Grigorenko, il generale dissidente

Petro Grigorenko

Petro Grigorenko

Avvenire, 26 luglio 2007

Staliniano di ferro, poi grazie alla fede scese in prima linea contro il regime sovietico. Il militare, nato cent’anni fa, dopo il rapporto di Chrušcëv riscoprì la propria religiosità e si distaccò dall’ideologia comunista, arrivando a sfidarla in campo aperto. Internato, fu costretto all’esilio

di Pigi Colognesi 

Il generale Petro Grigorenko è stata una delle colonne della lotta per le libertà civili in Urss. In occasione del centenario della nascita, Delfina Boero offre un’accurata ricostruzione della sua vita sull’ultimo numero de La nuova Europa, da cui qui traiamo i passaggi salienti.Grigorenko nasce nel 1907 in una famiglia contadina ucraina. Nonostante la povertà, riesce a studiare. Leninista convinto, appoggia la lotta antireligiosa dei soviet e i processi sommari contro i “nemici del popolo”.

Frequenta l’Accademia militare di Leningrado; a vent’anni si sposa. Sente raccontare della carestia nella sua l’Ucraina all’inizio degli anni Trenta, ma, fedele alla versione del partito, la attribuisce a funzionari corrotti. Nel 37 entra nell’Accademia dello Stato maggiore a Mosca; neppure le purghe staliniane, al culmine in quell’anno, lo sconvolgono: rimane uno staliniano di ferro. Anche se suo fratello stesso viene indagato e anche se la moglie lo vorrebbe denunciare proprio per la sua corrispondenza col fratello.

Combatte come tenente colonnello durante la Seconda guerra mondiale e, dopo la vittoria, insegna nella prestigiosa Accademia Frunze. La morte di Stalin (1953) è una tragedia personale, aggravata dalle rivelazioni di Chrušcëv al XX congresso del Pcus.

Grigorenko incontra alcuni reduci dai lager e si fa largo in lui la domanda sulla bontà del regime sovietico. Nel 1959 diventa generale; ma il successo non lo soddisfa. Nel dicembre 1961 a Mosca interviene in una pubblica assemblea criticando la linea del partito e riceve numerosi attestati di stima per il suo coraggio.

Giudicato politicamente immaturo è spedito in Estremo Oriente. Libero da impegni gravosi può ripensare alla sua vita e alle sue convinzioni; crede ancora nel leninismo e decide che deve far qualcosa per rinvigorirne l’autentico spirito.

Tornato a Mosca scrive e distribuisce sette volantini anonimi. Arrestato il 1 febbraio 1964, è dichiarato incapace di intendere e volere e rinchiuso nella prigione di Lefortovo. Qui avvengono alcuni passaggi essenziali della sua evoluzione intima.

Anzitutto si convince che la forma di lotta anonima non è efficace quanto quella pubblica: d’ora in avanti, per quanto dipenderà da lui, esprimerà sempre apertamente il proprio pensiero. In carcere, poi, ritrova la fede ortodossa che da ragazzo aveva rifiutato.

Egli stesso descrive la sua conversione: «Fin dalla prima sera nella prigione, avevo sentito suonare una campana: quanti sentimenti e ricordi aveva evocato in me quel suono! Mi veniva in mente la mia infanzia; a dire il vero, non ero neppure ateo. Ero indifferente alla religione. Ma in quel momento sentivo la voce della Chiesa. In passato non l’avevo sentita. Ero stato per quasi due mesi all’ospedale militare che si trovava nello stesso quartiere dove ora ero detenuto, ma quel suono non l’avevo mai udito. Mi chiedevo meravigliato: Possibile che ci sia una chiesa da queste parti? Prima, probabilmente, non c’era. Invece c’era e aveva una voce. Decisi che se mai fossi tornato in libertà, per prima cosa sarei entrato senz’altro in quella chiesa».

Dopo la prigione l’ex generale, degradato a soldato semplice, viene internato in ospedale psichiatrico. Fortunatamente i nuovi dirigenti brezneviani, volendo dare un segnale di discontinuità, convocano una nuova commissione medica, che lo dichiara “guarito”.

Può recarsi nella chiesa della campana: «Era piena zeppa. Non recitavo delle preghiere e non chiedevo nulla a Dio, ma lo stato in cui mi trovavo in quel momento non poteva essere definito se non come un atteggiamento di preghiera. Non ero mai stato felice come quel giorno. Se mi chiedessero quando sono tornato alla fede dei padri, risponderei: durante una liturgia solenne nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Lefortovo. Dopo quella divina liturgia, ho cominciato a domandarmi: A chi fa comodo impedire alla gente di provare la felicità che ho vissuto io quella domenica?».

Ormai Grigorenko è un modello per i giovani (Ginzburg, Galanskov , Bukovskij) che stanno dando del filo da torcere al regime. L’amicizia che li lega è per lui il definitivo superamento delle pastoie ideologiche. Vede in loro gente pura, entusiasta, amici che lottano solo in nome della propria dignità personale.

È proprio il valore della persona e la difesa dei suoi inalienabili diritti che diventa il centro dell’azione di Grigorenko. I suoi nuovi giovani amici lo invitano, nel 1967, a tenere in università delle lezioni non ufficiali sulla seconda guerra mondiale; sono incontri affollatissimi nei quali l’ex generale smonta tutti i miti della propaganda sovietica.

Ormai è a tutti gli effetti un dissidente e suoi scritti circolano nel samizdat. Proprio per questo è nuovamente arrestato nel maggio 1969 e ancora internato in manicomio. È liberato solo cinque anni dopo.

Per nulla piegato: partecipa attivamente alla costituzione del Gruppo Helsinki per la difesa dei diritti umani ed è sempre in prima fila nelle petizioni, nei processi, nell’informazione clandestina. Nel 1977 si reca per cure mediche in Usa e il governo ne approfitta per togliergli la nazionalità. Muore a New York nel 1987.