Lidija Chukovskaja: cento anni fa nasceva la scrittice di “Appunti su Anna Achmatova”

Chukovskaja_LIl Sole 24 Ore 28 marzo 2007

di Piero Sinatti

Solo in Russia hanno ricordato la scrittrice russa Lidija Chukovskaja (1907-1996) nel centenario della nascita (24 marzo). Figlia del famoso poeta e critico letterario Kornej Chukovskij, assurse a grande notorietà negli anni 60-70, quando in Occidente uscirono per la prima volta i suoi libri, proibiti in patria. Partecipò attivamente al Dissenso e al samizdat. Fu espulsa dall’Unione degli scrittori sovietici nel 1974. Solzhenitsyn l’ha definita “gloria della pubblicistica russa “. Ma è un giudizio limitativo. Lidija fu una grande scrittrice e una testimone d’eccezione.

Deve la sua fama principalmente al sodalizio con la grande poetessa russa Anna Akhmatova (1889-1966), nato e maturato a Leningrado negli anni del Grande Terrore, di cui entrambe furono vittime. Il marito della prima, il fisico Matvej Bronshtein, fu arrestato e fucilato nel 1937. Il figlio della seconda, Lev Gumilev, fu spedito nel Gulag un anno dopo. Entrambe sfuggirono all’arresto, di solito riservato ai congiunti dei “nemici del popolo”.

Condivisero, con migliaia di altre donne leningradesi, il calvario di interminabili ore e giornate di attesa nelle lunghissime code che nel 1937-1938 si formavano presso il carcere, la Procura e la sede dell’NKVD (la polizia politica) di Leningrado. Cercavano notizie di mariti o figli o padri arrestati. Portavano pacchi fidando che fossero là detenuti.

La Chukovskaja, filologa, amante della poesia cui era stata abituata sin da bambina grazie alle straordinarie frequentazioni della casa paterna, aiutava l’Akhmatova nella redazione delle poesie, nei contatti con dattilografe, case editrici e riviste letterarie. Non solo. Sorretta da una memoria e un coraggio straordinari Lidija imparò a mente e conservò le liriche della poetessa dedicate alla tragedia che stava vivendo la Russia in quegli anni terribili.

Impubblicabili, allora, e rischiosissimi a conservare, quei versi erano destinati ai posteri, affinché di quelle sofferenze restasse una traccia. Grazie a Lidija possiamo leggere, oggi, quella inestimabile testimonianza umana e poetica che è il Requiem dell’Akhmatova Da e su quel sodalizio nacque il libro più famoso di Lidija: Appunti su Anna Akhmatova. Vi si parla quasi esclusivamente di poesia, di grandi poeti amici (soprattutto Mandel’shtam e Pasternak), oltre che delle incombenze, delle pene e delle nevrosi di una vita quotidiana umiliante, angosciosa, sullo sfondo del Terrore, innominato come i suoi sinistri artefici (Stalin, Ezhov, l’NKVD).

La Chukovskaja – ecco quello di lei si dovrebbe più ricordare – ha scritto due bellissimi romanzi brevi (povesti). Gli unici su quel periodo scritti non retrospettivamente, ma negli stessi anni delle storie che narrano. Un atto impensabile per quei tempi di arresti di massa e occhiute perquisizioni. Anch’essi, come le liriche del Requiem , erano destinati ai posteri. Sofija Petrovna è il primo dei due.

A più di vent’anni dalla sua stesura fu respinto nel 1962 dalla rivista “Novyj Mir”, che pubblicò nello stesso anno Una giornata di Ivan Denisovich di Aleksandr Solzhenitsyn, con dirompente clamore perché trattava del Gulag. Ma non del Terrore. Siamo nel 1937. Sofija Petrovna, segretaria di una casa editrice e il figlio, tecnico-operaio innovatore, lavorano con entusiasmo “per il bene della causa”. Il Terrore è già all’opera, ma Sofija se ne accorge solo quando il figlio finisce nel tritacarne staliniano. Come madre di un “nemico del popolo” Sofija viene licenziata. Il mondo le crolla addosso, d’improvviso, facendola precipitare in una disperazione che rasenta la follia.

La storia, nata dall’esperienza diretta dalla Chukovskaja, oltre al dramma psicologico della protagonista descrive le attese senza fine, le snervanti e inutili visite nelle sedi dei carnefici, assieme a tante, tante altre donne. L’esposizione rigorosa trasmette lo spirito di quel tempo, una sorta di incubo collettivo. Negli anni Sessanta, con il Disgelo khruscioviano, il libro circolerà ampiamente nel samizdat.

L’anno è il 1949. In una casa di cura e vacanze per letterati , in un bosco presso Mosca, la traduttrice Nina Sergeevna cerca la solitudine e il silenzio, impossibili al lavoro e nella casa in coabitazione. Per tuffarsi nel passato e raccontarlo. Una decina di anni prima suo marito, uno scienziato, è scomparso (come il marito della scrittrice). Di lui le hanno detto solo che è stato condannato a dieci anni di lager senza diritto a corrispondenza.

Non sa che è una menzogna, cui le autorità allora ricorrevano per nascondere le innumerevoli quotidiane esecuzioni del Terrore, fino a quando glielo rivela uno scrittore incontrato nel pensionato, luogo di regime e di privilegio. Questi le confida di essere stato alcuni anni ai lavori forzati in una miniera del Gulag e aver vissuto in condizioni spaventose, che lo hanno minato fisicamente. Sulla base di quella esperienza ha scritto un romanzo, che fa leggere a Nina. Ma di essa ha serbato, camuffandoli fino a renderli irriconoscibili, solo pochi spezzoni.

Ne è venuto fuori un libro di regime, sul valore del lavoro socialista, che Nina condanna con parole di disprezzo, troncando di netto un amore nascente tra i due. A differenza del primo, il secondo romanzo è pervaso da un intenso lirismo (con al centro il bosco, la neve e la campagna russa, luoghi canonici della grande poesia e della parola russe), che attutisce e distanzia il male che circonda la protagonista: la guerra appena passata che anche là nel bosco ha lasciato tracce di morte, la corruzione interiore degli ospiti del pensionato, lo squallore del villaggio vicino e l’arresto prima dell’alba di uno scrittore ebreo. E’ iniziata la caccia all’ intelligentsija “cosmopolita”. Il presagio di un nuovo Terrore.

Note:

Dal Requiem di Anna Akhmatova In luogo di prefazione. Negli anni terribili della ezhovshchina (da Nikolaj Ezhov, capo dell’NKVD e artefice con Stalin del Grande Terrore, P.S.) ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado. Una volta qualcuno mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro a me e che, sicuramente, non aveva mai sentito dire il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di noi tutti e mi domandò in un orecchio (lì tutti parlavano sussurrando):

– Ma questo lei può descriverlo ?

– E io dissi:

– Posso.

Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.

Da Anna Achmatova, La corsa del tempo – Liriche e Poemi , a cura di M.Colucci, Einaudi, Torino, 1992, pag. 139).

In tre volumi fu pubblicato per intero in Francia nel 1976 e in Russia nel 1989. Da noi è apparso solo il primo volume, presso Adelphi, nel 1990, con il titolo Incontri con Anna Akhmatova 1938-1941.

Esce per la prima volta a Parigi nel 1965 e in Russia alla fine degli anni Ottanta, in Italia presso Jaca Book nel 1977.

Pubblicato per la prima volta a New York nel 1972, appare cinque anni dopo da Vallecchi, con il titolo Indietro nell’acqua scura in una bella traduzione e a cura di Sergio Rapetti).