Tolleranza e intolleranza

femenLa Civiltà Cattolica n.3747-3748
del 5-19 agosto 2006

Le affermazioni di principio, sempre nobili e condivisibili, non si compongono spesso con la pratica. Di questa contraddizione ne fa le spese la Chiesa che, dall’esterno e dall’interno, conosce una recrudescenza di quella intolleranza che non nasce dalla sana laicità ma dal laicismo

Editoriale

Bernard-Henri Lévy è voce autorevole della cosiddetta nouvelle philosophie e direttore della rivista La règle du jeu. Difensore dei diritti umani e dei valori classici della civiltà europea, dissacratore della figura dell’intellettuale oracolare, sia Sartre o sia Aron, incarna bene il concetto di intellettuale contemporaneo che vuole muoversi tra la razionalità dell’analisi dei fatti e la sensibilità per i loro risvolti umani.

In Italia sono note alcune sue posizioni controcorrente; ad esempio, quella contro la diffusa idolatria del dibattito televisivo, uno strumento che diventa inopportuno quando pareggia tutte le opinioni e rende equivalente, per lo spettatore sprovveduto, ogni tesi e ogni valore.

Lévy, che non è ne cristiano né credente, si è recentemente levato contro «il cattivo profumo di regresso e di oscurantismo, di odio del pensiero e della vera scienza che aleggia sui processi istruiti, in questi ultimi tempi, contro una Chiesa che, da Pio XII a Benedetto XVI, è ritenuta colpevole di tutti i mali». E ha manifestato il disgusto che gli procura «la marea nera del nuovo anticattolicesimo» (B.-H. Lévy, «Ebreo e agnostico ma contro il Codice sto con la Chiesa», in Corriere della Sera, 24 maggio 2006).

II saggista francese si riferisce agli ultimi episodi di cronaca cinematografica che, secondo non pochi osservatori, millantando la «scoperta» della vita «segreta» di Gesù e delle origini del cristianesimo, sono usati per colpire la credibilità della Chiesa e riaffermare nell’opinione pubblica la «verità» della laicità à la française. Ma quegli episodi sono il meno. L’accusa di oscurantismo rivolta alla Chiesa, in Italia e in Francia, ha come oggetto la dottrina stessa della Chiesa, specialmente quella morale: e sono attacchi sistematici che si ripercuotono direttamente nell’ambito della lotta politica.

Nel mondo cattolico, sentirsi tacciati di oscurantismo non fa male più di tanto. Si è abituati da tre secoli a questo genere di giudizi. Semmai disturba che l’accusa, spinta talvolta fino al dileggio, sia fatta in nome di un concetto stravolto di laicità. Prendiamo due testi, l’uno filosofico-politico, l’altro scientifico. Sono di due illustri autori, professori universitari, l’uno a Torino, l’altro a Bologna.

Secondo Gian Enrico Rusconi, le antiche radici cristiane d’Italia e d’Europa sono diventate ragioni secolarizzate che hanno a loro volta maturato istituzioni laiche pienamente autonome e sovrane. Ne è derivato un conflitto tra le decisioni dei Governi ispirati all’autonomia laica e le «presunte sane dottrine naturali di antica tradizione» che non possono accettare come moralmente e legalmente giustificati i comportamenti da loro difformi.

Ma proprio questo è la laicità. «Laicità è ammettere una disimmetria tra singole moralità private ed un’etica pubblica dotata di regole comuni rispettose della autonomia della sfera privata e morale. Insomma, la democrazia laica crea lo spazio pubblico entro cui tutti i cittadini, credenti, non credenti e diversamente credenti confrontano liberamente i loro argomenti, affermano le loro identità e vivono i loro stili morali di vita.

Questi sono riconosciuti come diritti tramite procedure consensuali di decisione, senza che prevalgano in modo autoritario alcune credenze o alcuni convincimenti su altri». Bella dichiarazione di principi che non vediamo come possa andare d’accordo con l’affermazione che confonde la proposta della Chiesa sulle questioni di bioetica con la volontà di imporre i suoi criteri di giudizio a quei cittadini che hanno bisogno di «un protettorato morale speciale» (G. E. Rusconi, «Identità laica», in La Stampa, 22 maggio 2006).

O con l’esortazione dello stesso autore che, pur disapprovando come calunniosa la storiella inventata da Dan Brown, sembra sostenere che l’onore della dottrina cattolica non meriti alcuna tutela e che i cattolici farebbero bene a unirsi allo scrittore americano per demolire la Chiesa (cfr A. Socci, «Temo più certi teologi che il Codice da Vinci», in Libero, 1 maggio 2006).

Per capire quanto valga nella pratica il confronto libero su opinioni diverse, cavallo di battaglia di tanti dottori della laicità, è illuminante la chiara prosa di Carlo Flamigni: «Se la scienza opera in favore dell’interesse della società e del suo sviluppo, non si può certo affidare il suo controllo alle religioni che esprimono un’etica ossificata, colma di pregiudizi, incapace di adattarsi al nuovo ancora indaffarata nell’interpretazione di antichi libri polverizzati dal tempo.

È invece necessario affidare il rapporto tra scienza e morale ad un’etica non dogmatica, in grado di adattarsi rapidamente al nuovo e di riconoscere gli elementi di mistificazione e di rischio, e soprattutto di non inchiodare la società sulla croce di un concetto antistorico di natura. In altri termini, a un’etica laica». E ormai «tutte le leggi stupide e le proibizioni assurde che le morali tradizionali hanno cercato di imporre alla società sono state rimosse in modo atraumatico» (C. Flamigni, «La morale vince le leggi stupide», in La Stampa, 1 aprile 2006). L’autore è membro del Comitato Nazionale di Bioetica. Libero confronto? Dialogo?

Come abbiamo detto, gli attacchi massicci alla Chiesa, alla sua dottrina e ai suoi uomini e istituti, suscitano stupore perfino in intellettuali notoriamente agnostici. E in atto un pregiudiziale atteggiamento di contestazione e di rifiuto dei valori della religiosità. Ed è altresì in atto un violento rifiuto di prendere anche soltanto in esame le proposte provenienti dal mondo cattolico per risolvere o almeno lumeggiare i grandi problemi dell’uomo e della società.

In modo particolare, è sistematicamente destituita di valore e dichiarata immeritevole di attenzione ogni soluzione proposta dal Magistero della Chiesa. Anni fa, durante un’intervista concessa al quotidiano tedesco Die Welt, l’allora card. Ratzinger denunciava la «dittatura mediatica anticristiana» che non perseguita apertamente i cristiani, ma li emargina come fossero fondamentalisti e, chiamando intollerante la fede, mostra il suo volto di «intolleranza dei “tolleranti”».

Quali sono le cause immediate di questo fenomeno? In Italia e m Europa, alcuni osservatori parlano del grado estremo al quale sarebbe giunta la secolarizzazione venendo a coincidere, nelle sue manifestazioni, con il vecchio liberalismo ottocentesco che pareva ormai soltanto «un simpatico residuo storico» (M. Olivetti, «Europa effetto Zapatero», in Avvenire, 24 maggio 2006).

Altri, parlando della situazione italiana, pensano che esista un’ipersensibilità laica alle forti convinzioni e alle rivendicazioni decise della propria identità. Convinzioni e rivendicazioni che, con la loro schiettezza, sono viste dal mondo laico come lesive del pluralismo e della aconfessionalità dello Stato. Altri ancora notano che quella ipersensibilità potrebbe dipendere dal fatto che i laici sanno bene che, quando si parla in Italia della Chiesa cattolica, non si parla affatto di una minoranza come essi si affannano a sottolineare in lungo e in largo.

Resta comunque la fastidiosa impressione che i laici si sentano portatori di una specificità che li rende superiori agli «altri». Una supponente autocoscienza che, da un lato, li vede in prima linea quando si tratta di affermare il principio che nessuno può essere messo al bando per le proprie idee e, dall’altro, li muove, per uno strutturale apriori, ad avversare sempre e dovunque tutto ciò che emana dal mondo religioso e cattolico, quasi che i cattolici siano cittadini di second’ordine per la cultura che professano.

Claudio Magris ha richiamato in proposito la lezione di Lessing nel dramma Natban der Weise, che è il manifesto poetico della tolleranza religiosa e della coscienza laica. L’umanesimo laico, che combatte il fanatismo e l’intolleranza delle religioni, rispetta le idee degli altri, dubita delle proprie certezze e sa di non essere mai detentore di certezze definitive.

«Laicità non è un contenuto ma un modo di pensiero», attento alle scelte morali, e ha poco o nulla da spartire con il laicismo, indifferente a quelle scelte, ideologicamente asservito al potere, «una classe indistinta che si è aggiornata passando dal cinema parrocchiale allo strip-tease, obbedendo a un conformismo altrettanto obbligato e gregario» (C. Magris, «II segno del vero laicismo», in Itaca e oltre, Milano, Garzanti, 1982, 257 s).

L’intolleranza laica si appunta principalmente contro l’azione educativa e chiarificatrice del Magistero della Chiesa. Abbiamo ascoltato, alcuni mesi or sono, l’on. Marco Rizzo affermare che Benedetto XVI, che aveva parlato di etica familiare cristiana, «deve farsi gli affari suoi e attenersi al principio della libera Chiesa in libero Stato» (cfr P. Granzotto, «L’amore debole che il papa non può giustificare», in il Giornale, 20 maggio 2006). E la solita accusa al Magistero di interferenza nella legislazione e nella politica italiana. Vediamo come stanno in realtà le cose da parte della Chiesa e da parte dello Stato.

La Chiesa rivendica a sé «il diritto di predicare con vera libertà la fede, esercitare senza ostacoli la sua missione tra gli uomini e dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E questo farà, utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene dì tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni» (Gaudium et spes, n. 76 d).

Dal canto suo, la Costituzione della Repubblica recita all’ari. 21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, Io scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Tutti, senza distinzione tra cittadini ed ecclesiastici, tra individui e gruppi sociali, tra credenti e non credenti, tra i sostenitori di questa o di quella dottrina politica.

Il Nuovo Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, stipulato il 18 febbraio 1984, così recita all’art. 2, comma 1: «La Repubblica riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa. In particolare è assicurata.alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale». E al comma 3: «È garantita ai cattolici e alle loro associazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

Conclude Giuseppe Dalla Torre: «La libertà del magistero non lede la laicità dello Stato ma integra, nel pluralismo, il dibattito democratico. Col suo insegnamento la Chiesa contribuisce a nutrire la società dei valori etici di cui una democrazia ha bisogno ma che lo Stato non può dare, altrimenti diverrebbe uno Stato etico. Ma ciò, come storia insegna, significherebbe negazione della laicità e degenerazione della democrazia» (G. Dalla Torre, «Tutti oggi parlano, solo la Chiesa deve tacere», in Avvenire, 19 maggio 2006).

Stando così le cose, viene il sospetto che Lévy abbia ragione quando parla di campagna anticattolica e, rimanendo in Italia, che si voglia interdire soltanto alla Chiesa di esprimersi, scatenando uno scontro frontale, nullificando lo stesso dettato della Costituzione, e ciò per neutralizzare surrettiziamente la sua influenza autorevole sui temi etico-civili e della moralità sessuale e familiare.

E perciò desiderabile che il mondo laico abbandoni il suo pregiudiziale dogmatismo. La Chiesa, da parte sua, lo ha già fatto, sia dichiarando che la sua gerarchia non ha una risposta pronta per qualsivoglia problema, sia apprezzando e ricevendo quanto di buono le è dato dalle realtà temporali. Ogni contenzioso cadrebbe se il mondo laico riconoscesse che la Chiesa invita continuamente a rispettare comuni e fondamentali valori umani e a prendere in considerazione le motivazioni evangeliche che essa trae dalla sua tradizione di fede e propone come un supplemento di umanità all’antropologia laica. Habermas, che pure viene da una tradizione diversa, lo ha capito.

Quando la Chiesa offre i suoi argomenti per contribuire alla difesa e alla promozione della dignità umana, trasmette un contributo prezioso per la conoscenza dell’uomo alla stessa cultura laica, specialmente se, con Bobbio e altri, si considera che per la democrazia esiste il pericolo che le vengano a mancare le sue motivazioni etiche.

Il Santo Padre si è espresso in tal senso sulla materia: «Una sana laicità dello Stato comporta senza dubbio che le realtà temporali si reggano secondo norme loro proprie, alle quali appartengono però anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo e pertanto rinviano in ultima analisi al Creatore.

Nelle circostanze attuali, richiamando il valore che hanno per la vita non solo privata ma anche soprattutto pubblica alcuni fondamentali principi etici, radicati nella grande eredità cristiana dell’Europa e in particolare dell’Italia, non commettiamo dunque alcuna violazione della laicità dello Stato, ma contribuiamo piuttosto a garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società» («Discorso ai Presuli della Conferenza Episcopale Italiana riuniti per la 56 Assemblea Generale», in Oss. Rom., 19 maggio 2005).

Come abbiamo detto, sono passati soltanto pochi anni da quando l’allora card. Ratzinger coniò la formula «dittatura mediatica» per descrivere il fenomeno dell’intolleranza laica anticristiana sostenuta e amplificata dai mezzi di comunicazione di massa. II pensiero va spontaneamente ai libelli e ai film che veicolano una forma anche laicamente deviata di secolarizzazione e l’aperto disprezzo del cristianesimo e della storia.

Sotto queste espressioni di malintesa libertà si nasconde il prolungamento della vasta operazione culturale e politica che nega le radici cristiane dell’Occidente? In ogni caso, è legittima la reazione dei cattolici che non assistono passivamente alle calunnie versate a piene mani sulla loro fede e reagiscono chiedendo alla società aperta e liberale, che celebra il pluralismo, di dare spazio e ascolto anche alle loro ragioni. Chiedendo soprattutto che le loro ragioni siano accolte e trattate con la tolleranza tipica della laicità, senza gli apriorismi gratuitamente offensivi del laicismo intollerante.

È stato giustamente notato che si sarebbe avuta una sollevazione a raggio mondiale se la campagna anticristiana fosse stata orchestrata contro la Shoàh o il Corano. Soltanto contro la fede della Chiesa è ritenuto legittimo l’esercizio regolare dell’intolleranza, di mancare cioè di rispetto, con l’ausilio di leggende esibite come argomenti storici, alle convinzioni, ai sentimenti, alle dottrine, alle speranze di una parte della popolazione, forse minoritaria, certo cospicua, dell’Italia e dell’Europa.

E’ facile immaginare quel che sarebbe successo se, ad opera di cattolici, analoghe invenzioni fossero state escogitate per oltraggiare il ricordo di personaggi appartenenti proprio all’ambiente laico, per diminuirne il prestigio, per scalfirne il nome e disprezzarne il comportamento. Ma laicismo e intolleranza non sono mali che affliggono la Chiesa soltanto dall’esterno.

C’è, per così dire, un «laicismo» interno ad essa, ed è la propaggine dell’osmosi esistente tra una certa parte del mondo cattolico e il laicismo della cultura dominante. Questo laicismo interno, che ha le sue manifestazioni di intolleranza ed è per sua natura più insidioso di quello che attacca la Chiesa dall’esterno, agisce sommessamente con l’esasperata demitizzazione dei testi fondanti della fede cristiana, con la pratica dissoluzione della morale cristiana in nome di un cattolicesimo che si autodefinisce adulto, con l’intellettualizzazione di stampo «illuministico» della fede, che è sempre in se stessa un atto e un’esperienza di semplice abbandono. La volontà di ricerca e di dialogo non deve mai indebolire il monito che ai cattolici rivolge il Vaticano II riprendendo Agostino: «Ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle dubbie, in tutte carità» (Gaudium et spes, n. 92 b).

La Civiltà Cattolica