Geografia del Collegio cardinalizio

collegio cardinalizioStudi Cattolici n.649 del Marzo 2015

 Numeri & volti del nuovo corso

 di Aldo Maria Valli

Con i venti nuovi cardinali creati da Papa Francesco (15 elettori e 5 non elettori), il Collegio cardinalizio è composto da 227 membri: 125 elettori e 102 non elettori.

Percentuali rosso porpora

Nel Collegio sono rappresentati tutti e cinque i continenti, con 73 Paesi, 59 dei quali hanno cardinali elettori. Se guardiamo agli elettori, il continente con il maggior numero di porporati resta l’Europa (57), seguito da America settentrionale (27), America meridionale (26), Asia (22), Africa (21), America centrale (8) e Oceania (5). La nazione più rappresentata è ancora l’Italia (25 non elettori, 26 elettori), seguita dagli Stati Uniti (7 e 11). Poi ci sono la Spagna (6 e 5) e, a pari merito, la Germania e il Brasile (entrambe con 6 non elettori e 4 elettori). La Francia è a quota nove (4 e 5), la Polonia a sei (2 e 4), il Messico a 5 (2 e 3). Anche l’India ha 5 cardinali, ma sono tutti elettori. Le Filippine invece sono a quota 4 (2 e 2), così come Svizzera (3 e 1), Canada (tutti elettori), Argentina (2 e 2) e Colombia (3 e 1).

Fra i cardinali elettori, non ne resta più nessuno creato da Paolo VI. Quelli creati da Giovanni Paolo II sono 31, quelli creati da Benedetto XVI 60 e quelli creati da Francesco 31. Dopo le nomine decise da Francesco, il Collegio, rispetto a quello che lo elesse nel 2013, ha un volto meno europeo e più asiatico. Dei 125 elettori gli asiatici sono 14, provenienti da 10 Paesi. Rappresentano dunque l’11 per cento del totale dei cardinali elettori, esattamente la stessa percentuale (lo ha notato il padre Antonio Spadaio sulla Civiltà cattolica) dei cattolici asiatici su tutti i cattolici del mondo (mentre, rispetto a tutti gli abitanti dell’Asia, i cattolici sono il 3 per cento).

A proposito dell’Asia, l’Annuario statistico della Chiesa cattolica mette in luce che, sebbene siano minoranza nel loro continente, in cifre assolute i nuovi battezzati asiatici superano ormai, ogni anno di più, quelli europei. Certo, un grande contributo è dato dalle Filippine (1 milione e 582 mila nuovi battezzati all’anno su un totale di 2 milioni e 581 mila nuovi battezzati asiatici), ma la tendenza è sempre più accentuata. E poi c’è quell’enorme serbatoio di cattolici che è la Cina, dove, secondo alcune proiezioni, nel 2030 i battezzati, pur restando ovviamente minoranza rispetto all’insieme dei cinesi, potrebbero comunque costituire la più grande popolazione cattolica del mondo con 247 milioni di persone.

Le variazioni nella composizione del Collegio cardinalizio non fanno che riflettere la situazione mondiale dei cattolici, ma non sempre con le stesse proporzioni. Nel caso dell’Europa, per esempio, i 57 cardinali del Vecchio Continente che entrerebbero in Conclave rappresentano ancora oggi più del 45 per cento di tutti i porporati, mentre ormai la percentuale di cattolici in Europa è scesa al 24 per cento (era del 65 per cento un secolo fa). Ampiamente sottostimata è la rappresentanza di cardinali elettori latinoamericani: sono infatti il 14,4 del totale del Collegio, a fronte di 425 milioni di cattolici che vivono in quelle regioni e che costituiscono ormai il 40 per cento dei cattolici di tutto il mondo (un secolo fa erano 70 milioni, pari al 24 per cento).

Con le cifre si potrebbe continuare a lungo, ma è bene passare ad alcuni nomi. Come quello dell’arcivescovo di Tonga, Soane Patita Paini Mafi, il primo cardinale mai creato nella sua diocesi e anche, con i suoi cinquantatré anni, il più giovane del Collegio e il primo, e finora unico, porporato nato negli anni Sessanta del secolo scorso. Ma anche la Birmania ha un cardinale per la prima volta nella sua storia. Si tratta di Charles Maung Bo, sessantasette anni, salesiano, creato cardinale proprio quando il suo Paese ha appena celebrato il quinto centenario dell’evangelizzazione. Rimasto orfano a soli due anni, fu affidato alla cura dei salesiani di Mandalay e tutta la sua formazione è avvenuta nel segno del carisma di don Bosco.

Un altro Paese per il quale il concistoro del febbraio 2015 ha segnato una prima volta è Panamá: il porporato è José Luis Lacunza Maestrojuán, agostiniano recolletto di origine spagnola, nato a Pamplona, in Navarra, nel 1944, inviato in Panamá dal suo ordine dopo l’ordinazione sacerdotale. Nel caso della Thailandia si tratta invece del secondo cardinale della sua storia: è Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, classe 1949, arcivescovo di Bangkok, instancabile tessitore del dialogo con la maggioranza buddhista e inflessibile nel denunciare la corruzione.

Da segnalare poi l’arcivescovo di Addis Abeba Berhaneyesus Deme-rew Souraphiel, lazzarista, secondo etiope a ricevere la porpora, imprigionato per sette mesi nel 1979 durante la persecuzione militare a opera del governo comunista e rappresentante di quella Chiesa cattolica etiope che nel 1622 si separò dalla Chiesa ortodossa mantenendo comunque il rito orientale. Significativa anche la nomina del vietnamita Pierre Nguyèn Vàn Nhon, settantasei anni, arcivescovo di Hanoi, cresciuto in una famiglia, come ha raccontato lui stesso, dove si andava a Messa tutti i giorni, un pastore che si è segnalato per la capacità di dialogo con le autorità civili quando, dal 2007, i rapporti si sono fatti tesi.

Questi nomi ci portano in mondi nei quali i cattolici sono spesso minoranza e tengono accesa la fiammella della fede a prezzo di tanti sacrifici. Si tratta di pastori abituati alla mediazione fra culture diverse e a giudicare la realtà da una prospettiva diversa da quella europea e occidentale. Quanto ai due italiani elettori (Edoardo Menichelli e Francesco Montenegro), ha destato sorpresa che siano stati scelti i pastori di diocesi non tradizionalmente car­dinalizie, come Ancona-Osimo e Agrigento, ma ormai dovrebbe essere chiaro che Papa Bergoglio non segue schemi precostituiti.

Linee per una riforma

C’è anche qualcosa del passato nelle linee di riforma della curia romana esaminate dai cardinali nel concistoro del febbraio 2015. L’ipotesi è che i segretari dei dicasteri non siano vescovi, ma semplici prelati, com’era abituale prima del pontificato di Giovanni XXIII. Un modo per combattere quel carrierismo contro il quale Francesco si è espresso in numerose occasioni.

Quanto ai dicasteri, la linea illustrata dal gruppo dei C 9 (i nove cardinali incaricati da Francesco di occuparsi del progetto di riforma) sembra quella di accorpare competenze oggi troppo polverizzate, attraverso la nascita di tre nuovi dicasteri: uno per laici e famiglia, uno per giustizia, pace e carità, uno per la cultura e l’educazione cattolica. Quest’ultimo dovrebbe occuparsi anche delle questioni attualmente di competenza delle Pontificie accademie delle scienze e delle scienze sociali, così come dei Musei vaticani, della Specola vaticana, dell’Archivio segreto e della Biblioteca apostolica. In più, dovrebbe nascere una nuova congregazione dedicata all’ecologia umana e ambientale.

Durante il concistoro si è parlato anche degli affari economici e dei mass media. Sul primo fronte il cardinale George Peli, responsabile del nuovo dicastero per l’economia, ha riferito che dopo un’accurata analisi condotta nelle varie amministrazioni sono stati rinvenuti cespiti per un valore complessivo superiore al miliardo e mezzo di dollari. Il tentativo di avere un quadro completo sta andando avanti. Ora si tratta di decidere se la Segreteria per l’economia avrà la supervisione su tutte le amministrazioni oppure se alcune di esse, come Segreteria di Stato, Apsa e Governatorato, manterranno un certo grado di autonomia.

Quanto alla comunicazione, allo studio c’è un segretariato per coordinare le varie strutture esistenti: sala stampa, Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, Centro televisivo vaticano, Radio Vaticana, Osservatore romano. Obiettivo: ridurre i costi, aumentare efficacia e collaborazione.