I taleban di Darwin, la lezione di Popper

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Karl Popper

Avvenire 11 febbraio 2010

Quella ispirata dal naturalista resta una teoria che, al di là dei suoi indiscutibili meriti storici, viene considerata intoccabile dai suoi più zelanti sostenitori

di Giovanni Federspil

Nel dibattito odierno si è troppo spesso dimenticato un punto focale, rappresentato dalla distinzione che esiste fra teorie scientifiche dell’evoluzione ed evoluzionismo filosofico. I sostenitori del naturalismo ontologico ritengono che le teorie scientifiche dell’evoluzione forniscano prove ragionevoli della tesi secondo la quale l’evoluzione biologica non ha bisogno di alcuna trascendenza ed accusano coloro che sostengono la tesi contraria, di non portare argomenti in favore della trascendenza.

In realtà, i naturalisti ontologici aderiscono ad una tesi epistemologica che ritengono per sé evidente, ma non la sostengono in modo argomentato: essi ritengono che non vi sia alcuna reale diversità fra sapere scientifico e sapere filosofico. Sarebbe quindi del tutto legittimo ritenere che le tesi filosofiche dipendano dalle conoscenze scientifiche vigenti in un certo momento storico e che, pertanto, se la conoscenza scientifica non fornisce prove in favore della trascendenza, allora la trascendenza semplicemente non c’è.

In altre parole, secondo i naturalisti ontologici non solo l’onere della prova spetterebbe a chi afferma la trascendenza, ma tale prova dovrebbe avere natura empirica, come comunemente avviene nelle scienze naturali. Ed è proprio in questo assunto che il naturalismo odierno si rivela per quello che è: una forma pura di scientismo.

Un altro punto focale della discussione riguarda il valore della conoscenza scientifica. Dopo la grande lezione di Popper la gran parte dei ricercatori considera oggi le teorie scientifiche come costruzioni mentali indispensabili, ma non come verità definitive e incontrovertibili.

Già circa 150 anni or sono uno scienziato molto più scaltrito epistemologicamente di Darwin – Claude Bernard – scriveva che le teorie scientifiche sono principi relativi «ai quali bisogna accordare un valore provvisorio nella ricerca della verità. (…) Esse non devono essere insegnate come dogmi o articoli di fede. (…) In quanto sintesi delle nostre conoscenze le teorie devono rappresentare la scienza. (…) Ma poiché queste teorie e queste idee non sono verità immutabili bisogna essere sempre pronti ad abbandonarle o a modificarle».

Invece, ai nostri giorni quando si parla di evoluzione, assistiamo ad un curioso fenomeno; la teoria di Darwin – al di là dei suoi indiscutibili ed evidentissimi meriti storici – viene di fatto considerata una costruzione intoccabile che, nonostante gli anni trascorsi dal momento della sua formulazione, non è possibile mettere in discussione.

A tutto questo si deve aggiungere il fatto che, quando si parla di darwinismo, molti continuano a trascurare gran parte delle discussioni epistemologiche avvenute nel XX secolo. Il punto nodale riguarda la distinzione fondamentale che separa il discorso scientifico da quello filosofico.

La filosofia non si muove infatti sullo stesso piano della scienza: mentre quest’ultima si occupa esclusivamente della realtà empirica, ovvero dei fenomeni naturali, formulando ipotesi controllabili e proponendo leggi e teorie generali falsificabili, la filosofia si occupa anch’essa dei fenomeni naturali, ma li studia impiegando un metodo diverso da quello scientifico e ponendosi ad un differente livello di astrazione.

Ciò che colpisce maggiormente nelle discussioni odierne dei naturalisti filosofici è la mancanza di consapevolezza dei limiti che separano il discorso scientifico da quello filosofico. Così, ad esempio, l’origine naturalistica della morale viene semplicemente affermata sulla base di alcuni comportamenti altruistici osservati negli animali, senza discutere adeguatamente la possibile esistenza di un salto ontologico fra l’uomo e il restante mondo dei viventi e senza riconoscere che l’ambito della realtà non coincide con quanto è oggetto della percezione empirica.

È peraltro possibile constatare come attualmente vi siano scienziati e filosofi che si rendono conto che discussioni puramente scientifiche non possono esaurire il dibattito sull’evoluzionismo e che, per affrontare questo argomento, è indispensabile far esplicito ricorso ad argomentazioni metafisiche. Negli ultimi tempi sono infatti divenute più frequenti le voci di studiosi che riconoscono le debolezze delle tesi neodarwiniane e sottolineano la difficoltà di fondare su una teoria scientifica una visione generale del mondo

A questo proposito un grande biologo evoluzionista come Francisco Ayala, ad esempio, ha recentemente scritto che «gli scienziati e i filosofi che sostengono che la scienza esclude la validità di qualsiasi conoscenza al di fuori della scienza commettono un errore categorico: confondono il metodo e il magistero scientifici con le implicazioni metafisiche della scienza.

Il naturalismo metodologico afferma che a conoscenza scientifica ha precisi confini, non che è valido ciò che essa dice in ogni campo». Claude Bernard, scienziato più esperto a livello di epistemologia dello studioso inglese, 150 anni fa si era accorto dei rischi Il dibattito oggi in atto, sotto i panni della biologia, rivela a un occhio attento la sua vera natura, che è filosofica.