Gli episcopati europei sul riconoscimento dei matrimoni omosessuali

COMECE The catholic Church in the European Union – 9 Dicembre 2025

DICHIARAZIONE

Dichiarazione della Presidenza della COMECE sulla recente sentenza della Corte di giustizia europea relativa al riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso tra gli Stati membri

Il Presidium della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea (COMECE), riunitosi il 3 dicembre 2025, ha analizzato e discusso la recente sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa Wojewoda Mazowiecki, C-713/23.

Le considerazioni che esprimiamo nella presente dichiarazione sono radicate nella visione antropologica della Chiesa, basata sulla legge naturale, del matrimonio come unione tra un uomo e una donna.

Pur nel pieno rispetto del ruolo della magistratura dell’UE, ci sentiamo in dovere di commentare alcuni aspetti della sentenza, rilevando con preoccupazione il suo impatto su questioni che sono al centro delle competenze nazionali. Da diversi anni la Commissione Affari Legali della COMECE riflette sulla questione del diritto di famiglia con implicazioni transfrontaliere, sottolineando costantemente l’importanza di un approccio prudente e cauto e di evitare influenze indebite sui sistemi giuridici nazionali.

La sentenza dichiara che uno Stato membro ha l’obbligo di riconoscere un matrimonio tra due cittadini dell’Unione dello stesso sesso che è stato legalmente contratto in un altro Stato membro, dove essi hanno esercitato la loro libertà di circolazione e di soggiorno. La Corte dell’UE aveva già compiuto progressi in questo settore, in particolare con la sentenza Coman, C-673/16. Tuttavia, la sentenza emessa il 25 novembre 2025 sembra spingere la giurisprudenza oltre i limiti delle competenze dell’UE.

L’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”) stabilisce che “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

Il matrimonio è definito come l’unione tra un uomo e una donna negli ordinamenti giuridici di vari Stati membri dell’UE, in alcuni casi anche mediante disposizioni costituzionali.

La Corte dell’UE riconosce infatti che l’obbligo affermato nella sua sentenza “[…] non pregiudica l’istituto del matrimonio nello Stato membro d’origine, che è definito dal diritto nazionale» e afferma che “allo stato attuale del diritto dell’Unione, le norme relative al matrimonio rientrano nella competenza degli Stati membri e il diritto dell’Unione non può pregiudicare tale competenza. Tali Stati membri sono quindi liberi di prevedere o meno, nel loro diritto nazionale, il matrimonio per persone dello stesso sesso”. Tuttavia, la Corte dell’UE restringe rigorosamente il significato di tale affermazione sottolineando che, nell’esercizio di tale competenza, ogni Stato membro deve rispettare il diritto dell’UE, in particolare le disposizioni dei trattati sulla libertà dei cittadini dell’UE di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri.

Notiamo con preoccupazione la tendenza ad applicare disposizioni che dovrebbero proteggere componenti sensibili dei sistemi giuridici nazionali in modo da impoverirne il significato. È il caso, con questa sentenza, dell’articolo 9 della Carta dell’UE. Nel recente passato, la stessa preoccupante tendenza è emersa con altre disposizioni chiave dell’UE, quali l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, relativo alla tutela dello status delle Chiese e delle associazioni o comunità religiose ai sensi del diritto degli Stati membri.

Tenendo presente l’importanza di riconoscere la ricchezza e la diversità del panorama giuridico e delle tradizioni dell’UE, rileviamo anche il ruolo deludentemente limitato attribuito dalla Corte al rispetto delle «identità nazionali» degli Stati membri (articolo 4, paragrafo 2, TUE) e alla loro ordine pubblico. Per alcuni Stati membri, la definizione di matrimonio fa parte della loro identità nazionale.

La sentenza della Corte dell’UE avrà un impatto sui sistemi giuridici nazionali in materia di diritto di famiglia e potrebbe esercitare pressioni affinché questi vengano modificati. Essa richiede inoltre l’introduzione di procedure di riconoscimento e chiede persino la disapplicazione, se necessario, delle disposizioni nazionali in questione. La sentenza crea di fatto una convergenza degli effetti del diritto matrimoniale, anche se l’Unione non ha il mandato di armonizzare il diritto di famiglia. Vi è anche un impatto sulla certezza del diritto, poiché sempre più Stati membri non saranno in grado di prevedere in modo chiaro quali parti del loro diritto di famiglia rimarranno di loro competenza.

Inoltre, la COMECE teme che la sentenza possa portare a sviluppi negativi in altri settori sensibili del diritto di famiglia transfrontaliero, ad esempio aprendo la strada a futuri approcci giuridici simili in materia di maternità surrogata.

Infine, ricordando il contesto difficile che l’Unione europea sta attualmente affrontando, anche in riferimento alla sua percezione in vari paesi, non sorprende che questo tipo di sentenze dia adito a sentimenti antieuropei negli Stati membri e possa essere facilmente strumentalizzato in tal senso.