Il freno dell’Africa è nell’uomo

Islam_AfricaItalia Oggi 8 novembre 2012

Gheddo: l’Islam non è ancora entrato nel mondo moderno. Non conosce eguaglianza e perdono La inchiodano ignoranza, corruzione, stregonerie e militari

di Luigi Chiarello

«Non sono l’accaparramento di terre e le rapine di diamanti» a rubare il futuro agli africani. Piuttosto, «analfabetismo, corruzione, animismo e arroganza della casta militare» sono le vere cause che inchiodano l’Africa Nera. Il cui sviluppo è incastrato sotto il tallone dei Marabut, gli stregoni, ed è stretto al giogo di «governi mafiosi».

Così, i crimini più evidenti ai nostri occhi, quelli più enfatizzati dai media del primo mondo, sono in realtà fattori residuali. Tanto che perfino il discuterne ha il retrogusto del lusso.  Il solenne ceffone verbale che Piero Gheddo riserva all’intervistatore è di quelli che bruciano.

La sensazione è di far domande disconnesse dalla realtà. Di guardare al dito e non alla luna, per rimozione inconscia. Come se il tentativo di leggere i problemi dell’Africa con le lenti della politica e dell’economia, senza toccar con mano le miserie quotidiane, finisse per smascherare una cecità culturale verso il Continente nero. Così vicino e sconosciuto.

Gheddo conosce bene l’Africa. Anzi, le Afriche. Il missionario del Pime, nei suoi 83 anni di vita, le ha girate in lungo e in largo, descrivendole in due volumi interessanti: «Meno male che Cristo c’è» (edizioni Lindau, Torino) e «La sfida dell’Islam all’Occidente» (edizioni San Paolo).

E proprio sull’Islam Gheddo non fa sconti: «La verità è che non è ancora entrato nel mondo moderno. Non conosce uguaglianza tra gli uomini e perdono». Eppure una speranza c’è. Ed è nelle primavere arabe: «Hanno affermato il valore della persona, della democrazia, dello sviluppo umano e tecnico, delle giustizie sociali, dei diritti delle donne», dice. «I giovani» che hanno acceso le rivolte «volevano proprio questo».

Domanda. Perché il continente nero sta soffrendo la globalizzazione?

Risposta. Se fosse più evoluto, nel senso dell’educazione del proprio popolo, potrebbe utilizzare bene la globalizzazione, come hanno fatto i paesi asiatici. Guardi a India e Bangladesh: sono molto più avanti nello sviluppo, perché hanno popoli più preparati. Infatti, per partecipare in modo positivo alla globalizzazione bisogna avere un certo livello di conoscenze e di produttività per l’esportazione. Invece, buona parte dei paesi africani hanno il 40-50% della popolazione analfabeta e un altro 10-15% di «analfabeti di ritorno».

D. Quali gli esempi virtuosi, in grado di cogliere chance dalla globalizzazione?

R. Ghana, Benin, Costa d’Avorio, Camerun, Senegal, Kenya, Angola, Botswana, Congo-Brazzaville. Poi ci sono il Sudafrica e la Namibia, che però fanno storia a sé, sono un altro mondo. In quei paesi l’apartheid divideva neri e bianchi, ma i bianchi hanno educato i neri. Anche se in scuole separate. La separazione è stata un crimine orrendo, ma i neri sono abbastanza scolarizzati e si è formata una classe media e dirigente nera, che ora guida il paese senza aver cacciato i bianchi.

D. E i paesi messi peggio?

R. Quelli che hanno dittature o regimi paternalisti corrotti e conservatori. Quelli in cui i partiti comunisti hanno avuto un ruolo dominante e sono ancora al potere (tipo Eritrea, Zimbabwe, Etiopia, in parte anche Mozambico).

D. Quali sono le principali cause che bloccano lo sviluppo dell’Africa nera?

R. L’ostacolo principale è nella mancanza di educazione del popolo. Non è solo questione di analfabetismo, ma anche di assenza di capacità tecniche e di spirito imprenditoriale. Il Camerun, che pure ha un tasso di sviluppo abbastanza buono, importa ancora tutto il manifatturiero dall’Europa, persino le lampadine e le biciclette. In sostanza, la globalizzazione vive attraverso la pace, la libertà e il commercio e diventa un fenomeno positivo solo se i popoli sono preparati a produrre per l’esportazione.

D. Oggi l’allarme è nello shopping di terre africane fatto da Pechino. Il cosiddetto land grabbing o accaparramento di terra.

R. Lo fanno i cinesi, ma anche i coreani, i Paesi arabi del Golfo e l’India. Sono campagne di acquisti condotte da paesi che non hanno sufficiente produzione di grano e di cereali per la propria domanda interna. Questi paesi tolgono agli africani le terre migliori. E questo svela il secondo ostacolo allo sviluppo in Africa: la corruzione.

D. Land grabbing sinonimo di corruzione?

R. Si, perché i paesi più ricchi pagano le terre africane, comprandole dai governi. I soldi, però e in genere, non vanno al popolo, ma alle mafie che pullulano nei governi africani. Corruzione e mancanza di democrazia bloccano lo sviluppo. In molti paesi africani non c’è alcun controllo del popolo sugli esecutivi. E chi va al governo pensa a se stesso, alla sua famiglia, alla sua etnia e non tanto nel senso dello sviluppo, ma nel senso del lusso, delle molte proprietà e dei capitali all’estero. Quante volte ho visto in Africa ponti o strade in costruzione con finanziamenti dell’Unione europea, che non sono mai finiti. I soldi arrivano, ma spariscono prima di giungere a destinazione.

D. Pare succeda anche da noi

R. C’è un abisso. In Italia ci sono casi gravi. Ma se lei va a prendere un documento in comune non le chiedono la mancia. Nei paesi africani, invece, è cosa comune. La corruzione è a ogni livello, basso o alto che sia. La verità è che, al contrario di quanto si legge in Europa, né il land grabbing né le rapine di diamanti sono il vero problema del mancato sviluppo dell’Africa nera. Sono certo crimini da condannare, ma non sono determinanti per il mancato sviluppo. La radice del sottosviluppo africano è nell’uomo, nel popolo di non educati e non liberi. Gli africani sono giovani, svegli, intelligenti, con enormi potenzialità di sviluppo, ma non sono educati. Quando vengono a studiare in Europa e vivono in libertà, ben nutriti e curati, spesso sono i migliori studenti, i migliori medici.

D. Quindi?

R. La verità è che l’Africa si sviluppa poco soprattutto per quattro cause. Come ho detto, primo l’analfabetismo, secondo la corruzione, terzo l’animismo, quarto i militari, che sono la casta con le armi in mano.

D. Perché l’animismo?

R. Perché non educa l’uomo ad avere coscienza della realtà. La professoressa Silvia Recchi, che insegna all’Università di Yaoundè da 14 anni, mi diceva due anni fa in Camerun: «La cultura magica rifiuta l’analisi dei problemi, rifiuta la razionalità. La vita africana è tutta dominata dagli spiriti, dal malocchio, dalle forze misteriose della natura o dello stregone. La malattia non è causata da cause fisiche ma vien dal malocchio e dal tabù che abbiamo violato. Abbiamo giovani che si sono laureati in Europa e che nel loro profondo ragionano ancora come nel mondo antico, specie nei momenti di difficoltà, nelle decisioni fondamentali della vita».

D. Mi spieghi meglio?

R. Un esempio lo racconta padre Carlo Scapin del Pime, in Camerun da 44 anni: «Nella loro cultura ancestrale, c’è Dio creatore che sta sopra tutti. Ma Dio non si interessa degli uomini, è lontano, invisibile e inconoscibile. La vita e l’agire degli uomini sono governati dagli spiriti buoni e cattivi. È difficile dire chi sono e dove sono questi spiriti; un po’ sono quelli dei morti e degli antenati e un po’ sono forze spirituali misteriose, che però agiscono sugli uomini. Non molto tempo fa, un nostro cristiano, che è generoso e aiuta in parrocchia, al mattino ha trovato davanti alla sua porta un uovo rotto, che è segno di morte. Disperazione della famiglia, perché pensano che questa è una minaccia di morte».

D. Addirittura?

R. Scapin la racconta così: «Vado a dare una benedizione a quella casa con i paramenti sacri più solenni, l’acqua santa, l’incenso, il mio crocifisso di missionario, il libretto delle benedizioni in latino. Erano in molti ad aspettarmi, seduti anche per terra, parenti e vicini di casa. Ho fatto una cerimonia solenne e lunga, con canti, letture in ewondo, benedizioni in latino; poi ho benedetto con l’acqua santa e incensato tutta la casa, ho imposto le mani a tutti i membri della famiglia. Infine ho fatto il mio discorsetto dicendo loro: non abbiate paura, con le mie benedizioni Gesù Cristo è entrato nella vostra casa e nessuno può più mandarlo via, se voi pregate con fede. Se avete altri segni negativi, chiamatemi».

E tutto per un uovo! Se la cosa fosse andata avanti, quella povera gente, che pure sono fedeli a Cristo e alla Chiesa, sarebbe vissuta nel terrore. I casi di questo genere sono molti e spesso non vengono subito alla Chiesa, ma vanno dal marabut (stregone, ndr) che queste cose le capisce più del prete. Il quale fa i suoi segni misteriosi e dà il responso: accusa il tale o il tal altro di voler male a quella famiglia e incominciano i sospetti, le gelosie, le vendette, una famiglia o due sono distrutte o squassate.

D. È una realtà che non conosciamo.

R. Perché non se ne parla mai. Un popolo non può svilupparsi senza aver abolito le superstizioni e l’irrazionalità. L’uomo africano finisce per vivere una doppia vita: una vita nel mondo moderno e una vita, personale e familiare, in cui resta prigioniero di incubi e malocchio.

D. Lei dice che gli africani producono poco. Perchè?

R. Io vengo da Vercelli dove si produce riso. Produciamo 80 quintali di riso l’ettaro. Nell’agricoltura tradizionale africana si producono più o meno 5-6 quintali di riso all’ettaro. Non perché gli africani non lavorano, ma perché non hanno strumenti di livellamento del terreno, non hanno sementi selezionate né l’acqua assicurata ecc. Non è solo questione di conoscenze tecniche: c’è un deficit di mentalità. La cultura produce sviluppo. Le vacche italiane producono 25-30 litri di latte al giorno. Le vacche africane non producono latte, eccetto uno o due litri al giorno quando hanno il vitellino. Potrebbero produrre, come si vede nelle fattorie-scuola delle missioni, ma non hanno l’erba come le nostre, non hanno i mangimi, non hanno i veterinari ecc.

D. Vede una via d’uscita per l’Africa nera?

R. Non sono affatto pessimista, perché un certo progresso di mentalità e di coscienza c’è già stato e sta crescendo nei giovani. La grande rivoluzione del Cristianesimo nell’Africa nera è che Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, libera gli africani dalle loro tradizioni sugli spiriti cattivi. Dio è Padre buono e misericordioso, che ama tutti gli uomini. Gesù ha portato la «Rivoluzione dell’amore» e le missioni cristiane (cattoliche e protestanti) sono impegnate ad aiutare con l’educazione e l’assistenza sanitaria lo sviluppo dei popoli, con risultati molto positivi.

D. In centro Africa, però, ci sono anche altre situazioni. I Janjaweed in Darfour-Sudan, i  Boko Aram in Nigeria, gli al-Shabab in Somalia. Gli jihadisti in Mauritania e Mali. Al Qaeda nel Maghreb. Tutto il centro Africa è attraversato da una ondata di integralismo.

R. Il discorso è lungo, non riducibile a una battuta. Ma la verità è che l’Islam non è ancora entrato nel mondo moderno. Per come è praticata oggi la religione islamica non aiuta i popoli a svilupparsi. L’Islam deve confrontarsi con la democrazia, i diritti dell’uomo e della donna, il rispetto della libertà di ogni uomo e la condanna dell’uso della violenza per risolvere i conflitti e per imporre la fede religiosa.

D. Perché?

R. Perché l’Islam è rimasto al Vecchio Testamento. Pur venendo dopo Cristo non conosce il concetto di perdono e di uguaglianza di tutti gli uomini. Non ha accettato Cristo come Figlio di Dio, lo considera un profeta come gli altri.

D. Chi finanzia la crescita del wahabismo integralista?

R. I paesi più integralisti, cioè l’Arabia Saudita e paesi del golfo.

D. C’è una regia salafita che parte da quei paesi, per destabilizzare il centro Africa e attaccare i cristiani?

R. L’Islam integralista e i salafiti jihadisti vorrebbero tornare all’epoca dei califfi, successori di Maometto, vorrebbero ristabilire il califfato, in cui il califfo era al contempo capo religioso, capo politico e capo militare degli islamici. È questo l’Islam delle origini. Ma la persecuzione dei cristiani non avviene in tutto il mondo islamico. Laddove, invece, ci sono capi che sposano questa ideologia salafita succedono disastri. La persecuzione c’è solo in quei paesi in cui è entrata Al Qaeda, depositaria di una ideologia integralista che non si sconfigge con la guerra ma con il dialogo, la carità, il perdono e la testimonianza della vita cristiana.

D. Le cosiddette primavere arabe sono una primavera o un inverno?

R. Una primavera, senza ombra di dubbio!

D. Ma ha innescato una raffica di vittorie elettorali dei partiti integralisti, alle elezioni.

R. Le primavere arabe hanno la loro origine nei giovani, negli intellettuali, nelle persone evolute e nella classe media del mondo islamico, che vorrebbero cambiare la situazione dei loro paesi: più libertà, più democrazia, più sviluppo, anche economico.

D. Non sembra ci riescano…

R. Eh… non sono mica finite, sa! Mi ascolti! Le primavere arabe sono state una benedizione per i paesi islamici. O lo diventeranno a lunga scadenza.

D. Perché?

R. Perché hanno affermato il valore della persona, della democrazia, dello sviluppo umano e tecnico, delle giustizie sociali, dei diritti delle donne. I giovani che le hanno accese volevano proprio questo. E, per questo, hanno liberato i loro paesi dai dittatori. Questo è un fatto estremamente positivo per il mondo islamico, perché rivela un desiderio di evoluzione dell’Islam.

D. Ha anche portato alla vittoria movimenti islamisti e sdoganato movimenti salafiti

R. Si, le primavere arabe hanno suscitato la reazione dell’integralismo. Ma, nel lungo periodo, non so dire entro quanto tempo, anche i popoli islamici cambieranno. E si evolveranno. Tempo al tempo: tutto è iniziato negli ultimi due anni. Si tratta di un movimento che costa molte sofferenze specialmente ai cristiani, che sboccherà in risultati positivi per tutti.