INCHIESTE Dossier Mitrokhin. Mistero all’italiana

Mitrokhin_coverStudi Cattolici n.532 giugno 2005

Il 15 dicembre 2004 la Commissione parlamentare sul «Dossier Mitrokhin e l’attività di intelligence italiana» approva la relazione di mezzo termine del presidente, sen. Paolo Guzzanti, presentata a conclusione della prima parte dell’inchiesta, dopo cinque mesi di dibattito e discussione generale. La relazione finale è prevista verso la fine della legislatura. «Sarà il Watergate italiano», annuncia Guzzanti. Vogliamo qui ripercorrere l’intricata vicenda che nel nostro Paese, tra omissis, silenzi e ostruzionismi, passerà senz’altro alla storia come l’ennesimo «pasticcio all’italiana».

di Emanuele Gagliardi

La «bomba» Mitrokhin esplode nel dicembre del 1996 con uno scoop della rivista tedesca Focus: un ex ufficiale del Kgb fuggito in Inghilterra quattro anni prima avrebbe reso noti «i nomi di centinaia di spie russe» (1).

Il Servizio informazioni estere russo (Svr) (2), versione postsovietica dell’Fed (Primo di rettorato centrale del Kgb), bolla la notizia come «un’enorme assurdità», ma la realtà è invece sensazionale: le valutazioni del servizio segreto su situazioni e personalità politiche, i sistemi d’azione, i nomi (di battesimo e in codice) degli infiltrati nei Paesi dell’Est e in Occidente sono miglia. Dal 1972 al 1984 Vasilij Mitrokhin – questo il nome dell’oscuro archivista, morto ottantaduenne nel gennaio del 2004 – ha trascritto documenti top secret del Kgb ricostruendo, e consegnando al mondo occidentale, la vera storia dei servizi segreti sovietici dalla Rivoluzione d’Ottobre all’éra Gorbaciov.

Perché lo ha fatto? Vasilij inizia la carriera presso il Servizio informazioni estere dell’Mgb (poi Kgb) a ventisei anni, nel 1948. E’ il periodo dell’ultimo Stalin e del suo sicario Lavrentij Berija, ossessionati dalle presunte congiure del maresciallo Tito e del sionismo tout court., Stalin muore nel marzo 1953.

Berija, che aspira alla successione, viene liquidato lo stesso anno dai suoi avversari Melenkov e Kusciev: arrestato a giugno è fucilato a dicembre, dopo un ambiguo processo per «attività criminali contro il partito e lo Stato». Kruscev conquista il Cremino e durante il XX Congresso del Partito comunista sovietico (14-25 febbraio 1956) condanna il culto della personalità e i crimini di Stalin (3).

Una svolta epocale. Molti però (tra questi il nostro Mitrokhin) si domandano il perché di tali atrocità e dove fosse il nuovo Segretario generale mentre venivano commesse. «Distensione» e «destalinizzazione» sono le parole d’ordine dell’éra Kruscev, ma criticare la nomenklatura è ancora pericoloso e così Mitrokhin paga le sue opinioni con il trasferimento dalle operazioni all’archivio dell’Fcd.

Vasilij legge gli scrittori messi all’indice dal regime, considera la censura contro Pasternak (autore del Dottor Zivago) la prova della barbarie culturale di Kruscev, secondo cui «lo sviluppo della letteratura e dell’arte in una società sovietica procede […] secondo le direttive del partito» (4). Lo impressiona la violenta repressione della «Primavera di Praga» (1968) e il costatare come il Kgb manipoli a piacimento il sistema giudiziario.

Si appassiona alla lotta dei dissidenti e matura l’idea di un tentativo sui generis per documentare le iniquità del sistema sovietico: compilare un proprio archivio delle operazioni del Kgb all’estero. L’occasione si presenta nel 1972: l’Fcd trasloca dagli uffici della Lubjanka (sede centrale del Kgb) in un nuovo edificio a Jaslevo (a sud-est di Mosca) e Mitrokhin è responsabile del controllo e del sigillo di circa 300.000 documenti da trasferire.

Ci sono le testimonianze ufficiali dell’attività degli agenti sovieticio all’estero prima del secondo conflitto mondiale (i cosiddetti «Grandi Illegali») e nel periodo bellico, nonché della rete di «residenze illegali» sotto copertura diplomatica o altre coperture ufficiali realizzata dal Kgb nel secondo dopoguerra.

Per dodici anni, durante la settimana, Mitrokin prende appunti su pezzetti di carta che nasconde nelle scarpe e negli abiti e, appena a casa, sotto il materasso. Poi nel weekend li porta in una dacia di famiglia fuori Mosca e li trascrive a macchina, quindi nasconde i dattiloscritti in un zangola del latte, nel catino del bucato, in alcuni bauli di latta che seppellisce sotto le fondamenta della dacia. La era storia gli passa sotto gli occhi.

Lo turbano oltremodo le atrocità della guerra in Afghanistan (1979): villaggi distrutti, quattro milioni di profughi e un milione di morte fra gli afgani; 15.000 soldati russi caduti, rimpatriati alla chetichella e seppelliti senza onori e con il divieto tassativo di accennare all’Afghanistan sulle lapidi.

Nel 1984 Vasilij va in pensione. Impensabile pubblicare il materiale raccolto in patria, impossibile portarlo in Occidente. Quando a novembre del 1989 rolla il Muro di Berlino, però, il monopolio sovietico comincia a sgretolasi e Vasilij comprende che dovrà pazientare ancora per poco. A fine 1991 l’Urss scompare dalle carte geografiche: è il momento!

A marzo ’92 nasconde alcune pagine dei suoi appunti sul fondo di una valigia e sale su un treno notturno diretto verso la capitale di una delle repubbliche baltiche (che non vuole rivelare) da poco indipendenti. Si presenta all’ambasciata britannica, mostra gli appunti e parla del suo voluminoso archivio. L’interesse è immediato e i servizi segreti inglesi (Sis) organizzano la sua fuga. Il 7 ottobre, ironia della sorte proprio il giorno del 75esimo anniversario della Rivoluzione bolscevica, Mitrokhin e famiglia lasciano definitivamente la Russia per iniziare una nuova vita in Gran Bretagna.

l «dossier Impedian»

Nel settembre 1999 esce in Inghilterra The Mitrokhin Archive, curato da Christopher Andrei, docente di storia moderna e contemporanea nonché preside della Facoltà di Storia all’Università di Cambridge. L’effetto è dirompente. In Italia Rizzoli lo pubblica due mesi dopo, ma i media hanno già dato risalto all’eccezionale documento, anche perché contiene i nomi degli agenti italiani reclutati dal Kgb e di cui il Parlamento, rinunciando al segreto di Stato, ha autorizzato la diffusione.

I fatti di casa nostra occupano un capitolo di 645 pagine, noto come «dossier Impedian»: 261 schede su agenti e operazioni del Kgb in Italia con nomi, cognomi, nomi in codice e qualifiche. Gli epigoni del Partito comunista italiano e i loro satelliti da cinque anni liquidano la cosa come «spazzatura», mentre il centrodestra – che il 7 maggio 2002 ha istituito un’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta alla cui presidenza è il senatore di Forza Italia Paolo Guzzanti (5) – continua, tra ostruzioni e derisioni, a voler far luce su questo autentico, ma non unico, «pasticcio all’italiana».

Dalle pagine dell’archivio si apprende che all’epoca della guerra fredda la«residenza» del Kgb a Roma è seconda soltanto a quella di Parigi nello scacchiere europeo. In italia, come in Francia, la penetrazione è stata favorita dal ruolo primario svolto dai rispettivi partiti comunisti nella Resistenza al tempo della seconda guerra mondiale. Agenti sovietici si trovano in molti ministeri e, negli anni ’70, occupano importanti posizioni nel mondo giornalistico.

Fra gli agenti «di lungo corso» spicca Dario (alias Bask, alias Spartak, alias Gau, alias Chestnyy, alias Gaudemus, nomi in codice di Giorgio Conforto), reclutato su base ideologica già nel 1932, infiltrato nel Partito nazionale fascista nel ’37 e successivamente nel Centro anticomunista annesso al ministero degli esteri. Dario recluterà diversi agenti, anche donne, fra cui Leda che diverrà sua moglie.

Nel 1975, dopo oltre quarant’anni di «onorato servizio» Dario e Leda vengono insigniti dell’Ordine della Stella Rossa. La lista è lunga. C’è, per esempio, Questor (Francesco Virda), ufficiale cifratore del ministero degli Interni, che fornisce al suo «controllore» i cifrari utilizzati dalle prefetture, dal ministero delle Finanze, dai comandi nazionali e regionali dei Carabinieri, dalle missioni diplomatiche, dallo Stato maggiore e dal Sifar (Servizio Informazioni delle Forze Armate), nonché elenchi di comunisti italiani, cittadini stranieri residenti in Italia e altri elementi sorvegliati dalla polizia.

Anche l’ambasciata italiana a Mosca è oggetto delle «attenzioni» del Kgb. Le «talpe» vengono reclutate con la tipica tecnica della «compromissione sessuale» e successivo ricatto. In questo periodo il Centro (ossia il quartiere generale del Kgb) ha una conoscenza perfetta dell’attività diplomatica italiana e francese, come se la diplomazia delle due nazioni avvenisse alla luce del sole.

Nel 1970 ci sono a Roma nove ufficiali della Linea X (Dipartimento delle informazioni scientifiche e tecnologiche nelle residenze del Kgb) che controllano una decina di agenti, per lo più imprenditori e accademici. Uchitel («docente») insegnante in un prestigioso ateneo, a cavallo ta gli anni ’70 e gli anni ’80 frnisce segreti militari importantissimi, tra cui notizie sul Tornado, il nuovo cacciabombardiere della Nato. Gli agenti italiani vengono utilizzati per carpire informazioni scientifiche e tecnologiche al «Grande Avversario», gli Stati Uniti.

Fra i principali compiti delle residenze del Kgb all’estero c’è l’organizzazione delle cosiddette «misure attive». Fra le più efficaci, in Italia e in Europa, quella che nei primi anni ’80 fa leva nell’antiamericanismo e sul timore di un conflitto atomico. Benché sia proprio l’ Urss a riavviare la corsa agli armamenti schierando i suoi missili a medio raggio SS20, i movimenti pacifisti, manovrati dal Cremino, puntano l’indice sulla conseguente decisione americana di posizionare in Europa i missili Pershing II e Cruise, Mitterand commenta con ironia: «I missili sono a est ma le proteste dei pacifisti a ovest».

In effetti oggi accade lo stesso: il terrorismo semina morte e la piazza si mobilita contro Bush. Sarebbe interessante sapere chi o che cosa, dimesso il Kgb e con Putin sempre più filo-occidentale, ci sia dietro al berciare degli orfanelli di Lenin che esigono il ritiro dall’Iraq. Probabilmente soltanto meri calcoli elettorali.

Anni di piombo & oro di Mosca

Sullo scorcio degli anni ’60 il ruolo guida del Pcus – già minato all’inizio del decennio dal dissidio ideologico con Pechino – viene messo in discussione da una nuova corrente di pensiero denominata poi eurocomunismo. Questa «eresia» nasce all’indomani della Primavera di Praga, soffocata nel sangue dai tank sovietici, ed è trainata dal Partito comunista italiano che nega, almeno a parole, il preteso diritto dell’Urss e del Pcus di intervenire con le armi «nella vita interna di un altro partito comunista o di un altro Stato».

Nei fatti, però, i «profondi, fraterni e autentici legami» – come recitano le veline di Partito – fa Pci e Pcus continuano anche dopo la tragedia cecoslovacca, benché più occulti. Luigi Longo, succeduto a Togliatti alla guida del Pci, si rivolge a Mosca allorché – dopo il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia (1967) – tem un golpe di desta nel nostro Paese.

Il Cremilno organizza allora un programma di addestramento per garantire l’eventuale sopravvivenza del Pci come movimento illegale: agenti, stazioni radio clandestine, falsificazione di documenti, eccetera. Sempre Longo bussa a quattrini in vista delle elezioni politiche del 1972. Gli risponde Breznev in persona con un lettera che comprova la sovvenzione in termini di 5.200.000 dollari, «più altri 500.000 dollari per fare in modo che il Partito comunista italiano prendesse parte alla campagna elettorale». Il denaro sovietico arriva direttamente nelle casse di Botteghe Oscure attraverso l’ambasciata a Roma o tramite contatti lucrosi con società controllate dal Pci.

Quando, nel settembre 1973, i militati rovesciano Allende in Cile, Mosca riattiva la sua rete per garantire il Pci nel caso accadesse lo stesso in Italia. Alla guida del partito italiano c’è però ora un uomo nuovo: Enrico Berlinguer. E’ un comunista di seconda generazione, ha una moglie cattolica, i figli studiano in istituti religiosi.

Dinanzi al pericolo di un golpe Berlinguer – che non vede di buon occhio Mosca dopo l’attentato, chiaramente ispirato dal Kgb, subito in Bulgaria lo stesso anno – concepisce quella strategia che sarà ricordata come «compromesso storico»: un’alleanza con la Democrazia cristiana e con i socialisti. Tattica che si trasformerà in un ambizioso progetto – blasfemo per Mosca – teso a coniugare la tradizione cattolica della solidarietà con il collettivismo comunista per creare un nuovo ordine socio-politico.

Nel 1975 i partiti comunisti di Italia, Francia e Spagna redigono un Manifesto dell’eurocomunismo che prende apertamente le distanze dal modello sovietico e si prefigge «una via parlamentare verso il socialismo all’interno di un sistema pluripartitico».

L’Urss fa la voce grossa, ma Berlinuer non si lascia intimidire, anzi, nel ’76, in piena campagna elettorale, scandalizza i «puri» dichiarando che l’appartenenza dell’Italia alla Nato è un bene in quanto «garantisce il tipo di socialismo che vogliamo […], un socialismo pluralista». Il Cremilno ribatte con una dura lettera, che resterà segreta, e poiché la popolarità di Berlinguer impedisce un attacco frontale, ricorre allora alla collaudata arma del discredito contro il segretario italiano e gli alti fautori dell’eurocomunismo.

Consumato lo «strappo», infatti, Berlinguer viene visto, insieme con il nuovo Pontefice polacco Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II), come uno dei peggiori nemici dell’Urss. Già dal 1976, a causa del suo «vigliacco ripudio del Leninismo» il capo del Kgb Andropov progetta di calunniarlo con l’accusa di possedere terreni in Sardegna e di essere coinvolto per decine di miliardi di lire in dubbi appalti edili.

Mission: italy , il libro di memorie di Richard Gardner, ambasciatore statunitense in Italia dal 1977 al 1981, ci aiuta a comprendere l’atteggiamento di Berlinguer e le complesse vicende di questi anni legate al possibile ingresso del Pci nel governo (6). Apertura mai realizzata poiché il Pci resterà, in effetti, fuori dalla stanza dei bottoni allorché concederà la «non sfiducia» al monocolore Andreotti – sostento per fronteggiare la drammatica situazione dell’ordine pubblico culminata nel sequestro Moro – , dando vita alla breve esperienza della «solidarietà nazionale» (7).

Gardner non dice, però, che sin dalla sua elezione alla Segreteria generale del Pci (1972) Enrico Berlinguer è controllato dalla Cia, che gli attribuisce il nome in codice di Devil Squid (calmaro diabolico) (8).

Nonostante la manifesta adesione di Berlinguer ai valori democratici occidentali, infatti, non c’è dubbio che sussista in seno al Pci una corrente legata a Mosca. Il cruccio di Washington è capire con chi si sarebbe schierato il segretario comunista italiano nell’eventualità di una escalation con l’Urss.

Decifrare Berlinguer – «uomo molto guardingo», come sottolinea Giglia Tedesco, ex senatrice comunista, vicepresidente del Senato e amica personale del segretario – diviene una delle priorità della Cia in Italia. Berlinguer, ricorda Claudio Gatti, «evitava di parlare di questioni delicate al telefono. O persino nel suo ufficio e a casa. […] si fidava di pochissime persone, forse di una sola […] Tonino Tatò, capo dell’ufficio stampa e segretario di Berlinguer. Oltre che suo più stretto collaboratore».

Tatò e sua moglie Giglia Tedesco vivono in un piccolo appartamento a via de’Nari, a poche centinaia di metri dal Senato, che Berlinguer considera «fuori dalla portata dei radar dei servizi» e usa per gli incontri riservati. Nel 1976 Hugh Montgomery, chief of station della Cia a Roma, idea l’operazione Devil Star per «avere accesso al cuore del leader del Pci: mettere delle cimici nell’appartamento di Tatò».

La rivelazione più significativa dell’operazione è l’assoluta ostilità di Berlinguer nei confronti di Mosca – soprattutto dopo l’attentato subito nel 1973 in Bulgara – da cui si potrebbe dedurre che «l’inflessibile opposizione dell’ambasciata Usa all’ingresso del Pci al governo abbia contribuito a rallentare di anni un processo evolutivo che Berlinguer sembrava pronto ad accelerare. In altre parole, la svolta della Bolognina sarebbe forse potuta avvenire svariati anni prima della caduta del Muro».

Alle politiche del giungo 1976 il Pci raggiunge il 34,4% e nasce il governo della «non sfiducia». «Il patto […] venne siglato tra me e Berlinguer proprio a casa di Tatò», ricorda Giulio Andreotti. «Berlinguer si impegnava a votare a favore di un documento che riconosceva nel Patto Atlantico e nella Cee i punti di riferimento della politica estera italiana. In cambio l’impegno era di arrivare, seppur a tappe, a togliere l’estraneità oggettiva del Pci dal governo. I tempi erano da definire, ma la logica era di portarlo a essere una componente del governo».

A Washington l’amministrazione Carter è agitatissima. A Roma i negoziati sono continui: «Moro, Andreotti e Fanfani avevano contatti diretti con Berlinuer e negoziavano senza necessariamente informarsi a vicenda. In poche parole, nessuno sapeva veramente quello che i leader democristiani erano disposti a concedere al Pci. O quello che Berlinguer pretendeva per mantenere il suo supporto. Con un’unica eccezione: la stazione della Cia a Via Veneto».

Il 12 gennaio 1978, su insistenza dell’ambasciatore Gardner, il Dipartimento di Stato emette un comunicato risoluto: «Non siamo favorevoli alla partecipazione dei comunisti al governo. Al contrario vorremmo che l’influenza dei comunisti in tutti i Paesi dell’Europa occidentale diminuisse».

Andreotti si dimette, ma ottiene subito il mandato per trovare una nuova formula. Tutto lascia pensare che le porte del nuovo governo saranno aperte al Pci. Giglia Tedesco, citata da Gatti sul Sole24Ore, riferisce che il 3 febbraio 978 Tattò comunica a Berlinguer un’affermazione di Franco Evangelisti, segretario di Andreotti di Franco Evangelisti, segretario di Andresti: «A Toni’, è fatta, voi entrerete nella maggioranza».

Cinque settimane dopo, però, Andreotti sale al Quirinale con una proposta di monocolore praticamente uguale al precedente. Il senatore a vita oggi nega che sia stato un intervento americano a forzare l’inversione di marcia. «Nel nostro partito i tempi non erano ancora maturi», spiga. Moro paventa una spaccatura nella Dc e forse decide con Andreotti di placare gli oppositori interni «a suon di poltrone ministeriali». Il 16 marzo 1978 Moro viene rapito dalle Brigate Rosse e, in un clima di emergenza, il Pci concede il proprio sostegno al nuovo gabinetto Andreotti.

Contrasti a parte, però, il Cremino continua a rimpinguare i forzieri di Botteghe Oscure (6,5 milioni di dollari nel 1976) e ad addestrare «comunisti scelti» (9). In occasione del sequestro Moro (1978) il Pci – sostenitore della «linea dura» che rifiuta di trattare con le Brigate Rosse – sarà particolarmente angustiato dalla possibilità che vengano alla luce le collusioni tra terrorismo nostrano e l’intelligence cecoslovacca, e le indagini a tappeto delle forze dell’ordine per scoprire le stazioni radio delle Br finiscano per smascherare quelle del Pci allestite con l’ausilio del Kgb. Quel che importa a Mosca è poter contare, al di la delle diatribe ideologiche, su una base pronta a sostenerla soprattutto nelle questioni internazionali. La già ricordata questione degli euromissili ne è esempio.

Tuttavia la guerra in Afghanistan (1979) e l’imposizione della legge marziale in Polonia contro Solidarnosc (1981) compromettono ulteriormente i rapporti tra Pci e Pcus, pur non arrestando il flusso delle sovvenzioni, ancorché ridimensionate. Berlinguer asserisce senza mezzi termini che la Rivoluzione d’Ottobre «ha esaurito la sua forza propulsiva» e invita le sinistre dell’Europa occidentale a impegnarsi per il «rinnovamento democratico» dei Paesi del blocco sovietico.

L’unica voce fedele a Mosca resta quella di Armando Cossutta. Nell’Archivio Mitrokhin si legge che «dieci anni più tardi, nel pieno della disgregazione dell’Unione Sovietica, si verrà a sapere che le sovvenzioni sovietiche al Pci sono continuiate su scala minore anche negli anni Ottanta ma, secondo un osservatore, fu subito evidente che se i fondi sovietici erano stati convogliati in Italia, erano arrivati attraverso le mani […] di Cossutta, allo scopo di salvare un giornale filosovietico sull’orlo del fallimento (Paese Sera) oppure di finanziare le proprie attività contro il leader del Pci» (p.374).

Gli ultimi pagamenti documentati risalgono al 1985 (700.000 dollari), al 1986 (600.000 dollari) e al 1987 (630.000 dollari) utilizzati per fornire «sostegno materiale» a quelle che il Kgb e la Sezione internazionale del Pcus considerano ancora «le forze integre del Pci»: Cossutta e Paese Sera. Nel 1992 Mosca fornisce alla Procura di Roma i dettagli dei pagamenti, ma di questa Tangentopoli rossa non si saprà nulla prima del 1998.

Con Gorbaciov l’eurocomunismo fa breccia nel Cremino. L’uomo della glasnost (trasparenza) e della perestrojka (riforme politiche) si incontra spesso con i vertici del Pci (morto Berlinguer, nel 1984, il partito ora è guidato da Alessandro Natta), loda le loro scelte e le usa per amplificare il suo pensiero sulla democrazia sociale e sulle relazioni est-ovest. Dopo il fallito golpe di Mosca del 1991 a Cossutta e al suo sparuto gruppo di nostalgici non resta che prendere amaramente atto che «adesso il termine “comunismo” è una parolaccia anche nella patria di Lenin»

Watergate italiano?

«Sono convinto che questo caso sia più grave del Watergate americano e che ci troviamo soltanto all’inizio», commenta il senatore Paolo Guzzanti dopo il si alla sua relazione di mezzo termine del 15 dicembre 2004, che fa il punto di due anni di lavoro svolto a San Macuto dalla Commissione parlamentare sul «dossier Mitrokhin e l’attività di intelligence italiana» (10).

La Commissione ha indagato sulle modalità in cui i vertici del Sismi hanno gestito le operazioni durante i governi Dini, Prodi e D’Alema (1995-1999). La relazione finale è prevista tra un anno e mezzo circa, alla fine della legislatura. Il documento contiene una dura condanna su come il Sismi e i governi dell’epoca hanno gestito il dossier Mitrokhin proveniente dalla Gran Bretagna.

L’opposizione non ha partecipato alla votazione e al primo tentativo è mancato il numero legale; poi il documento ha ottenuto i 22 voti compatti della Cdl. I diciassette parlamentari dell’opposizione hanno presentato un loro documento di minoranza. Il presidente Guzzanti precisa: «Sto studiando la possibilità di rimettere alla magistratura un documento che integra la relazione sotto l’aspetto dei possibili profili penali».

«Questa Commissione ha lavorato due anni», aggiunge il senatore di Forza Italia, citato da fonti Ansa, «per scoprire che i direttori del Sismi dell’epoca, Siracusa e Battelli, non avevano detto tutta la verità alla magistratura e al Copaco, allora presieduto da Franco Frattini. Avevano taciuto che Mitrokhin era stato messo a disposizione per tre volte dal servizio segreto britannico, affinché fosse sottoposto all’interrogatorio del Sismi, ma il Sismi di quel tempo preferì glissare e lasciar cadere l’offerta.

Abbiamo scoperto che la legge 801, che regolamenta i servizi segreti italiani, è stata calpestata. Ho inoltre il sospetto molto fondato che esista un altro dossier Mitrokhin, più grande e più importante. La mia opinione è che quando arrivò il dossier al Sismi sapevano perfettamente quel che stava per succedere e venne predisposto un “binario morto”.

Le 261 schede del dossier che abbiamo finora letto sono importanti, ma ci sono ancora segreti talmente grandi da creare un allarme tale da richiedere la mobilitazione di forze rilevanti, politiche e non, nonché il silenzio sui lavori della Commissione. Siamo sulle tracce di verità scomode sugli anni ’70 e ’80, sul caso Moro e sulla genesi del terrorismo rosso e nero. C’è materiale di grande importanza che proviene dalla Francia. Il caso Mitrokhin sarà il Watergate italiano».

Fin ovvio il livore del centrosinistra che, vedendo imputata la propria vicenda storica, dal filosovietismo assoluto di Togliatti agli ultimi colpi di cosa cossuttiani benevolmente tollerati anche dagli eredi della Dc, replica stizzito per bocca di Valter Bielli (DS) «Siamo di fronte a falsificazioni e mistificazioni, frutto di una operazione politica che Berlusconi volle nel suo programma di governo per delegittimare il centrosinistra e i governi che l’avevano preceduto.

La relazione, che i parlamentari della Cdl hanno votato a malincuore visto che al primo tentativo è mancato il numero legale, reca un danno alle istituzioni: a pagina 86 si adombra il rischio che i servizi non abbiano condotto in maniera adeguata la lotta al terrorismo anche di matrice islamica. Siamo di fronte a un qualcosa che rasenta l’irresponsabilità.

Siamo di fronte anche ad un linguaggio», affonda Bielli, «non solo infido e subdolo, ma si fanno persino commenti sulle risposte degli auditi e finanche si è espresso un giudizio sui commissari chiamati “ossequiosi e docili”. Questo non era mai accaduto nella storia del Parlamento».

«La verità ti fa male, lo so…» cantava Caterina Caselli nel 1966. Poi arriva il ’68…

Note

1) Christopher Andrei-Vasilij Mitrokhin, L’archivio Mitrokhin. Le attività segrete del Kgb in Occidente, Rizzoli, Milano 1999, p.108.

2) La sigla sta per Sluzhba Vneshney Razvedki.
3) Per il testo della requisitoria di Kruscev si veda: Il rapporto «segreto» di Kruscev al XX Congresso del Pcus, Edizioni Corrispondenza Socialista, 1958.
4) Analogo leitmotiv sarà ripreso più tardi in Cina da Mao Zedong, il più irriducibile avversario di Krusciev, ed estremizzato al punto da portare, negli anni cruenti della Rivoluzione culturale (1966-1976), all’annientamento del dibattito culturale e del progresso scientifico secondo il dettato «meglio rosso che esperto». Si veda in proposito: Emanuele Gagliardi, Sulle rive dello Yang-Tze. Cina 1966-1976, «Studi Cattolici» n. 458-459, aprile-maggio 1999, pp 335-339; nonché: Cina. Dal «libretto rosso» al «socialismo di mercato», «Studi Cattolici» n. 504, febbraio 2003, pp 90-98.
5) La Commissione parlamentare d’inchiesta sul «dossier Mitrokin e l’attività di intelligence italiana» è istituita con legge 7 maggio 2002, n. 90, per «accertare la veridicità delle informazioni contenute nel cosiddetto dossier Mitrokhin sull’attività spionistica svolta dal Kgb nel territorio nazionale e le eventuali implicazioni e responsabilità di natura politica o amministrativa» (art 1, comma 1). Il comma 2 dell’articolo 1 della legge 90 precisa i compiti della Commissione: «accertare: a) ogni aspetto relativo all’acquisizione e alla disponibilità del dossier Mitrokhin; b) se le informazioni sulle persone citate nel dossier Mitrokin erano già note e se le persone erano conosciute da chi prese la decisione di non procedere; c) lo stato attuale delle persone citate nel dossier e, con riferimento ai dipendenti e ai collaboratori a qualunque titolo delle pubbliche amministrazioni, qualora la loro attività fosse nota, quali funzioni ad esse erano attribuite e quali iniziative da essi furono poste in essere, fatto salvo il divieto di indagare o sindacare circa opinioni politiche, azioni derivanti da opinioni politiche non costituenti reato o aspetti della vita privata di detti soggetti; d) le attività svolte da organi di intelligence italiani, ovvero i modi e le procedure di ricevimento, trasmissione interna, e quindi esterna, dei documenti del dossier. Setali procedure furono quelle ordinarie ovvero, in caso di procedure diverse, se furono seguite le modalità adottate per altri casi precedenti; e) quando e con quali modalità il Governo fu informato del dossier e dei suoi contenuti e si decise di rendere pubblico il documento; f) se furono prese dagli organi di intelligence decisioni senza consultare il Governo; g) che le informazioni trasmesse non abbiano subito modificazioni; h) le attività di finanziamento dirette ed indirette del Kgb a partiti politici italiani, a correnti di partito e a organi di informazione in Italia; i) le operazioni commerciali e finanziarie svolte fra l’Italia e i Paesi dell’Est europeo finalizzate al finanziamento illecito del Partito comunista italiano al di fuori di ogni controllo; l) le attività svolte dal Kgb e in particolare dagli uffici di Roma; m) se vi furono complicità se vi furono complicità, protezioni, coperture di natura politica o da parte della pubblica amministrazione, sulle attività del Kgb in Italia; n) i risultati raggiunti nella ricerca di materiale bellico e di depositi clandestini di armi e apparati di ricetrasmissione connessi alle attività del Kgb relative all’Italia; o) se gli organi di intelligence stiano ancora svolgendo indagini in merito ai contenuti del dossier; p) se il dossier pubblico in Italia contenga le medesime informazioni trasmesse dalle istituzioni britanniche; q) se esistono documenti all’estero che si renda necessario acquisire».
6) Richard N. Gardner, Mission Italy. Gli anni di piombo raccontato dall’ambasciatore italiano a Roma 1977-1981, Mondatori, Milano 2004.
7) Alle elezioni politiche del 1976 il Pci si afferma, quantunque il previsto sorpasso ai danni della Dc non si realizzi perché il partito cattolico recupera larga parte dei consensi perduti alle amministrative del 1975. Il sistema politico italiano raggiunge la sua massima bipolarizzazione: la Dc non può governare né alleandosi col Psi, che vive momento di crisi interna, né appoggiandosi ai piccoli partiti suoi tradizionali alleati, anch’essi ridimensionati dal risultato delle urne. L’unica soluzione appare una vasta alleanza, un governo di solidarietà nazionale. Nasce così un monocolore guidato da Andreotti, detto «governo della non sfiducia», grazie all’astensione dei comunisti. Per la prima volta dai tempi del Cln i comunisti entrano nell’area di governo , quantunque solo sul piano parlamentare. Il governo di solidarietà nazionale nasce, in primis, per fronteggiare la gravissima situazione interna provocata dal dilagare del terrorismo, ma è anche funzionale alla strategia politica dei due principali partiti. I comunisti, infatti, puntano – pur non mancando perplessità – sul rilancio della coalizione antifascista per rientrare al governo; la Dc, per parte sua, deve fronteggiare la crescita dei comunisti, frutto del voto dei diciottenni, ma anche delle simpatie che essi sembrano conquistare nell’ambito del ceto medio. Figure chiave di questa breve e intensa stagione sono Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, rispettivamente teorici della «terza fase» e del «compromesso storico». Il leader comunista teorizza un improbabile ibrido tra la morale cattolica e quella comunista per salvare l’Italia dalla crisi economica e dal terrorismo. La strategia di Moro, invece, prevede di realizzare nei confronti del Pci quello che era già avvenuto negli anni Sessanta col Psi: di inglobarlo nell’area di governo, lentamente e senza traumi, per smussarne l’opposizione alle scelte dell’esecutivo. Sul lungo periodo, la strategia di Moro prevede una nuova fase per la politica italiana – la «terza fase», appunto, della democrazia dell’alternanza – riconoscendo in prospettiva ad altre forze politiche il diritto e la possibilità di governare il Paese. La politica di Moro mira così a un rafforzamento della Dc, consolidandone la compattezza interna così da renderla idonea a navigare le tempestose acque della situazione attuale e del futuro. Il sequestro e l’assassinio del presidente democristiano porranno però fine a questa arrischiata esperienza.
8) Cfr. Claudio Gatti, Le memorie dell’ex ambasciatore Usa Gardner, «Il Sole24Ore», 10 ottobre 2004. Da questo punto in poi se non indicato diversamente, i virgolettati sono tratti dall’articolo di Gatti.
9) Corsivo nostro.
10) Mitrokhin: Commissione approva relazione Guzzanti. Il presidente, caso più grave del Watergate, Ansa, 5 dicembre 2004