Il bio-power e la strada della riconquista

geneticaIl Timone n.136 settembre-ottobre 2014

L’uomo contemporaneo tende ad esercitare il dominio su ogni cosa, anche sulle origini della vita. Ciò comporta il rifiuto della natura e l’abbattimento della famiglia. Come opporsi a questa deriva nichilista?

di Lorenzo Bertocchi

Bio-power non è l’ultimo combustibile in vendita dal benzinaio, ma l’orizzonte culturale dentro cui viviamo. Si tratta del “potere sulla vita”; quello che l’uomo crede di poter esercitare soprattutto grazie alle tecnoscienze.

La creazione artificiale di embrioni, il progresso delle neuroscienze, l’ingegneria genetica, le tecniche di controllo delle nascite, generano inevitabili problemi di carattere giuridico e politico; non per nulla i diritti umani vanno sempre più soggetti a forti spinte revisioniste. Sul bio-power quindi si innestano e proliferano le nuove interpretazioni dell’uomo. L’indifferentismo sessuale delle teorie del gender è la punta di diamante, fondata su un concetto di natura umana come mero prodotto della prassi

L’uomo non è, si fa. Questo il dogma del bio-power. Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate scrive che «emerge con forza la questione fondamentale: se l’uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio» (n. 74). Il bio-power si alimenta di una visione della realtà tesa ad escludere il soprannaturale, fondandosi su di un’unica forma di conoscenza, quella scientifica.

Il ruolo della rivoluzione sessual

II filosofo uruguayano Alberto Methol Ferrè (1929-2009), molto stimato da papa Francesco, in una bella intervista con il giornalista Alver Metalli, indica che è con la fine del comunismo che si scoprono le carte, che si comincia a vedere il vero volto dell’attuale nemico dell’uomo. Lì finisce quello che lui chiama l’ateismo messianico di stampo marxista ed emerge un agnosticismo scientista che sembra alimentarsi nella “cornucopia permissiva” tipica delle società opulente. Siamo decisamente dalle parti di quell’eterogenesi dei fini che il filosofo Augusto Del Noce aveva teorizzato a partire dal caso italiano. La rivoluzione marxista si scioglie in un grande partito radicale di massa.

Agnosticismo scientista e ateismo libertino si incontrano e si sviluppano dentro a quel fenomeno noto come globalizzazione. Una domanda però si impone: è il potere tecnologico che spiega la società consumistica e libertina, oppure è quest’ultima che da ragione dello sviluppo tecno-scientifico? Augusto Del Noce (1910-1989) scriveva che «la rivoluzione sessuale è effettivamente il punto di arrivo dello scientismo», come a dire che il problema non è la scienza, né la tecnica, né il benessere in sé, ma l’effetto che questi producono in una società che ha già scelto di “chiudersi il Cielo”, ripiegando nell’immanenza. Infatti, esauriti e scartati tutti gli orizzonti di senso (anzi volutamente espulsi) a cosa si riduce l’uomo se non ad una serie di bisogni fisici?

Secondo Antonio Granisci, così come viene riportato da Del Noce, ciò che era sempre mancato alla rivoluzione fu il «non aver saputo creare un’unità ideologica tra il basso e l’alto, tra i semplici e gli intellettuali». La rivoluzione sessuale riuscirà finalmente a colmare quello spazio tra il “basso e l’alto” e a massificare una volta per tutte la concezione immanentistica della vita. È l’ “assassinio di Dio”, compiuto con la distruzione dei costumi.

Da un punto di vista spirituale i promotori di questa “liberazione” dell’uomo conoscevano bene il loro mestiere. «Presa dal piacere» – secondo sant’Atanasio – «l’anima cerca di procurarselo in molti modi», cioè finisce schiava di chi, e di cosa, glielo fornisce. Per il successo della rivoluzione si è dovuto attendere che il popolo smettesse di vivere secondo la tradizione, ma cominciasse a cambiar vita nella direzione del godimento promosso dalla liberazione sessuale rivoluzionaria. Così, per dirla con Paul Bourget (1852-1935), si finisce per pensare come si vive e per raggiungere questo traguardo si è dovuto abbattere la fortezza della famiglia.

Abbattere il bastione della famiglia

II campo di battaglia decisivo è stato, almeno in Italia, il referendum sul divorzio del 1974. È quello il primo appuntamento in cui edonismo borghese e dissacrazione rivoluzionaria si trovano alleati per far guerra al bastione della società naturale, la famiglia monogamica tradizionale. Perché nessuna dissoluzione delle verità metafisiche può veramente attuarsi senza la distruzione della famiglia. E il colpo riuscì, senza neanche troppa resistenza.

Come in un domino, al cadere del primo tassello del divorzio sono poi caduti tutti gli altri: contraccezione, aborto, fecondazione assistita, uteri in affitto, matrimoni fra persone dello stesso sesso, rivoluzione del gender. E poi? Che cosa ci riserverà ancora il bio-power?

Il prossimo Sinodo sulla famiglia guidato dal Papa venuto dalla fine del mondo potrebbe essere un’occasione per tentare una difficile riconquista. Non potrà essere però la casistica della comunione ai divorziati risposati a calamitare l’attenzione di prelati e popolo, perché questo significherebbe cedere ancora, piuttosto occorre far risaltare lo splendore del vero: la bellezza e la forza del matrimonio e della famiglia cristiana.

Alberto Methol Ferrè – «colui che ci ha aiutato a pensare» ha detto papa Francesco – era convinto che «l’ateismo libertino non è un’ideologia, è una pratica. Ad una pratica occorre opporre un’altra pratica; una pratica autocosciente, beninteso, quindi intellettualmente dotata». Se la rivoluzione ha vinto buttandola sulla pratica, e sulla libera pratica sessuale in particolare, è difficile poter pensare di ribaltarla con un mero procedimento argomentativo, né con la ripetizione di formule, per quanto vere esse siano.

È difficile che il popolo possa ricominciare a pensare bene semplicemente frequentando l’università, perché proprio questi centri di conoscenza sono gli sponsor principali di quello stesso scientismo che è il vero motore delle varie rivoluzioni. Allora bisogna trovare il coraggio di andare su terreno scivoloso della prassi e lì far brillare lo splendore del vero.

È I’ “apologetica dei santi”, come la chiamava lo stesso Benedetto XVI, quella a cu è facile sfuggire perché chiama in causa i credente in prima persona, nelle sue scelte di vita, nel suo quotidiano. Ma è lì che si può riconquistare terreno. Non si tratta di documenti pastorali, di riunioni programmatiche, e nemmeno si tratta di scimmiottare il mondo, ma di contrastarlo facendo vedere che si può vivere in un altro modo. Così la riconquista contro il bio-power è possibile, ma c’è una condizione ben precisa.

Riscoprire il valore del sacrificio

La rileva con acutezza lo stesso Methol Ferre: la rivalutazione del sacrificio. Senza capacità di sacrificarsi, vera essenza dell’amore, non potrà mai esserci nessuna apologetica della santità, nessuna possibilità di riconoscere l’autentico splendore del vero. Senza rivalutazione del sacrificio il bio-power continuerà incontrastato a far cadere altri tasselli del domino.

Bisogna (re)imparare che la liberazione fondamentale è innanzitutto quella che sa riconoscere dei doveri, una scuola di vita che è possibile frequentare soprattutto ai piedi della Croce, lì dove giustizia e misericordia si sono incontrate in un Volto ben preciso, l’unico che può riaprire il Cielo (e quindi ri-allargare gli spazi della razionalità). Quel Sacrificio non è semplicemente collocato in un punto del tempo andato, ma si ri-presenta oggi su ogni altare cattolico.

Una volta che si imparerà a vivere contemplando il Sacrificio, quell’unità ideologica tra “il basso e l’alto, tra i semplici e gli intellettuali” che teorizzava Gramsci si romperà di nuovo e la massa potrà ricominciare ad essere Popolo. Di Dio.

Per saperne di più…

Alberto Methol FerréAlver Metalli, II Papa e il filosofo, Cantagalli, 2014.

Augusto Del Noce, // suicidio della rivoluzione, Rizzoli, 1979.

Benedetto XVI, Santi gli autentici apologeti della Chiesa, Lindau, 2007.

Paul Bourget, // demone meridiano, Solfanelli, 2013