da Vita Nuova settimanale cattolico di Trieste 9 Novembre 2018
Per Ignazio il discernimento avviene sui pensieri, ma i pensieri vengono scoperti a partire da ciò che sentiamo dentro di noi durante la preghiera, attraverso due sentimenti principali, la consolazione e la desolazione, che comprendono numerose sfumature.
«Consolazione e desolazione sono due movimenti, due direzioni, che rivelano i pensieri, le interpretazioni che stanno operando dentro la persona. Se vogliamo cercare l’azione di Dio in noi, dobbiamo prestare attenzione a quei sentimenti che rivelano i pensieri che vengono da Dio», ricorda il gesuita Gaetano Piccolo.
«Nella consolazione infatti il cuore dell’esperienza è costituito dal fatto che l’anima sente la manifestazione di Dio come amore, cioè si sente con evidente e indubitabile sicurezza amata da Dio, e ciò può avvenire in maniera mediata o immediata.
Al contrario, nella desolazione il nucleo dell’esperienza vitale è costituito dall’esperienza di allontanamento di Dio e ciò si ripercuote immediatamente su tutto l’essere», scrive p. Achille Gagliardi. Le regole di Ignazio riguardano un “sentire” che sembra riferirsi soprattutto a ciò che potremmo definire come ambito dell’“affettività spirituale”.
Sono delle «regole per sentire e conoscere in qualche modo le varie mozioni che si producono nell’anima» per imparare a decifrare il “linguaggio” di Dio nel dialogo con l’anima. Sant’Ignazio ritiene infatti che Dio si comunica personalmente a ognuno innanzitutto attraverso i moti interiori.
Ciascuno di noi, inevitabilmente, vive oltre a una immanente esperienza psicologica, un’esperienza religiosa e spirituale, più o meno consapevole, sostengono gli studiosi di spiritualità e il dono (e la pratica) del discernimento aiuta a essere più consapevoli di questo, facendoci diventare veramente liberi perché in unione con Dio.
Il nostro “sentire” personale quindi pare non essere solo frutto di ragionamenti o di un inconscio incontrollato, sembra non possa essere circoscritto nell’ambito dei concetti o della patologia, esso in parte trascende queste dimensioni. Ignazio infatti sconsiglia di farne solo una lettura di tipo psicologico-morale proponendoci di leggere questi moti interiori entro una dinamica che viene prima delle categorie morali, ovvero quella spirituale.
Il “sentire” interiormente è indispensabile per comprendere e percepire i tocchi dello Spirito che si succedono nel nostro intimo e ci permettono di “sentire” la presenza viva e vera di Dio.
Per imparare a discernere è di necessaria importanza la volontà di mettersi in preghiera: il raccoglimento, il distacco, il silenzio, sono gli unici luoghi che favoriscono l’ascolto attento delle risonanze profonde e ci permettono di capire se esse sono mosse da Dio o dal demonio.
Nel discernimento tutto si gioca nella libertà di trattenere ciò che è buono e respingere ciò che è male, e non possiamo ritenerci responsabili dei moti interiori, autentici o ingannatori, fin tanto che non li assumiamo con la nostra libertà, senza per questo escludere la dimensione fondamentale della grazia, come ricorda padre Silvano Fausti.
Nella Bibbia, specie nei testi antichi, per scelta si intende ciò che l’uomo vuole e deve fare, e per discernimento ciò che egli comprende come suo dovere fare, in seguito a una illuminazione o mozione interiore. Per questo, se nella scelta è solo l’uomo che opera, nel discernimento è lo Spirito di Dio che opera in lui.
Le regole che Ignazio propone nei suoi Esercizi Spirituali sono suddivise in due gruppi: il primo gruppo è indicato per coloro che compiono il cammino di conversione e di purificazione dal peccato, mentre il secondo gruppo è rivolto a quanti si stanno avviando nella via “illuminativa”, ovvero sono già sul cammino di una fede matura.
Per Ignazio il discernimento si differenzia tra chi deve ancora abbandonare una facile propensione al peccato, e tra chi ha imparato, o sta imparando, a lasciarsi condurre dallo Spirito. Il primo è ancora facile ai semplici inganni, mentre il secondo riesce a individuare rapidamente le tentazioni grossolane.
Padre Ignazio individua nei sentimenti di consolazione e desolazione i moti suscitati rispettivamente dallo spirito buono e dallo spirito cattivo. Egli chiama consolazione spirituale, ciò che «nell’anima produce qualche mozione interiore, con la quale l’anima viene a infiammarsi nell’amore del suo Creatore e Signore e, per conseguenza, quando non può amare in sé nessuna cosa creata sulla faccia della terra, ma solo nel Creatore di tutto».
Inoltre chiama «consolazione ogni aumento di speranza, fede e carità e ogni letizia interna, che chiama e attrae alle cose celesti e alla salvezza dell’anima propria, quietandola e pacificandola nel suo Creatore e Signore». Si tratta quindi di un’esperienza dei «frutti dello spirito», già elencati da san Paolo, che sono alla base dell’esperienza cristiana. Bisogna però fare una precisazione, perché se è vero che lo spirito del Signore porta pace, è anche vero che questa pace non è sempre come noi ce la immaginiamo.
Per Ignazio invece la desolazione è ciò che provoca: «oscurità nell’anima, turbamento, mozione verso le cose basse e terrene, inquietudine per le diverse agitazioni e tentazioni, che muovano a sfiducia, senza speranza, senza amore, trovandosi tutta pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore».
Va anche qui precisato che bisogna distinguere bene la tristezza, perché ve n’é una che porta alla “morte”, un’altra che conduce al pentimento e quindi alla conversione. Egli raccomanda anche di non prendere mai decisioni nuove durante la desolazione, perché è importante rimanere saldi nei propositi fatti in precedenza, o nel periodo di consolazione, senza cambiarli se non nel momento in cui torna la pace.
Inoltre le regole ci suggeriscono come «reagire contro la desolazione» per ritrovare l’unione con Dio, «restando per esempio più tempo nella preghiera e nella meditazione» o «secondo che sarà meglio, qualche tipo di rinuncia volontaria».
In alcune regole sono compendiate metaforicamente certe dinamiche dello spirito tentatore nei nostri confronti e dei suggerimenti per non permettere al diavolo di prevalere. Con queste regole il pellegrino Ignazio ci ricorda che il male non può vincere direttamente, usando apertamente la forza, ma solo attraverso illusioni, seduzioni e inganni.
Questo agire subdolo viene descritto con varie figure che coinvolgono la nostra mente, il nostro cuore e i nostri sensi attraverso l’immaginazione. Il primo modo di agire è descritto come quello di una persona litigiosa che è forte quando l’altro si fa debole, e debole quando l’altro si fa forte. Il secondo modo di agire è paragonabile a quello di «un falso amante» che non vuole farsi scoprire da nessuno; così lo spirito cattivo cercherà di tener nascoste le sue tentazioni, facendoci credere che stiamo agendo bene e che per questo non dobbiamo parlarne con alcuno.
Per reagire a questa tentazione, Ignazio ritiene importante portare alla luce (con il confessore o il padre spirituale) anche le piccole tentazioni che reputiamo gestibili e poco influenti. L’ultimo modo è simile al comportamento di «un capo militare» che vede e studia dove può colpire. Il maligno individuerà dove siamo più sprovveduti, i nostri punti deboli, per attaccarci.
Il secondo gruppo di regole è pensato per quando la tentazione si fa più fine e subdola nelle persone che procedono fiduciose e decise verso la via “unitiva”. Queste regole affrontano il caso di chi è «combattuto e tentato sotto apparenza di bene».
Se all’inizio del nostro cammino spirituale il tentatore sferra degli attacchi subdoli ma facilmente riconoscibili, per esempio, enfatizzando le difficoltà per proseguire il nostro percorso verso Dio o presentandoci piaceri apparenti, ora invece la sua azione è più circospetta, più sofisticata, e ci tenterà attraverso l’apparenza dei piaceri spirituali, con «sottigliezze e continui inganni». L’astuzia dell’angelo cattivo in questo caso tenterà di far convergere i nostri buoni pensieri, che producono gioia e pace, verso una direzione perversa.
È quindi importante volgere l’attenzione sull’esperienza pratica, cioè sui frutti dell’azione dello spirito cattivo, perché se anche molto abile nel nascondersi, durante il cammino non può certamente celare completamente le sue tracce, in quanto «i suoi frutti si sveleranno per la sua coda serpentina».
Queste regole vengono a colmare la lacuna di chi, trovandosi nel cammino di purificazione, non ha ancora la capacità di sventare le astuzie e i trucchi del nemico, nell’ambito dell’origine e del «corso dei pensieri».
«Spesso infatti, in questo secondo tempo, sia con un proprio ragionamento, cioè con associazioni e deduzioni di concetti e di giudizi, sia per l’azione dello spirito buono o di quello cattivo, la persona formula propositi o pensieri che non sono ispirati direttamente da Dio nostro Signore; perciò bisogna esaminarli molto accuratamente, prima di dar loro pieno credito e di metterli in atto».
Lo scopo delle regole è dunque quello di aiutare a individuare il proprium di Dio e il proprium di Satana, discernere dalla vera alla falsa consolazione e riconoscere se i propositi formulati siano ispirati dallo spirito buono o da quello cattivo.