Rivoluzione e Contro-Rivoluzione nell’ora presente

Tradizione Famiglia Proprietà n.108 Ottobre 2025

Plinio Corrêa de Oliveira si definiva un cattolico contro-rivoluzionario. Come si distingue la Contro-Rivoluzione dal tradizionalismo? Qual è la teologia della storia che ispira la Contro-Rivoluzione? Ne parla lo storico Roberto de Mattei, docente all’università di Cassino, e poi all’Università Europea di Roma

Spesso siamo definiti tradizionalisti, e questo appellativo non ci dispiace, anche se è riduttivo, perché preferiamo essere chiamati cattolici, senza aggettivi. “Christianus mihi nomen est, catholicus cognomen”, dice sant’Agostino (1), e questo dovrebbe bastare. Ma viviamo un tempo in cui la parola cattolico comprende di tutto e dunque è giusto cercare di specificre

Tradizionalismo e Contro-Rivoluzione

Siamo anche tradizionalisti, ma preferiamo esser definiti contro-rivoluzionari perché questo appellativo ci collega  ad una scuola di pensiero e di azione cattolica, che comprende, potremmo dire, il tradizionalismo ma non si esaurisce in esso.

Ma qual è la specificità della posizione contro-rivoluzionaria, rispetto a quella tradizionalista? E’ l’applicazione alla storia, come concretamente si sviluppa, dei principi teologici e fisiologici che tale Tradizione cattolica ci propone

La Contro-Rivoluzione è, innanzitutto, una teologia e filosofia della storia, che però non rimane sul piano astratto, ma che poi si traduce in azione.

Sant’Agostino, nel suo capolavoro La Città di Dio ci offre la prima grande filosofia e teologia della storia cristiana. La filosofia della storia moderna, sostanzialmente anticristiana, si sviluppa soprattutto come riflessione sulla Rivoluzione francese. Kant, Hegel, Marx, Comte, ci propongono, ad esempio, una filosofia della storia fondata sull’idea del progresso dell’umanità dopo la Rivoluzione francese. La fede nel progresso della storia si sostituisce alla fede nella Provvidenza divina, e domina le principali correnti del pensiero europeo dell’Ottocento – dal liberalismo al socialismo, penetrando all’interno della Chiesa con il modernismo.

Ma è anche a partire da una riflessione della Rivoluzione francese che nasce quella che chiamiamo la teologia della storia contro-rivoluzionaria del XIX secolo, che ha i suoi maggiori esponenti  in Joseph de Maistre (1763-1821) e in Juan Donoso Cortés (1809)1853), e che eserciterà una grande influenza sui Papi di questo periodo, da Pio IX, a Leone XIII a Pio X.

Agli inizi del Novecento mons, Henri Delassus (1836-1921) ci offre una preziosa ricapitolazione di questo pensiero in alcuni libri, tra i quali, tradotto in italiano, Il problema dell’ora presente.

Mons. Enri Delassus è morto cento anni fa, nel 1921. Il secolo che è seguito alla sua morte ha visto l’ascesa e l’apparente crollo dei totalitarismi e il passaggio dall’utopia del progresso al regno del caos, nella società planetaria.

Questo processo storico ha avuto uno straordinario analista, sotto l’aspetto teologico e filosofico nel prof. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), di cui quest’anno ricordiamo i trent’anni della morte avvenuta a San Paolo del Brasile il 3 ottobre 1995.

Plinio Corrêa de Oliveira può essere oggettivamente definito il principale esponente del pensiero contro-rivoluzionario del secolo XX e, a mio personale parere, come uno dei più grandi pensatori dell’epoca contemporanea, proprio come teologo della storia.

Il saggio nel quale egli condensa l’essenza del suo pensiero e spiega il senso della sua azione nel campo delle idee è lo studio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, pubblicato nell’aprile del 1959, in occasione del centesimo numero della rivista “Catolicismo” (2)

E’ importante sottolineare che Corrêa de Oliveira non inventa una dottrina, ma la sviluppa e la arricchisce, con originalità. E’ l’anello di una catena che rimonta non solo a mons. Delassus e a de Maistre, a Donoso Cortes, ma che rissale anche a un grande e sconosciuto teologo della storia quale è stato san Luigi Maria Grignon de Montfort (1673-1716), la cui opera costituisce una chiave di lettura di un’altra grande teologia della storia, che è quella espressa dalla Madonna in persona nei suoi messaggi a Fatima nel 1917.

La Rivoluzione nella storia

Al centro della riflessione di Plinio Corrêa de Oliveira c’è il concetto di Rivoluzione: un processo storico che è alle origini della crisi religiosa, culturale e morale del nostro tempo.

Le origini di questo processo risalgono per il nostro autore all’umanesimo, quando inizia nell’Europa cristiana una trasformazione di mentalità, un mutamento profondo degli spiriti che implica il desiderio di un ordine diverso  da quello medievale. L’uomo del XIV e del XV secolo sostituisce, come dominante, all’amore di Dio l’amore di sé, l’autosufficienza compiaciuta di se stessa, quell’”Amor excellentiae propriae” che è la formula con cui sant’Agostino definisce la superbia (3).

Le tappe storiche di questo processo  plurisecolare sono le tre grandi rivoluzioni della storia  dell’Occidente: il protestantesimo, la Rivoluzione francese e il comunismo.

A queste tre rivoluzioni segue oggi una Quarta Rivoluzione, caratterizzata soprattutto dall’atrofia della ragione e dalla tribalizzazione della società. L’obiettivo è la distruzione della Civiltà cristiana, di quanto di essa oggi sopravvive.

Il pensatore brasiliano distingue nella Rivoluzione tre profondità che, cronologicamente, fino ad un certo punto si compenetrano: le tendenze, le idee e i fatti.. Il processo rivoluzionario che ha aggredito la Civiltà cristiana è inteso dal pensatore brasiliano come lo sviluppo, per tappe, e attraverso continue metamorfosi, delle tendenze sregolate dell’uomo occidentale e cristiano e degli errori e movimenti che questi fomentano. La Rivoluzione nelle idee precede qualla nei fatti ed è preceduta a sua volta dalla Rivoluzione nelle tendenze.

L’orgoglio conduce all’odio verso ogni superiorità, e porta quindi all’affermazione che la diseguaglianza è essa stessa un male, su tutti i piani, anche e principalmente su quello metafisico e religioso; è l’aspetto ugualitario della Rivoluzione. La sensualità non accetta freni e porta alla rivolta contro ogni autorità e ogni legge, sia divina che umana, ecclesiastica o civile: è l’aspetto liberale  della Rivoluzione.

Nel corso degli ultimi secoli la Rivoluzione ha potuto proseguire il suo corso, perché i suoi avversari si sono limitati, generalmente, a combatterne solo alcune espressioni religiose, politiche, sociali od economiche, senza coglierne la profonda portata metafisica.

Se la rivoluzione è il disordine – afferma il pensatore brasiliano – la Contro-Rivoluzione è la restaurazione dell’Ordine. E per Ordine intendiamo la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Ossia, la Civiltà cristiana, austera e gerarchica e, nei suoi fondamenti, sacrale, antiegualitaria e antiliberale” (4)

La specificità del pensiero contro-rivoluzionario

La specificità del pensiero contro-rivoluzionario rispetto a quello tradizionalista è quella di proporre una teologia della storia che ha le seguenti caratteristiche:

E’ integrale: non si limita a rintracciare il male della società nel globalismo, nel liberalismo o nel modernismo, ma spinge lo sguardo indietro fino alla Rivoluzione dell’umanesimo, da cui scaturì quella protestante e poi quella francese, cercando dio cogliere gli errori nella loro concatenazione. Inoltre combatte la Rivoluzione non solo sotto l’aspetto ideologico, ma in tutta la sua estensione, a cominciare dalla Rivoluzione delle tendenze.

Non è solo integrale, ma è vissuta, perché non è solo professata, ma è tradotta in azione, a partire dalla propria vita. Infatti, se la Rivoluzione è, in ultima analisi, l’impulso distruttivo dell’uomo, che nasce dal disordine della sua anima, e culmina nella idealizzazione  di questo disordine, la Contro-Rivoluzione è la reazione dell’anima umana che pone un ordine alle proprie facoltà spirituali. Se la Rivoluzione ha la sua origine nelle passioni sregolate dell’uomo, non c’è Contro-Rivoluzione possibile al di fuori della disciplina di queste passioni.

Per questo ai difensori della Tradizione si richiede l’analisi dei fatti, lo studio delle idee, ma anche il ri-orientamento del proprio comportamento.

Plinio Corrêa de Oliveira ama ricordare a questo proposito la frase di Paul Bourget: “Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi si finisce col pensare come si vive” (5)

La Contro-Rivoluzione è innanzitutto soprannaturale

L’uomo cole le sole proprie forze non può nulla. La forza della Contro-Rivoluzione sta nella vita soprannaturale, che eleva l’uomo sopra le miserie della natura decaduta. “La lotta tra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione – scrive Corrêa de Oliveira –  è una lotta che, nella sua essenza. È religiosa” (6) Come ogni problema religioso essa non può prescindere dal ruolo della Grazia, da cui dipende ogni autentica rigenerazione morale.

La grazia dipende da Dio, ma indubbiamente Dio, con un atto libero della sua volontà, ha voluto far dipendere dalla Madonna la distribuzione delle grazie. Maria è la Mediatrice Universale, è il canale attraverso il quale passano tutte le grazie. Pertanto il Suo aiuto è indispensabile  perché non vi sia Rivoluzione o perché questa sia vinta dalla Contro-Rivoluzione. (…) Perciò la devozione alla Madonna è condizione sine qua non perché la Rivoluzione sia schiacciata, perché vinca la Comtro-Rivoluzione” (7).

Castigo e Regno di Maria

Se questo è il quadro, come avverrà la vittoria della Contro-Rivoluzione e la restaurazione della Civiltà Cristiana?

La teologia della storia ci dice  che Dio premia e punisce non solo gli uomini, ma la collettività e i gruppi sociali: famiglie, nazioni, civiltà. Il processo rivoluzionario costituisce una trama di offese a Dio che, concatenandosi nel corso dei secoli, formano un unico peccato collettivo, un’apostasia di popoli e delle nazioni. E poiché ai peccati corrispondono i castighi, la teologia della storia cristiana ci insegna che ai peccati collettivi seguono grandi catastrofi storiche, che servono a scontare i peccati pubblici delle nazioni. Il castigo diviene inevitabile quando il mondo, rifiutando il pentimento e la penitenza, attira su di sé non la misericordia, ma la giustizia di Dio.

Non potremmo concepire un’autentica vita spirituale se prescindessimo dal pensiero di un castigo personale che attende gli uomini quando si allontanano deliberatamente da Dio . ma ciò vale anche per le società e dal momento che la società moderna ha fatto della negazione della legge di Dio la sua bandiera, dobbiamo immaginare che questo castigo sia irreversibile. E’ questo un punto di fondo della teologia della storia contro-rivoluzionaria, confermato dalle parole del messaggio di Fatima: “Dio si appresta a punire il mondo per i suoi peccati…”

Dio però non cessa di essere infinitamente misericordioso anche quando è infinitamente giusto e la teologia della storia ci mostra che dalla creazione dell’universo alla fine del mondo ci sono stati e ci saranno immensi peccati, a cui sono seguiti atti di immensa misericordia divina. Il peccato di Rivoluzione che nel corso dei secoli ha arretato lo sviluppo della Civiltà cristiana e ci ha condotto alle rovine spirituali e morali dei nostri giorni, non può non suscitare  una reazione che, sostenuta  dalla grazia, porterà alla realizzazione storica del grande piano  della Divina Provvidenza.

Secondo Plinio Corrêa de Oliveira i germi della Rivoluzione hanno prodotto mali terribili nella storia , ma i principi opposti non hanno ancora prodotto tutto il bene di cui sono capaci. I principi  a cui il Medioevo  si è ispirato non hanno raggiunto il loro maggiore sviluppo. La fecondità di questi principi è immensa e la storia è un terreno ancora aperto a questo sviluppo.

Essendo l’uomo creato da Dio con una natura sociale egli è chiamato non solo alla propria santificazione personale, ma anche alla santificazione della società. La gloria di Dio, che è il fine del creato, non può essere infatti solo individuale e implicita, ma deve essere pubblica e sociale. In questo consiste la verità di fede della Regalità sociale di Cristo.

Gesù Cristo, come spiega Pio XI nella enciclica Quas Primas (8), è Re per grazia  e per conquista. E se il suo Regno non è di questo mondo, perché non trae da esso la sua legittimità, Egli ha diritto a regnare sulle istituzioni, le leggi, i costumi della società umana. Sono molte le ragioni per cui Egli vuole esercitare di fatto questo diritto. Ma la ragione principale è questa: Gesù vuole che con Lui regni la Sua divina Madre Maria, che fu nascosta al mondo nell’ora dell’Incarnazione, ma che ora deve essere conosciuta, acclamata e proclamata Regina dal mondo intero.

Quest’epoca storica è stata annunziata da molti santi, come san Luigi Maria Grignon de Montfort, con il nome di Regno di Maria, per il ruolo privilegiato che in esso avrà la Madonna. Nel 1917, a Fatima, la stessa Beata Vergine ha profetizzato, dopo un grande castigo, un’era di trionfo che non chiuderà la storia ma anzi ne aprirà una nuova fase, e con queste parole: “Infine il mio Cuore immacolato trionferà

Il Regno di Maria – ha scritto Plinio Corrêa de Oliveira – (sarà) un’epoca storica di fede e di virtù che verrà inaugurata da una vittoria spettacolare della Madonna sulla Rivoluzione. In questa epoca il demonio verrà scacciato e la Madonna regnerà sull’umanità attraverso le istituzioni che avrà scelto allo scopo (…) Il Regno di Maria sarà dunque un’epoca nella quale l’unione delle anime con la Madonna raggiungerà una intensità senza precedenti nella storia, fatta eccezione – è chiaro – di casi individuali” (9)

Potuit, decuit, fecit

Il Regno di Maria ha il suo fondamento nella ragione illuminata dalla fede. Esiste un principio che i teologi definiscono “di convenienza”. La convenienza si ha quando posta l’esistenza di una cosa, se ne afferma l’esistenza di altre che ad essa “convengono”. La convenienza è dunque l’attribuzione alle persone o alle cose di una perfezione armonica e coerente con la loro natura. Il principio di convenienza non ci dà una certezza dogmatica, ma una certezza morale: non ci dice che un rapporto è necessario, ma che è sommamente probabile.

Il beato Giovanni Duns Scoto formula questo argomento , di cui si serve per dimostrare l’Immacolata Concezione, con la celebre espressione: Pouit, decuit, fecit (10).

Possiamo applicare questo principio, per analogia, al regno di Maria. Posto il principio della Regalità di Cristo, ossia il diritto di Gesù Cristo a regnare sul mondo, è conveniente che Egli eserciti  anche di fatto questo diritto. Ma poiché Gesù Cristo ha voluto associare alla sua opera redentrice la sua Divina Madre, è conveniente che Ella sia intimamente associata al suo Regno.

L’avvento del Regno di Maria non è un dogma di fede. Se così fosse, se ne avessimo una certezza dogmatica, come è il caso della Parusia, non dovremmo esercitare la virtù della speranza, per desiderarlo, ma solo la fede, per credere in esso. L’attesa del Regno di Maria esige che alla fede si aggiunga la speranza: questa è la fiducia, la “spes roborata ex aiqua firma opinione” di cui parla san Tommaso d’Aquino (11), nella Quaestio dedicata alla magnanimità, virtù dell’anima che tende alla grandezza ed è in relazione con tutte le altre virtù (12).

Potuit, decuit, fecit. Possiamo applicare, per analogia, agli uomini il modus operandi di Dio, attraverso il principio di convenienza. Non possiamo partire dal potuit, ma dal fecit: dobbiamo operare, dobbiamo combattere, per realizzare l’ideale del Regno di Maria, perché la Chiesa di cui siamo figli si chiama militante.

Si dice che un uomo vale le idee che ha. Questa affermazione ha una portata filosofica, perché le idee, conosciute dalla nostra ragione, sono l’oggetto primario della nostra anima. Ma l’uomo è chiamato non solo a conoscere, ma anche ad amare. E l’amore, che risiede nella nostra volontà fa parte della facoltà più nobili della nostra anima. Per questo potremmo dire che l’uomo vale ciò che ama  e per cui combatte entro i confini del suo amore. Nessun orizzonte ideale può essere proposto al nostro amore più grande della realizzazione  del regno di Maria, voluto da Nostro Signore stesso per la gloria della sua Divina Madre, perfetto riflesso della gloria di Dio. E’ questa la lotta, potremmo dire la Crociata, alla quale è chiamato l’uomo del ventesimo secolo.

La nobiltà e la grandezza di questo orizzonte contrasta con la nostra miseria e pochezza. Non siamo solo pochi e senza mezzi, aggrediti da avversari tanto più numerosi e potenti. Siamo soprattutto fragili perché siamo piagati, non solo dai nostri peccati, ma dall’atmosfera avvelenata che avvolge le nostre anime come una nube radioattiva.

Gesù guarirà le nostre piaghe se avremo il coraggio di resistere, di non retrocedere, di attaccare il nemico che avanza. E se combatteremo, avremo la vittoria, perché più forte della morte è il nostro amore per la Chiesa, la Civiltà cristiana. Questo amore ci unisce. E come dice il cantico dei cantici. “le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo” (Cantico dei Cantici 8, 6-7).

E’ questa la disposizione d’animo di chi è convinto che la civiltà cristiana non è un sogno del passato, ma è la risposta alla crisi di un mondo che si decompone: è il regno di Gesù e di Maria nelle anime e nella società, che la Madonna ha preannunciato a Fatima e per il quale continuiamo a lottare ogni giorno con fiducia e coraggio.

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(1) Sant’Agostino, Sermo 313, 3: PL, 3 vol. 8, col.1426

(2) Revoluçặo e Contro- Revoluçȃo, Bȏa Impresa Ltda, Campos 1959. Tr. It. Rivoluzione e Controrivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009), Sugarco, Milano 2000.

(3) S. Agostino, De Genesi ad litteram, 11, 14.

(4) Ibid., p. 103.

(5) Paul Bourget, Le démon du midi, Plon-Nourrit, Paris 1914, I-II: II, p.375

(6) P. Corrêa de Oliveira, La devozione mariana e l’apostolato contro-rivoluzionario, in “Cristianità”, n. 8 (nov.-dic. 1974)

(7) Ivi.

(8) Pio XI, Enciclica Quam primas dell’11 dicembre 1925, in Enchiridion/Pio XI, pp. 158-193.

(9) P. Corrêa de Oliveira, La devozione mariana e l’apostolato contro-rivoluzionario, cit., p.6.

(10) Beato Giovanni Duns Scoto, Lectura in Librum Tertium Sententiarum, Distincio III, Quaestio 1, in Patrologia Latina, vol. 158,41.

(11) San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-IIae, q. 129, art 6, n. 3.

(12) Ivi, II-IIae, q. 129, art 1, resp, art. 4