Gaza: un po’ di storia e alcuni fatti

Centro Studi Livatino 18 Luglio 2025

Per riflettere su un realistico percorso di pace (giusta).

Edoardo Fiore

Iniziamo con un po’ di storia, che non guasta.

Con lo smembramento dell’Impero ottomano, conseguente alla prima guerra mondiale, Gaza entrò a far parte della Palestina, affidata in mandato di governo al Regno Unito. Con il termine del mandato britannico nel 1948, nello stesso anno, a seguito dell’attacco dei paesi arabi al momento della proclamata indipendenza d’Israele, fu occupata dall’esercito egiziano e amministrata da un Governatore militare.

Diciannove anni dopo, a seguito della “Guerra dei sei giorni”, Gaza fu occupata dagli israeliani. Non più rivendicata dagli egiziani, nemmeno con il Trattato di pace israelo-egiziano del 26 marzo 1979, rimase sotto il controllo israeliano. A seguito degli Accordi di Oslo del 1994 tra Israele e l’OLP, i palestinesi ottennero il compito di autogovernare, in modo limitato, parte della Cisgiordania e la striscia di Gaza. Fu costituita, quindi, l’A.N.P. (Autorità Nazionale Palestinese). Israele si ritirò da Gaza, con decisione unilaterale, nell’agosto 2005.

Il 29 novembre 2012, l’ONU ha riconosciuto l’A.N.P. come Stato non membro con status di “Osservatore Permanente”, assumendo così la denominazione di Stato di Palestina (risoluzione 67/19).  Nel corso degli anni, 147 su 193 membri dell’ONU hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Gli Stati Uniti, Canada e buona parte degli Stati dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, non lo riconoscono.

Le prime elezioni politiche in Palestina si tennero nel 1996. Il partito Fatah, guidato da Yasser Arafat, riconosciuto da Israele come unico rappresentante dei Palestinesi, vinse le prime elezioni e quelle successive sino al 2006. A quelle tenutesi il 25 gennaio del 2006 la maggioranza fu ottenuta per l prima volta da Hamas, con concentrazione di voti a Gaza, ove era più presente.

Nel 2005 gli israeliani, a seguito del “Piano di disimpegno unilaterale”, si ritirarono completamente da Gaza.

L’anno successivo scoppiò un conflitto armato – la “guerra civile palestinese” – tra Hamas e Fatah. Conflitto concentrato prevalentemente a Gaza, dove Hamas, più presente, aveva ottenuto un ampio consenso alle elezioni. Nel giugno del 2007, Hamas conquistò militarmente Gaza. I rappresentanti di Fatah furono eliminati.

A seguito della vittoria elettorale e la formazione di un governo ad esclusiva guida di Hamas, Israele, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, molte nazioni occidentali e alcuni Paesi arabi, dichiarando Hamas un’organizzazione terroristica, non riconobbero la legittimità del Governo palestinese ed imposero sanzioni.

Gaza è quindi separata dalla Cisgiordania controllata dall’ A.N.P. La Palestina è ora scissa in due: Gaza e Cisgiordania; La Cisgiordania governata dall’ANP, Gaza da Hamas.

Nel frattempo, Hamas ha cominciato, e protratto per anni, il periodico lancio di razzi e missili, forniti dall’Iran come buona parte delle armi, contro le città israeliane di confine e Tel Aviv. Israele ha costantemente risposto, colpendo le postazioni di lancio ed edifici considerati strategici per Hamas.

Nel 2014 Hamas ha compiuto un massiccio attacco, con missili e razzi, senza precedenti. In risposta l’esercito israeliano è entrato per la prima volta a Gaza City. Il conflitto, cominciato l’8 luglio si è concluso il 26 agosto successivo con una tregua, subito rotta da Hamas con nuovi lanci di razzi e missili. Lanci, di non particolare intensità, proseguiti sino all’attuale guerra. Israele era solita rispondere con il bombardamento delle postazioni di lancio avversarie.

Veniamo al 7 ottobre 2023.

In tale giorno, prendendo di sprovvista gli israeliani, Hamas, unitamente a miliziani della Jihad Islamica e di quelle del FDLP, ha attaccato, con circa 3.000 combattenti, gli insediamenti israeliani al confine. Sono state uccise circa 1.200 persone, di cui 859 civili, tra cui molti vecchi, donne, molte di queste violentate e poi assassinate. Le efferate atrocità commesse furono filmate e diffuse dallo stesso Hamas. I palestinesi hanno catturato 254 ostaggi, quasi tutti civili, tra cui moltissimi vecchi, donne e bambini anche piccolissimi.

L’attacco, esplicitamente rivendicato da Hamas, ha portato all’invasione di Gaza, volto alla liberazione degli ostaggi ed all’annientamento di Hamas e delle milizie islamiste alleate.

Una domanda è lecito porsi, e cioè perché Hamas ha scatenato una guerra con la consapevolezza di non poterla vincere in alcun modo militarmente. Le forze in campo, infatti, sono le seguenti: Israele 529.000 effettivi, Palestinesi (Hamas, Jihad Islamica, FDLP) circa 40.000, di cui circa 30.000 del solo Hamas.

La guerra si sta ancora protraendo, nonostante la incomparabile forza militare israeliana, uno degli eserciti più potente, armato, addestrato e determinato del mondo. Quello dei palestinesi non lo si può nemmeno definire un esercito, essendo una milizia dotata solo di armi leggere.

La ragione della protrazione della guerra è riconducibile alle particolari condizioni in cui si svolge il conflitto: si combatte in “ambiente urbano”, densamente popolato ed urbanizzato. L’ambiente peggiore per un esercito attaccante. Gli israeliani sono costretti ad avanzare e combattere metro per metro, strada per strada, casa per casa, stanza per stanza. Addirittura, passando attraverso le case contigue. Tale situazione ha portato ad un massiccio uso di attacchi con missili per neutralizzare i combattenti palestinesi annidati ovunque. Ovviamente anche nelle case civili ed edifici pubblici, che divengono così obiettivi militari. Di qui l’alto numero di vittime civili tra cui molti bambini, stimate ad oggi nel numero di 60.000 (secondo dati forniti da Hamas), senza però alcuna specificazione del numero dei combattenti palestinesi caduti.

Un discorso a parte merita pure l’arma più micidiale dei palestinesi: i tunnel. Un alto dirigente palestinese ebbe infatti a dichiarare: «La guerra dei tunnel è una delle tattiche militari più importanti e pericolose di fronte all’esercito israeliano perché presenta una dimensione qualitativa e strategica, per i suoi effetti umani e morali, e per la seria minaccia e una sfida senza precedenti per l’esercito israeliano. Macchina militare, pesantemente armata e che segue dottrine di sicurezza che comportano misure di protezione e prevenzione. … La tattica è sorprendere il nemico e sferrargli un colpo mortale che non gli consenta alcuna possibilità di sopravvivenza o fuga o gli consenta la possibilità di confrontarsi e difendersi».

I tunnel ad uso militare, realizzati negli anni con ingentissimo impegno finanziario, costituiscono un reticolo stimato in 500 chilometri concentrati sotto le zone abitate di Gaza. Essi consentono ai miliziani di sbucare di sorpresa innanzi alle truppe israeliane, colpire e sparire sottoterra, sorprendere il nemico alle spalle. I più grandi sono vere e proprie gallerie che permettono il transito di grossi automezzi. Sono attrezzati con camere adibite per ogni necessità: deposito armi, centri di comando, infermerie e camere operatorie per gli interventi più semplici. La maggior parte dei tunnel hanno accesso da immobili civili e non.

In conclusione, è un fatto che Hamas si è preparato, meticolosamente e per anni, a provocare, con l’attacco del 7 ottobre del 2023, una lunga guerra d’assedio, i cui costi sono stati finora in larga parte pagati da quella stessa popolazione che Hamas dice di voler difendere.

Così come è un fatto che l’alto numero di vittime civili pone un problema ulteriore, quello relativo al rispetto dello ius in bello da parte dell’Esercito israeliano. Quel che emerge, infatti, con evidenza è il mancato rispetto da parte delle forze armate israeliane del diritto umanitario che impone, al di là di ogni provocazione o esigenza legata alla tattica bellica, di non colpire la popolazione civile e di non aggredire obiettivi all’evidenza privi di significato militare, quali, ad esempio, le Chiese.

Una pace duratura non può che essere (il più possibile) giusta. Giusta significa rispettare i diritti di ciascuno. Ed il primo diritto da rispettare, anche e soprattutto da parte di chiunque affronti la questione, è quello dei fatti a non essere mutilati.