Blog isagogica 30 Novembre 2025
Francesco Arduini
Il Libro di Giobbe, uno dei testi più antichi della Bibbia, contiene un versetto che, letto con la lente della moderna astronomia, sembra racchiudere una conoscenza incredibilmente avanzata per l’epoca della sua stesura. Il passo in questione è Giobbe 38:31, dove Dio sfida Giobbe ponendogli delle domande sull’ordine del cosmo:
Puoi tu annodare i legami delle Pleiadi, o sciogliere le catene di Orione? (Riveduta)
O, in una resa che cattura la sfumatura suggerita dalla lingua ebraica:
Puoi tu legare le catene di Kimah? O sciogliere i vincoli di Kesil?
Per secoli questo versetto è stato letto come pura immagine poetica, una metafora per il mutare delle stagioni o l’immutabilità dei decreti divini. In aggiunta, quando visualizzato attraverso la lente dell’astronomia del ventunesimo secolo, l’immagine si allinea con realtà fisiche che erano impossibili da discernere all’epoca. Difatti il testo opera una distinzione specifica: le Pleiadi sono descritte come un gruppo da “legare” (tenere insieme), mentre Orione è descritto come una figura con “corde” da “sciogliere” (slegare).
L’astrofisica moderna conferma che le Pleiadi (M45) sono infatti un ammasso aperto gravitazionalmente legato, cioè una famiglia di stelle che viaggia attraverso lo spazio come un’unità fisica coerente. Il testo chiede se Giobbe può legarle, implicando che Dio attualmente lo fa; la descrizione di un “gruppo legato” è astrofisicamente esatta. Al contrario, la costellazione di Orione (identificata dalle tre stelle della cintura: Alnitak, Alnilam e Mintaka; e dalle luminose stelle che ne delimitano il corpo: Rigel e Betelgeuse), sebbene visivamente coesa dalla Terra, è in gran parte un asterismo (cioè un raggruppamento visivo) composto da stelle a distanze enormemente diverse.
La figura che vediamo è un’illusione ottica dovuta alla prospettiva bidimensionale. Queste stelle non sono mutuamente legate in un singolo sistema stabile. Sono entità indipendenti e i loro moti propri sono divergenti: si allontanano una dall’altra. A differenza delle Pleiadi, che la gravità sta attivamente “legando” (o trattenendo), Orione è definita dal suo “sciogliersi”: i legami che sembrano tenere insieme il “cacciatore” sono effimeri.
Se Giobbe avesse usato un linguaggio meramente osservativo, avrebbe potuto scrivere ad esempio: “puoi rendere più luminose le stelle di Kimah? Invece, il testo seleziona i verbi specifici (legare e sciogliere) che corrispondono alle effettive proprietà astrofisiche di quei corpi celesti. L’autore ha tirato a indovinare? C’erano dozzine di costellazioni e di verbi disponibili, ma lui non ha usato il verbo oscurare, nascondere, brillare, muovere… no! Ha usato termini strutturali (legare, sciogliere) che descrivono esattamente lo stato energetico di quei sistemi.
Siamo di fronte solo a un uso poetico di immagini celesti, legato a miti e cicli stagionali? Un uso dal quale consegue una corrispondenza di dati scientifici più fortuita che intenzionale? Può essere.
Quello che è certo è che il Libro di Giobbe ci lascia con un profondo senso di umiltà che, dopo tutto, era proprio l’intento originale: non certo quello di impartire una lezione di astrofisica, ma quello di esporre i limiti della comprensione umana di fronte alla sapienza divina.
Alla domanda di Dio “puoi tu annodare i legami delle Pleiadi, o sciogliere le catene di Orione?”, non possiamo che rispondere con umiltà: “no, non possiamo. Possiamo solo alzare lo sguardo, contemplare il cielo… e continuare a meravigliarci”.






