Modernità terminale

eutanasiaIl Foglio, 7 gennaio 2009

Scovato libricino che spiega come l’unica vera morte democratica sarà quella eutanasica

Come può la società creare una do­manda di eutanasia all’interno dei gruppi interessati e preparare con ciò il terreno a una nuova legislazione?”. Va subito al sodo, l’affabile Bert Persson. E’ il moderatore di un seminario a porte chiuse di due giorni che si tiene in un ac­cogliente centro congressi sul lato svedese dello stretto dell’Oresund. Tema: “La fase terminale della vita umana”, e le sue compatibilità economiche”.

Se non sì riduce drasticamente la massa di an­ziani che gravano sulle finanze dello sta­to, sarà il collasso: “Uno svedese su quat­tro è in pensione di anzianità, e uno su dieci in età produttiva è in pensiona­mento anticipato, e il 75 per cento dei co­sti della sanità va alla cura di malati cro­nici o senza speranza”.

Ma al Fater (Co­mitato fase terminale della vita umana del ministero degli Affari sociali) hanno forse la soluzione. Ci sono segnali inco­raggianti da un sondaggio, “in particola­re in gruppi che i politici usano definire ‘deboli’ all’interno della società, o ‘il po­polino’, esiste una notevole preparazio­ne latente a una riforma nel campo”. Bi­sogna lavorare perché la voce della col­lettività diventi più forte della volontà di vivere dell’individuo, e così “il singolo arriverà a chiedere di poter farla finita, magari come ultimo atto di autonomia”.

La morte moderna sarà democratica, non per niente siamo in Svezia. Prima; ci sarà una campagna di informazione pa­ziente e sofisticata, che tenga conto di tutte le diffidenze suscitate dall’idea di eutanasia. Ingiustamente, perbacco: co­me rassegnarsi al fatto che “il semplice nome di Hitler, con tutte le associazioni del caso” debba “bloccare anche delle forme estremamente caute e umane di selezione che potrebbero rendersi ne­cessarie per salvare una nazione dalla rovina”?

Coraggio, allora. Dove ha falli­to il movimento per il Diritto alla pro­pria Morte come assicurazione indivi­duale contro una fine che si teme dolo­rosa; può spuntarla “il diritto sancito per legge all’assicurazione contro una vec­chiaia prolungata e le inerenti sofferen­ze”. Il diritto a una morte indolore e li­beratrice per ognuno, “non qualcosa che si sia costretti a mendicare come si men­dicavano un tempo i sussidi della vec­chia società!”.

Morte come conquista, nuova opportunità e garanzia desidera­bile, modernamente erogata, a un’età che sarà uguale per tutti, con l’ultimo giorno di vita che sarà un giorno di festa, rallegrato da piccole e commoventi ceri­monie di addio. Del resto “la sacralità del valore umano regge solo finché ci so­no i mezzi”, spiega un partecipante al se­minario del Fater. E “perché non si po­trebbe parlare di controllo dell’età o controllo delle morti?”.

Dà le vertigini, la lettura de “La mor­te moderna”, operetta morale pubblica­ta nel 1978 dal giornalista e romanziere svedese Carl-Henning Wijkmark e ora proposta per la prima volta in traduzio­ne italiana da Iperborea. Dà le vertigini, perché molte delle argomentazioni del funzionario Persson, del bioeticista Storm, del teologo Carnenio in favore dell’ “obbligo volontario” a morire, sem­brano pronte per diventare temi accet­tabili del dibattito bioetico contempora­neo. “Avrete presto nostre notizie”; dice alla fine il Moderatore. Aveva ragione.