L’ultima perla della compagna Rosy: il quoziente familiare è contro le donne

Rosy BindiTratto da Il Legno Storto  il 26 ottobre 2006

Dopo qualche mese di governo Prodi, viene da chiedersi quale mistero si annidi nella sinistra – e in particolare nella sinistra che cerca di vendersi come cattolica e moderata – per dimostrarsi sempre, alla prova dei fatti, peggiore persino dei peggiori pregiudizi che circolano sul suo conto.

Rosy Bindi, ministro “per le politiche familiari”, nel corso di un’audizione parlamentare in Commissione Bilancio tenutasi proprio ieri, si è dichiarata apertamente contraria all’introduzione del “quoziente familiare” nel nostro sistema tributario.Per chi non lo conoscesse, si tratta di un principio di elementare realismo ed equità tributaria, in base al quale la Francia – dove è stato introdotto da molti anni – riesce ancora, nonostante la secolarizzazione e l’edonismo diffuso, a mantenere tassi di natalità decenti. In pratica, consiste nella riduzione del reddito imponibile di ogni componente del nucleo familiare, in base ad un quoziente che dipende dal numero di persone che di quel reddito vivono.

L’effetto fiscale non è solo quello di favorire le famiglie numerose, ma anche quello di attenuare la disparità che normalmente esiste – vista la progressività delle aliquote – tra i nuclei monoreddito (dove il più delle volte, per forza di cose, il capofamiglia porta a casa uno stipendio almeno decente), rispetto a quelli in cui si lavora in due o in tre. In queste ultime famiglie, è difatti frequente che si guadagni complessivamente di più, ma con una minore pressione fiscale, in quanto ciascun singolo stipendio, essendo più basso, sconta una minore aliquota Irpef.

Insomma, il “quoziente familiare” ha la funzione di rendere più agevole la scelta di avere figli, ed anche di crescerli con le proprie forze rinunciando a godere in famiglia di un reddito in più, senza per questo venire ulteriormente penalizzati sul piano tributario. Il governo Berlusconi non era riuscito ad introdurlo a causa dei soliti problemi di bilancio, anche se la riforma Tremonti si era perlomeno mossa in quel senso, introducendo un sistema di deduzioni per i familiari a carico, al posto delle vecchie detrazioni puntualmente reintrodotte da Visco nello schema della finanziaria 2007 (come da noi già stigmatizzato in altro post).

Invece Rosy Bindi, sedicente cattolica, e sedicente ministra per la famiglia, ha riferito papale papale in Parlamento di essere contraria per ragioni di principio, e non tanto per esigenze di cassa. Infatti, sue testuali parole, l’introduzione di un quoziente familiare “favorirebbe i redditi medio-alti” e “scoraggerebbe il lavoro della donna”.

E brava la nostra cattolica adulta, nonché “donna più bella che intelligente”, come ebbe a dire Vittorio Sgarbi in una memorabile battuta. La ministra tra l’altro sarebbe anche una sedicente moderata, visto che è in quota alla Margherita e non certo a Rifondazione. Intanto, dobbiamo registrare che per l’ineffabile Rosy – così come per i comunisti duri e puri – godere di un reddito medio-alto è di per sé una colpa. I ricchi devono piangere.

A detta di colei che dovrebbe curare le “politiche familiari”, quei padri che mettono il proprio unico reddito a disposizione di tutta la famiglia, vanno penalizzati proprio per questo. Evidentemente il fatto di mantenere la moglie la casa, così come l’alto numero dei figli, sono visti come “indicatori di lusso” che aggravano la colpa sociale di guadagnare bene. Ogni figlio in più sembra rappresentare un disvalore sociale da reprimere con la leva fiscale, così come avviene per il consumo di sigarette e superalcolici.

Alla faccia della Costituzione che tutela la famiglia, e alla faccia della ispirazione cattolica della ministra in questione. Ma il punto non è solo questo. Secondo la vergine di Sinalunga – come pure è stata definita la ministra, in virtù delle sue notorie opzioni personali – la scelta di metter su famiglia con un solo reddito genererebbe un’ulteriore distorsione: quella di “scoraggiare le donne lavoratrici”. Come a dire che la donna che rimane a casa, e si affida al reddito del marito per curare meglio la crescita e l’educazione dei figli, merita di essere scoraggiata.

A quanto pare, secondo la Bindi la donna che non lavora fuori casa contribuisce di meno al bene comune, in quanto non si emancipa. E quindi sarebbe meglio per le sorti progressive dell’intera società che le donne non stiano a casa con i figli. Così come è meglio che in ogni famiglia si lavori in due, piuttosto che dipendere tutti dal reddito un singolo sporco maschio borghese, che solo per questo può farsi venire tentazioni patriarcali. In altri termini, si tratta di veterocomunismo della più bell’acqua (santa).

Di pregiudizi pauperisti, veterofemministi, ed anche antifamiliari, che sono stati sconfitti in tutto il resto del mondo civile da ormai molti anni.  Ed altresì, si tratta dell’ennesima conferma che l’unico modo che la sinistra conosce di prendersi cura delle esigenze delle famiglie, è quello di andare in tasca alle medesime, per poi “redistribuire” il maltolto ai pochi nuclei familiari dei propri protetti, mediante elargizioni assistenziali. Questa non è un’opinione emersa dal solito comizio di Berlusconi o della Lega.

Si tratta delle dichiarazioni rese al parlamento da un ministro che dovrebbe essere, almeno di fronte agli elettori, espressione della parte più moderata della coalizione di governo. Che oltretutto, in quanto sedicente cattolica, dovrebbe essere anche quella più attenta alle famiglie.

Che schifo.