democratico vieta di sanzionare. Inutile dire che una siffatta ideologia ha diviso il mondo degli insegnanti in due: coloro che soffrono e coloro che ne sono stati plasmati e che non sanno più neppure quale sia la funzione di un educatore e non sono in grado di esprimere alcuna autorevolezza.

Il crollo della disciplina è quindi strettamente connesso allo sfacelo del modello educativo del pedagogismo democratico. Tuttavia, siccome la questione della disciplina ha raggiunto livelli di vera e propria emergenza, e in Italia per fare riforme ci vogliono tempi geologici (con il rischio di peggiorare la situazione esistente), intervenire nel primo ambito è divenuta un’urgenza assoluta, come soccorrere un diabetico in fin di vita per un incidente stradale: alla cura del diabete ci si pensa dopo. Vi torneremo su la prossima volta.