Quando la scienza è diventata una fede

Abstract: Quando la scienza è diventata una fede. Il primo a denunciarne la deriva verso una fede assoluta fu Giuseppe Sermonti, che si ribellò ai dogmi dell’evoluzionismo, del progressismo scientifico e del determinismo tecnocratico e pubblicò un libro con cui si inimicò la cupola ideologica e scientifica. Il tema del suo libro è il tema dei nostri giorni: assegnare limiti alla scienza, restituirle dignità di ricerca e non solo di applicazione tecnica; contestare la sua pretesa di comprendere nei suoi confini tutto l’universo e ogni sapere. Lo scientismo denunciato da Sermonti più di mezzo secolo fa è ancora in auge, anche se con altro nome.

La Verità 24 Giugno 2023

Quando la scienza diventò tiranna

di Marcello Veneziani  

La scienza come fede assoluta, la tecnica come regina del mondo, il vaccino come battesimo della nuova religione. E dall’altra la cancellazione di ogni riferimento religioso, umanistico, politico e civile, storico e culturale. Come chiamare questa epoca cominciata con il dominio planetario degli Usa e dell’Urss? L’epoca dello scientismo. La scienza si fa ideologia, superstizione e la tecnica modifica il mondo, la natura, l’umanità, si fa strumento di controllo capillare e mezzo di profitto globale. Il sistema capitalistico e il comunismo sovietico trovarono un punto in comune ma competitivo nell’espansione illimitata della scienza e della tecnica, al servizio della potenza e del “progresso”.

Di scientismo parlò agli inizi degli anni settanta un biologo di fama mondiale, un genetista. Si chiamava Giuseppe Sermonti, classe 1925, morto cinque anni fa. Quell’aria da attempato spadaccino, un po’ d’Artagnan, un po’ cardinale Richelieu, Sermonti si ribellò ai dogmi dell’evoluzionismo, del progressismo scientifico e del determinismo tecnocratico e pubblicò un libro con cui si inimicò la cupola ideologica e scientifica. Lo intitolò Il crepuscolo dello scientismo e uscì nel 1971 in quella fortunata e battagliera collana di Rusconi diretta da Alfredo Cattabiani. Il tema del suo libro è il tema dei nostri giorni: assegnare limiti alla scienza, restituirle dignità di ricerca e non solo di applicazione tecnica; contestare la sua pretesa di comprendere nei suoi confini tutto l’universo e ogni sapere.

Sermonti attaccava gli “scienziati assolutisti”, il “clericalismo scientista”, consapevole di passare per reazionario. Accennava sin da allora ai minacciosi e “sinistri” progetti di modificazione genetica dell’umano; si occupava già d’inquinamento ed ecologia, denunciava lo specialismo e i pericoli di una guerra contro la natura e la realtà, che avrebbe prodotto danni biologici e spirituali incomparabili. Notava la subordinazione della scienza, tramite la tecnica, all’industria, alla farmaceutica, alla produzione. Indicava i suoi miti fondatori in tre figure simboliche: Narciso il vanitoso, Titano l’arrogante e Faust il diabolico. La mitologia del progresso cancellava ogni mito, ogni simbolo e ogni rito dalla vita umana e predisponeva l’avvento di un nuovo dispotismo totalitario. Lui invocava il ritorno alla frugalità e alla semplicità anche per ripararsi dalla società dei consumi.

Seguì un altro suo libro, La mela di Adamo e la mela di Newton, in cui Sermonti affrontava il rapporto tra il mito e la scienza, tra la metafisica e la fisica. Usciva sempre nella collana di Rusconi, insieme ad altri titoli che ingaggiavano la guerra contro la scienza oscurantista (titolo di un pamphlet di Jean Josipovici, filosofo, scienziato, “adottato al Cairo da una setta sufi”). Sermonti si addentrò in un’incalzante critica nei confronti dell’evoluzionismo.

Memorabile fu un suo libro, Dopo l’evoluzionismo, scritto con il paleontologo Roberto Fondi contro l’intolleranza dogmatica dei neo-darwiniani, che non ammettono altro orizzonte e altra ipotesi oltre la loro. Secondo Sermonti, per la teoria evoluzionista tutto si forma per caso, per gradi e per “opportunismo”. E’ una teoria che esonda dalla biologia, “ha una spiegazione per tutto” e riduce tutto allo schema evoluzionistico e selettivo; si applica in campo sociologico, psicologico, artistico, politico, sociale, storico. Da scienza si fa scientismo.

Dopo trent’anni di ricerca come scienziato e genetista, dopo aver studiato i microbi e diretto la Rivista di Biologia, Sermonti rivolse i suoi interessi al di là dell’ambito strettamente scientifico. Altre opere seguirono, come L’anima scientifica, di recente riprese e pubblicate da Lindau: da Una scienza senz’anima al Tao della biologia, dalle Delizie della biologia a L’Alchimia della fiaba, introdotta da Giulio Giorello ed Élémire Zolla. Sermonti aprì la scienza ad altri universi spirituali: il confronto con l’anima e l’anima mundi, con l’alchimia e la scienza sacra. Sostenne l’origine sacra e simbolica di molte scoperte tecnico-scientifiche, solo successivamente usate a scopi pratici e utilitaristici, ripensò alla scienza che è oggi “la prima religione che pretenda di far proseliti vantando i propri benefici anziché la propria verità”. Secondo Sermonti noi dobbiamo cercare non il meccanismo bensì l’ordine che regna sulle cose. Nulla è per caso, sostiene Sermonti, e allo scienziato tocca il compito non di dissipare il mistero e la meraviglia per la natura, ma di coltivarli. Saperi tradizionali, letture di poeti e letterati, studiosi del sacro, dei simboli e degli archetipi, si alternavano in Sermonti ai riferimenti scientifici.

Incontrai Sermonti in più occasioni, mi mandava i suoi libri con dediche amichevoli, andai a trovarlo quando decise di lasciare Roma nel suo ritiro di Calcata. Lo ricordo poi con suo fratello Rutilio, a cui dedicò il Tao della biologia, militante e storico appassionato del fascismo, su cui scrisse un’opera monumentale con Pino Rauti. Altro suo più celebre fratello fu lo scrittore e dantista Vittorio Sermonti, che la pensava diversamente da Rutilio e da lui. Giuseppe raccontava le numerose disavventure capitategli quando fu elevato un cordone sanitario da scientisti, evoluzionisti e marxisti nei suoi confronti. Mi raccontò pure (e lo scrisse poi nelle Delizie della biologia) che Guidò Ceronetti lasciò la collaborazione a L’Espresso dopo che gli censurarono la sua recensione a un’opera di Sermonti.

Lo scientismo denunciato da Sermonti più di mezzo secolo fa è ancora in auge, anche se con altro nome. Anzi, vige oggi più di ieri, nella forma del tecnoscientismo, tra l’intelligenza artificiale, gli algoritmi e le manipolazioni genetiche; lo sperimentiamo ogni giorno; la stessa pandemia fu un’esercitazione di massa, una prova generale. Conforta sapere che ci furono e ci sono scienziati che non riducono il tutto a una parte, il mondo a un’ideologia fanatica, la vita a un caotico e casuale intreccio di particelle, che possiamo alterare secondo i desideri. Ma riconoscono una forma, un ordine e un senso alla vita, ai suoi limiti e al suo sacro mistero. Sermonti, il biologo che poetava sull’universo.

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Su la scienza diventata fede:

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