Unione Cristiani Cattolici Razionalisti (UCCR) 3 Ottobre 2025
I musulmani considerano sacri alcuni testi cristiani (Injeel) del VII secolo. Ma una ricerca svela che il Corano si riferisce alla Peshitta siriaca, identica al Vangelo attuale. Un duro dilemma per l’Islam.
Non tutti sanno che il Corano riconosce i testi cristiani come scritture divine e rivelazioni autentiche di Dio.
Ma com’è possibile? I testi cristiani contraddicono esplicitamente i contenuti del Corano, a partire dalla divinità di Cristo, dalla crocifissione e dalla sua resurrezione.
La risposta della dottrina islamica è sempre stata che il Vangelo conosciuto oggi, contenente insegnamenti incompatibili con l’Islam, non sarebbe quello originale diffuso nel VII secolo, ma sarebbe stata modificato e corrotto nel tempo.
Due ricercatori hanno dimostrato invece che i testi che i cristiani leggevano ai tempi di Maometto erano esattamente gli stessi che leggiamo ancora oggi. Questo crea un atroce dilemma: il Corano valorizza testi che contraddicono le fondamenta dell’Islam?
Cosa dice il Corano sui testi cristiani
Facciamo un passo indietro e partiamo dall’inizio.
Il Corano, libro sacro dell’Islam, in diverse sure si riferisce al Injil, termine arabo che indica il Vangelo dato da Dio a Gesù (Īsā).
Per il Corano e i per i musulmani, l’Injil è una rivelazione divina originale, un libro sacro, simile alla Torah data a Mosè.
Il Corano parla dell’Injil come di una scrittura autentica, un documento scritto e disponibile ai cristiani ai tempi di Maometto e che essi dovevano seguire in quanto testo sacro, esortandoli a «giudicare secondo ciò che Dio vi ha rivelato» (Sura 5,47).
In un altro passaggio, il testo islamico riferisce: «E abbiamo inviato, seguendo le loro orme, Gesù, figlio di Maria, confermando ciò che c’era prima nella Torah; e gli abbiamo dato l’Injil, in cui vi è guida e luce» (Sura 5,46).
E ancora, nelle sure 3,3-4 e 5,68 si ribadisce che Dio ha rivelato la Torah e l’Injil prima del Corano e che queste scritture hanno un ruolo guida per i credenti.
Come già detto, i musulmani oggi sostengono che quando il Corano si riferisce all’Injil sta parlando di testi cristiani diversi dal Vangelo di oggi, il quale contieni testi diversi dall’originale, corrotti o alterati nel tempo. Si chiama dottrina del Tarif.
D’altra parte, sarebbe assurdo sostenere che il Corano indicasse il Vangelo come scrittura sacra e divina, nel quale Gesù è l’unico figlio di Dio, risorto e asceso al cielo. Evidentemente i cristiani al tempo di Maometto leggevano testi coerenti con l’Islam e che non contenevano queste affermazioni.
La ricerca: l’Injil del Corano è la Peshitta siriaca
Nel 2017 i ricercatori della North-West University (Sudafrica), Hank Stoker e Paul Daringowski, hanno però contraddetto la dottrina del Tarif.
Pubblicando sull’African Online Scientific Information Systems (anche qui), attraverso un’approfondita indagine storica e filologica gli studiosi infatti mostrato che i cristiani dell’Arabia del VII secolo possedevano testi cristiani ben definiti e sostanzialmente identici a quelli utilizzati oggi.
Si tratta della Peshitta siriaca, cioè la versione del Vangelo in uso presso i cristiani di lingua siriaca in Medio Oriente (Siria, Mesopotamia e Arabia). E’ ad essa che il Corano si riferisce come scrittura sacra e divina, attribuendole il nome “Injil“.
Nel IV secolo il canone delle Scritture era già essenzialmente definito ma non tutte le comunità cristiane nel mondo usavano esattamente gli stessi testi. Pur essendo il contenuto in gran parte simile, differenze regionali, linguistiche e canoniche facevano sì che i cristiani siriaci leggessero una versione, quelli copti in Egitto un’altra quelli latini in Occidente un’altra ancora.
E questo ci porta all’Arabia. Ai tempi di Maometto, all’inizio del VII secolo, il cristianesimo era già presente in quella regione da secoli, portato nella Penisola Arabica da monaci, mercanti e missionari. Ebrei e cristiani erano attivi a Medina e le loro scritture venivano lette, insegnate e dibattute apertamente.
La Peshitta siriaca è identica al Vangelo di oggi
La Peshitta siriaca era la versione dominante, copiata, memorizzata e predicata nelle chiese dalla Siria fino all’Arabia. Comprendeva 22 libri del Nuovo Testamento, inclusi i quattro Vangeli e le lettere di Paolo. Escludeva soltanto la Seconda lettera di Pietro, la Seconda e Terza lettera di Giovanni, la Lettera di Giuda e l’Apocalisse di Giovanni.
La sua tradizione manoscritta è straordinariamente stabile, come riconosciuto da Bruce Metzger, tra i principali filologi del Nuovo Testamento: «I copisti siriaci dedicavano grande cura alla trascrizione della versione Peshitta. Esiste un accordo straordinario tra i manoscritti di ogni epoca, essendoci in media non più di una variante importante per capitolo» [1].
Il teologo Kurt Alanda e la moglie filologa, Barbara Aland, la definiscono «la versione siriaca del Nuovo Testamento più attestata e trasmessa in modo costante» [2]
La Peshitta siriaca era la versione ufficiale usata sia dai Notiari che dai Giacobiti, le comunità cristiane che Maometto incontrò.
Il dilemma per l’Islam: il Corano indica il Vangelo come divino
Questa scoperta mette radicalmente in crisi la dottrina del Tarif e la narrativa islamica sulla corruzione delle Scritture.
Ecco cosa affermano gli studiosi:
«Se è vero che la Peshitta è così ben attestata e preservata, allora ciò che la Chiesa cristiana siriaca conosceva del Vangelo nel VI e VII secolo dell’esistenza terrena di Maometto è esattamente ciò che i cristiani conoscono oggi. Non è qualcosa di completamente diverso come vorrebbero far credere gli apologeti musulmani».
Proseguono poi in maniera piuttosto incisiva:
«Dato che la Peshitta siriaca era la versione biblica che Maometto riconobbe durante la sua vita, ne consegue che questa versione — o una qualsiasi tra altre versioni simili — dovrebbe essere lettura obbligata per i musulmani, antichi e moderni. Di conseguenza, la Bibbia dovrebbe costituire la base della fede e della dottrina musulmana. Non dovrebbe esserci alcuna variazione, perché Dio sarebbe l’autore di entrambe».
Sappiamo però che il Corano e il Vangelo si contraddicono apertamente. Se dunque la Peshitta fu davvero l’Injil citato dal Corano, come ritengono gli studiosi, ciò avrebbe conseguenze enormi e porrebbe un dilemma cruciale per i fedeli musulmani.
Significherebbe che il testo scritto da Maometto, sotto dettatura di Allah, considerava il Vangelo cristiano una rivelazione autentica, ma allo stesso tempo contraddiceva molte delle sue stesse affermazioni.
Si configurerebbero quindi due opzioni per la dottrina islamica:
1) Accettare la Peshitta come autentica rivelazione divina, ammettendo la contraddizione del Corano e quindi della parola di Dio;
2) Rifiutare la Peshitta come rivelazione genuina, contraddicendo così ciò che dice a riguardo il Corano, cioè una scrittura sacra e divina.
Se l’Injil non è stato alterato, allora il Corano riconosce come sacro e divino il Vangelo che nega i suoi stessi insegnamenti.
E’ giusto osservare che Stoker e Daringowski sono cauti nelle loro conclusioni.
Non affermano con certezza assoluta che la Peshitta siriaca fosse l’Injil dei contemporanei di Maometto e ciò che leggevano. Tuttavia sostengono che, basandosi sulle prove disponibili, è di gran lunga il candidato più plausibile.