“L’eterno infantile” in Michael Ende

Michael Ende

Michael Ende

Vita Nova settimanale della diocesi di Trieste

di Fabio Trevisan

Il bambino che sono stato vive ancora oggi dentro di me; crescendo, non si è scavata alcuna voragine che me ne separa … devo ammettere che non sono mai veramente cresciuto nel senso corretto del termine. Anzi, per tutta la mia vita ho lottato per non diventare ciò che oggi viene definito essere umano adulto, vale a dire una creatura disincantata piatta illuminata dalla ragione … vorrei accostare alla definizione goethiana di “eterno femminino” quella di “eterno infantile”, un’essenza senza la quale l’uomo smette di essere uomo”.

Queste frasi appartengono allo scrittore tedesco Michael Ende (1929-1995), conosciuto al grande pubblico soprattutto attraverso due versioni cinematografiche di altrettanti suoi romanzi fantasy: “Momo”, pubblicato nel 1973 e reso celebre nel 1986 anche in Italia con la colonna sonora di Angelo Branduardi e: “La storia infinita”, scritta nel 1979 e trasposta sul grande schermo dalla controversa regia di Wolfgang Petersen nel 1984.

Nell’opera di questo eclettico ed originalissimo scrittore, i bambini sono gli autentici protagonisti perché,  citando L’Autore, “… crediamo che un mondo che non sia abitabile per i bambini non può esserlo in ultima istanza neanche per gli adulti”. Infatti, Momo è una bambina che restituisce il senso del tempo e dell’autentica felicità agli uomini, così come nella “Storia infinita” l’Infanta Imperatrice si avvarrà del coraggio e dei valori genuini di un bambino di circa dieci anni, Atreiu, per sconfiggere il sopravanzare del Nulla e salvare dall’imminente dissoluzione il Regno di Fantàsia.

L’eterno infantile in Ende si contrappone in modo perentorio al nichilismo del “deserto della civiltà” costituito dai “Signori grigi” che in “Momo” rendono la vita delle persone convulsa e priva di un reale significato. Dinanzi a Momo, imprevedibile e fantasiosa ragazzina, i cosiddetti “uomini grigi” cercano di proseguire il loro piano di svuotamento dei valori comprandole dei giocattoli.

Anche nella “Storia infinita” la tristezza (il cavallino Artax, fedele ad Atreiu,  sprofonda, perdendosi, nelle Paludi della Tristezza)ed il grigiore incombono drammaticamente, tanto che si diventa sempre più grigi man mano che ci si lascia assorbire dalla spirale del Nulla. Un severo monito quindi, quello di Ende, a vigilare.

Una minaccia, il nichilismo, da scongiurare, la cui origine è inquivocabilmente riassunta in una denuncia senza mezzi termini: “Con l’inizio dei tempi nuovi tutto mutò. In quel momento l’intellettualismo moderno cominciò a scacciare l’antica spiritualità europea da ogni campo … Per quanto riguarda quella che era stata fino ad allora ritenuta l’anima dell’uomo, con tutti i suoi ideali di libertà, intelligenza, responsabilità, amore, creatività, umorismo e dignità, si chiarì che si trattava di una pura illusione”.

Nella raccolta di saggi: “Storie infinite” (Editore Rubbettino), curata da Saverio Simonelli, uno dei più grandi esperti di Ende in Italia, si legge il “manifesto” ideale dell’Autore tedesco: “Signore e signori, vi prego di riflettere un attimo fino a quale livello noi uomini moderni siamo riusciti a disincantare il mondo, a defraudarlo di misteri e meraviglia e a condannarlo alla distruzione grazie alle spiegazioni razionali”.

Quali sono le “spiegazioni razionali” che Ende osteggia?

Sono tutte quelle forme ideologiche che vanno dallo scientismo insuperbito alla ferocia disumana del nazismo (Hitler ed epigoni perseguitarono  l’arte surrealista di suo padre Edgar definendola “arte decadente” e lo stesso Michael si rifiutò di combattere per quel regime totalitario).

Ende ha voluto mostrare il volto disumano e pretenzioso di certa scienza, contrapponendola alla forma ed all’espressione artistica: “C’era una volta da qualche parte in un angolo sperduto dell’universo una grossa nube di idrogeno, che iniziò – anche se non si sa perché – a ruotare. A poco a poco si formò una serie di ammassi di materia che si mise a orbitare attorno ad un sole. Dopo alcuni milioni di anni sotto l’influsso di radiazioni cosmiche in uno di questi ammassi si formò una prima cellula di proteine che iniziò a riprodursi e che ancora in un periodo di tempo incalcolabile si sviluppò sempre più perfettamente, secondo le necessità dell’adattamento e della selezione naturale finché non ne venne fuori l’uomo … Vi prego, signori e signore, di porre concretamente davanti ai vostri occhi lo squallore e la banalità di una simile rappresentazione del mondo … Da questa idea di mondo non si possono dedurre valori morali religiosi o estetici. E’ giunto il tempo di contrapporre a questa immagine dell’universo una visione differente che restituisca al mondo il suo mistero e all’uomo la sua dignità”.

La funzione redentiva dell’arte, della fantasia e dell’immaginazione sono sintetizzate in questa brillante intuizione dello scrittore tedesco: “In questo compito gli artisti, i poeti e gli scrittori avranno una parte importante perché il loro lavoro è donare alla vita magia e mistero”.

Questo grande compito assunto da Michael Ende si può intravvedere nella già menzionata epopea fantastica: “La storia infinita”. Suddivisa in 26 capitoli come le lettere dell’alfabeto tedesco, essa rimanda strutturalmente, ma non solo, ai poemi epici dell’Iliade e dell’Odissea, opere altrettanto suddivise in capitoli (24)come le lettere dell’alfabeto greco. Non solo, la “Storia infinita” è scritta volutamente con due colori, il rosso del mondo degli uomini ed il verde del Regno di Fantàsia. In forza di questa struttura fantasy.

L’Autore tedesco vuole farci vedere ciò che accomuna il lettore Bastiano (il quale si ritira nella soffitta della scuola a leggere) al personaggio Atreiu, tanto da rendere accostabili e sovrapponibili i due mondi ed i due colori, il rosso ed il verde. Compenetrati dagli stessi sentimenti e dagli stessi timori, Bastiano ed Atreiu non solo non rifuggono alla loro chiamata ma prendono parte appassionatamente alla sfida per la salvezza del mondo contro l’invasione del Nulla. Nel secolo del disincanto – come ha giustamente osservato Simonelli – Ende si mostra un romantico a tutto tondo ed i riferimenti in tal senso sono inequivocabili.

Il legame con gli scrittori romantici è connaturato in Ende, tanto da far proprio un frammento di Novalis (1772-1801): “Il mondo deve essere romanticizzato.Così si ritrova il suo senso originario” o un brano di Eichendorff(1788-1857): “ Una canzone dorme in tutte le cose che sognano e sognano e il mondo prende a cantare se solo indovini la parola magica”.

La fiaba, il racconto fantastico, il ruolo della fantasia aprono,  per Ende, una prospettiva di cospicua importanza per la libertà e la vita dell’uomo. Tradurre un’opera d’arte solo attraverso dei concetti costituisce un’operazione sbagliata e controproducente, poiché, afferma l’Autore stesso :“La lingua delle immagini è quella originaria e la più vitale … il potere di convincere, proprio dell’arte e della poesia, consiste specificatamente e soltanto nella compiutezza dell’incarnazione di un’idea-forma … il patrimonio condiviso sarà da trovare in ciò che è spirituale, nelle immagini che precedono i concetti”.

Dare forma al concetto in modo sempre nuovo e sempre vivo è il compito che l’artista dovrebbe assumersi, in quanto non vi dovrebbe essere alcuna soggezione da parte dell’artista nei confronti della ragionevolezza, anzi, come afferma ancora Michael Ende: “L’arte non si deve spiegare, neanche la poesia … la poesia non deve insegnare né descrivere, ma deve farsi realtà … l’uomo trova davvero accesso all’arte solamente nel caso in cui vi abbia a che fare direttamente. Deve occuparsene perché rimanendone al di fuori non vi ha accesso… I valori non si trovano davanti a noi, per così dire in forma innata e automaticamente comprensibile, ma devono essere creati e continuamente rinnovati perché siano a nostra disposizione”.

Dal punto di vista della filosofia dell’arte Ende merita, senza alcun dubbio, un ulteriore approfondimento perché la sua ricerca sulla natura della bellezza non è riconducibile alla sola esperienza soggettiva, come si potrebbe ingenuamente fraintendere; al contrario, Ende afferma che la bellezza non solo è trascendente ma che non la si può comprendere rimanendo su un piano immanente.

Per essere percepito l’ oggettivamente bello c’è bisogno però del soggetto, poiché la bellezza ha bisogno di uomini che ne siano capaci. Traendo lo spunto ancora da un grande autore tedesco, Friedrich Schiller (1759-1805), Michael Ende ripropone una frase un po’ paradossale: “L’uomo deve giocare solo con la bellezza, ma con la bellezza egli deve solo giocare”.

Se l’arte e la poesia, nel loro senso più nobile, hanno un’intima corrispondenza con il gioco, allora l’artista tramuta e trasfigura ogni cosa in un gioco. E in questo gioco, ecco un altro paradosso, è serio.

Si potrebbe dire, come sovente viene ripetuto nella “Storia infinita”, che “questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta”.

Tra le molte altre opere composte da Michael Ende (inizialmente pubblicate in Italia da Longanesi) merita una menzione speciale, infine, “Lo specchio nello specchio”, trenta racconti tormentati dedicati ed ispirati all’arte surrealista del padre Edgar.