L’inferno di Haiti. Tra panico, dolore e rabbia

Haiti_terremotoragionpolitica.it sabato 16 gennaio 2010

Nei Paesi del cosiddetto Sud del Mondo ad ogni sussulto della natura i morti si contano a migliaia, a causa di governi inetti e corrotti che nulla fanno per preparare il territorio agli eventi e la popolazione a farvi fronte. Come gli ambientalisti, che inseguendo le loro utopie distraggono enormi risorse da impieghi molto più proficui.

di Anna Bono

Hanno detto che Haiti si trova su un’isola maledetta, Hispaniola, teatro di catastrofici eventi naturali che ogni volta spazzano via uomini, infrastrutture e attività produttive riportando i suoi abitanti alla povertà di sempre. Ma sull’altra metà dell’isola c’è la Repubblica Dominicana e il divario tra i due Stati salta agli occhi.

Nell’Indice dello Sviluppo Umano redatto ogni anno dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite Haiti occupa il 149° posto, su 182 nazioni considerate, mentre la Repubblica Dominicana è al 90°. Il PIL pro capite ad Haiti è di 699 dollari e nel periodo tra il 1990 e il 2007 ha registrato una diminuzione annua del 2,1%.

Quello della Repubblica Dominicana è di 3.772 dollari e il tasso di crescita nello stesso periodo è stato del 3,8% all’anno. Il 72% degli Haitiani vive con meno di due dollari al giorno e la loro speranza di vita alla nascita è di 55 anni. I Dominicani hanno una speranza di vita di 64 anni e soltanto il 15% di essi dispone di meno di due dollari al giorno.

In breve, a 200 anni dall’indipendenza dalla Francia e a 76 dalla fine dell’occupazione USA durata 19 anni, Haiti è il più povero dei paesi del continente americano come risultato di un susseguirsi di regimi corrotti e privi di scrupoli. Il peggio si è avuto con Papa Doc e Baby Doc: questi i soprannomi dati rispettivamente al dottor François Duvalier, presidente dal 1957 al 1971, e al figlio Jean-Claude, succedutogli alla sua morte e rimasto in carica fino al 1986.

Ma anche dopo, lo dimostrano i dati economici e sociali, le cose non sono andate molto meglio anche se, almeno, la popolazione è stata liberata dall’incubo dei Tonton Macoutes, “gli uomini spettro”, ovvero la spietata polizia segreta dei Duvalier.

È quasi superfluo osservare quindi che l’impatto negativo di un fenomeno naturale inevitabile dipende da ciò che è stato fatto per preparare un territorio e i suoi abitanti a farvi fronte: e ad Haiti, malgrado la prevedibilità dell’accanirsi degli elementi, nulla o quasi è stato fatto. Sembra che circa il 90% delle costruzioni della capitale Port-au-Prince fossero da considerarsi comunque precarie anche in tempi normali; e inoltre, come illustrano immagini e reportage diffusi man mano dai mezzi di comunicazione in questi giorni, erano carenti, anche in tempi normali, servizi pubblici, uffici amministrativi, mezzi di trasporto; né erano stati predisposti programmi d’emergenza in caso di calamità.

Una situazione analoga si riscontra in tanti stati del cosiddetto «Sud del mondo» che, di qualsiasi evento naturale si tratti, richiedono aiuti internazionali per soccorrere chi ne è colpito: dalla siccità, quando tardano le piogge, alle esondazioni, quando sono eccessive, agli uragani. Ma succede anche nel caso di altre manifestazioni della «natura matrigna», a incominciare dai virus e dai batteri e dalle malattie di cui sono responsabili, debellate in molti paesi e tuttora diffuse in quelli mal governati: la malaria è praticamente scomparsa in Europa, mentre in Africa uccide un bambino ogni 30 secondi.

Una seconda riflessione poi va fatta a proposito delle strategie indicate dai movimenti ambientalisti, da qualche anno quasi del tutto concentrati sull’obiettivo di combattere il global warming nel presupposto che sia un fenomeno reale determinato da fattori antropici.

Si fa sempre più strada l’ipotesi che tale presupposto sia errato. Migliaia di scienziati affermano inoltre che gli andamenti climatici di lungo periodo sono in effetti imprevedibili, mentre esistono strumenti per monitorare le attività sismiche, e quelle vulcaniche, oltre al fatto che è possibile ridurre drasticamente i danni provocati dai terremoti costruendo abitazioni e infrastrutture adeguate e preparando piani di assistenza alle vittime.

Perciò la domanda che, mano sul cuore, dovrebbero porsi i funzionari delle Nazioni Unite e i rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste che negli ultimi anni hanno fatto spendere milioni di dollari in conferenze, summit e pubblicazioni sul global warming è: non era forse meglio dedicare energie e denaro a minacce più concrete e probabili come i terremoti e gli uragani?

E prima ancora: piuttosto che incalzare i leader occidentali affinché stanzino centinaia di miliardi di dollari per ridurre il riscaldamento globale di origine antropica e rimediare ai suoi effetti dannosi, non sarebbe stato meglio svolgere serrate campagne di denuncia dell’irresponsabilità e del cinismo dei leader dei paesi poveri che lasciano i loro connazionali indifesi di fronte ai fenomeni naturali avversi?