Diritto, amore e minori; qualche riflessione

Abstract: diritto, amore e minori. Se, e in che misura, possa e debba intendersi il rapporto tra amore e diritto? Sebbene il tema sia quanto mai vasto e intricato, e quindi irriducibile ad un così scarno spazio di considerazione, se ne possono comunque tracciare le linee generali per la sua comprensione e, seppur approssimativa, risoluzione

Centro Studi Rosario Livatino 27 Giugno 2023

La giustizia non si annulla per desiderio

Brevi riflessioni su amore, diritto e diritti dei minori.

Aldo Rocco Vitale

«L’amore non si annulla in tribunale»: questo lo slogan, diffuso ed elevato per un verso a livello di vero e proprio dogma strutturale delle rivendicazioni delle minoranze LGBT, ma divenuto già da tempo, per altro verso, anche autentico problema della contemporaneità giuridica,[1] su cui si possono effettuare alcune riflessioni per comprendere se, e in che misura, possa e debba intendersi il rapporto tra amore e diritto.

Sebbene il tema sia quanto mai vasto e intricato, e quindi irriducibile ad un così scarno spazio di considerazione, se ne possono comunque tracciare le linee generali per la sua comprensione e, seppur approssimativa, risoluzione.

L’idea per cui l’amore non si annulla in tribunale si fonda sostanzialmente su tre assunti: 1) l’amore è la dimensione essenziale della vita; 2) l’amore esprime un di più rispetto al diritto; 3) ci sono dei limiti che la giurisdizione, o l’intero ordinamento, se si preferisce, deve rispettare.

I suddetti tre assunti possiedono luci e ombre, tuttavia.

Senza dubbio l’amore è una dimensione essenziale della vita, ma sicuramente non è l’unica, poiché – anche in una prospettiva cristiana – non si può ridurre l’intera natura umana, in virtù della sua specifica e complessa natura, al mero sentimento dell’amore, in quanto l’umanità dell’uomo non si estrinseca soltanto nella sfera sentimentale, sessuale o emotiva, poiché l’essere umano è unione si corpo e anima, poiché l’anima non è solo aggregato di sentimenti e sensazioni, poiché l’essere umano è anche e soprattutto, secondo i prudenti insegnamenti della antica e migliore tradizione filosofico-antropologica occidentale,[2] fatto a immagine e somiglianza di quel logos che lo rende un animal rationale:[3] la vastità abissale di quell’immenso oceano che è l’uomo non può essere compressa e ridotta alle poche onde che si adagiano su una singola spiaggia.

Per di più bisognerebbe anche comprendere la natura dell’amore e le modalità di estrinsecazione dello stesso, poiché l’amore per un figlio o un genitore non è lo stesso amore per un amico, l’amore per un amico non è lo stesso amore di quello di un insegnante per i propri allievi, l’amore di un insegnante per i propri allievi non è lo stesso amore di quello per un coniuge, l’amore per un coniuge non è lo stesso amore di quello per Dio, così come tutte le predette forme di amore sono distinte, e quanto mai distanti, da altre forme di amore, come l’amore per se stessi, l’amore per il male, l’amore incestuoso, l’amore pedofiliaco o l’amore per l’amore, che pur fenomenicamente ed empiristicamente riconducibili all’amore, amore non sono realmente poiché eticamente e razionalmente contrarie ai limiti imposti dalla natura.

Insomma, l’amore appare molto più profondo e articolato di quanto si possa ritenere normalmente prima facie, anche e soprattutto da parte dei suoi più accaniti sostenitori e promotori, come del resto aveva già ampiamente indicato Benedetto XVI nella “Deus caritas est” distinguendo, con la sua consueta lucidità etica e teoretica, l’eros dall’agape.[4]Inoltre, senza dubbio l’amore esprime un di più rispetto al diritto, ma questo non esclude il diritto dall’orizzonte di senso della realtà, a causa della sua capacità di comunicare e tradurre ugualmente l’umanità dell’uomo: l’amore, infatti, riflette la relazionalità umana secondo l’espressione immediata del sentimento, mentre il diritto esprime la relazionalità umana secondo l’espressione mediata della normatività (come accade anche in altre dimensioni quali, per esempio, il linguaggio o l’arte).

La specifica profondità dell’amore, quindi, non può negare o rinnegare la parallela ricchezza del diritto.

Sul terzo assunto, inoltre, è senza dubbio vero che così come l’amore non può escludere il diritto, il diritto non può, a sua volta, escludere l’amore, ma se è pur vero che vi sono dei limiti per la legge e l’ordinamento è anche pur vero che proprio per questo il diritto è e deve rimanere estraneo rispetto all’amore.

Da qui, emerge, la grave contraddizione logica ed etica alla base del ragionamento di coloro i quali – come quanti militano o sostengono le organizzazioni LGBT – reputano che l’amore possa e debba essere giuridificato tramite il riconoscimento legale di tutte le forme di amore ulteriori rispetto a quella posta a fondamento dell’unione monogamica tra uomo e donna.

Delle due l’una, infatti: o l’amore può e deve essere giuridificato, tramite l’estensione del riconoscimento legale di tutte le forme d’amore – nessuna esclusa, neanche per età o numero dei componenti il sodalizio amoroso –, ma allora potendo l’amore ricevere una sanzione positiva, una volta legalizzato, può riceverne anche una negativa, venendo – ove necessario – annullato in tribunale, oppure se l’amore non può essere annullato in tribunale, non può neanche essere giuridificato, dovendosi, quindi, escludere l’estensione legale della tutela di altre forme d’amore che non siano quella monogamica di uomo e donna.

In sostanza, non si può reclamare la tutela giuridica in modo oscillante, pretendendo l’attivazione o la disattivazione dell’ordinamento giuridico secondo una logica a corrente alternata.

Il diritto, infatti, è un profilo dell’umano troppo serio e delicato per essere manipolato secondo i gusti e i capricci momentanei, dovunque e comunque essi trovino causa: nel legislatore, nel giudice o, perfino, nella volontà popolare maggioritaria o minoritaria.

Il diritto, non a caso, possiede una sua propria specifica autonomia solidamente ancorata alla sua intelligibilità razionale e universale che lo sottrae inevitabilmente all’arbitrio del singolo o della collettività.

Il diritto, infine, qualora non conservasse la propria autonomia – come la storia insegna in una innumerevole quantità di casi anche recenti – sottomettendosi alla voglia temporanea del sovrano, alle esigenze storico-economiche, alle contingenze socio-ideologiche delle masse, cessa di essere diritto, cioè via di giustizia, e diventa strumento di tirannia, cioè mezzo di ingiustizia.

Quanti rivendicano la giuridificazione dell’amore, dunque, non comprendono la potente carica antigiuridista della propria stessa pretesa, poiché – senza rendersene conto – mescolando amore e diritto, finiscono per negare la verità dell’uno e dell’altro.

Per un verso, infatti, negare la verità dell’amore, cioè il suo essere per sua natura estraneo al sentimentalismo,[5] per di più in nome del diritto medesimo, significa negare l’amore stesso, cioè la sua matrice coscienziale da cui peraltro derivano la sua spontaneità e la sua incoercibilità; [6] per altro verso, inoltre, negare la verità del diritto, cioè la sua razionalità e l’indisponibilità della sua natura, [7] significa negare la giustizia in se stessa considerata,[8] cioè il suo essere riflesso della persona, ovvero espressione di un ente morale che è ben più dei meri aggregati biologici, degli stadi psicologici o delle pulsioni sessuali di cui è pur partecipe. [9]

Oltre tutto ciò, tuttavia, altre due riflessioni s’impongono.

La prima riguarda la circostanza per cui anche in riferimento all’unione tra uomo e donna, l’ordinamento non fa menzione della sfera sentimentale e dell’amore: non ne fa menzione il Codice Civile nel disciplinare il rapporto matrimoniale o quello tra genitori e figli ai sensi degli articoli 143, 144 e 147; non lo fa il Codice Penale nel sanzionare tutte quelle piccole e grandi atrocità che possono consumarsi all’interno del focolare domestico (dall’abuso dei mezzi di correzione e disciplina ex art. 571 C.P. ai maltrattamenti in famiglia ex art. 572 C.P.); non lo fa, neanche, la stessa Costituzione, né quando riconosce la famiglia come società naturale all’articolo 29, né quando prescrive i doveri endo-familiari, cioè quelli che ricadono sui singoli componenti della famiglia in modo reciproco, all’articolo 30, né quando prescrive i doveri eso-familiari, cioè quelli che ricadono sulla società nei confronti della famiglia.

In nessun caso l’ordinamento rileva il fenomeno dell’amore, proprio perché – per quanto piaccia o dispiaccia – l’amore è, e deve essere, irrimediabilmente trasparente per il diritto.[10]

La seconda, invece, riguarda la circostanza per cui, in ogni caso, almeno ad oggi, non constano episodi in cui i tribunali abbiano annullato l’amore.

I tribunali, infatti, non annullano l’amore, ma gli atti che si pongono in contrasto con la legge o con i principi generali dell’ordinamento e del diritto, come per esempio nel caso della violazione della dignità umana come conseguenza delle procedure di maternità surrogata.

In conclusione, dietro simili, semplici e semplicistici slogan si celano determinate visioni dell’uomo, dell’amore e del diritto che non soltanto sono erronee poiché tese a far confusione mescolando piani e dimensioni differenti, ma soprattutto perché tale rimescolamento si risolve, presto o tardi, per essere in diretto contrasto proprio con la natura sia dell’uomo, sia dell’amore che del diritto.

In definitiva, allora, se è vero e doveroso che i tribunali non possono annullare l’amore con i propri provvedimenti, è altrettanto vero che gli amanti dell’amore non devono annullare il diritto con i propri sentimenti, non già perché amore e diritto non possano comunicare – sebbene questa sia ben altra storia – quanto, semmai, perché ciascuno di essi, tanto l’amore quanto il diritto, non può dir di più di ciò che la sua stessa natura gli consente.

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[1] Ex plurimis cfr: Francesco Gazzoni, Amore e diritto ovvero i diritti dell’amore, ESI, Napoli, 1994; Niklas Luhmann, Amore come passione, Mondadori, Milano, 2006; Martha Nussbaum, Emozioni politiche. Perché l’amore conta per la giustizia, Il Mulino, Bologna, 2014; Stefano Rodotà, Diritto d’amore, Laterza, Bari, 2015.

[2] «Homo est animal bipes rationale»: Severino Boezio, La consolazione della filosofia, Bompiani, Milano, 2019, pag. 472.

[3] «Quel creatore e genitore nostro, Dio, diede all’uomo la coscienza e la razionalità, perché risultasse evidente che noi siamo stati generati da lui, che è intelligenza, coscienza e razionalità»: Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, Il capolavoro di Dio, Il leone verde, Torino, 2006, pag. 24.

[4] https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20051225_deus-caritas-est.html

[5] «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale»: Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 3.

[6] «L’amore è questione di coscienza, dunque non questione di istinto e di inclinazione; e nmmeno di sentimento o di calcolo razionale»: Søren Kierkegaard, Gli atti dell’amore, Morcelliana, Brescia, 2009, pag. 165.

[7] Come è stato correttamente osservato, infatti, l’uomo non è il padrone degli enti, ma è «il pastore dell’essere»: Martin Heidegger, Lettera sull’umanismo, Adelphi, Milano, 1976, pag. 73.

[8] «La negazione della verità è sempre negazione della giustizia»: Enrico Opocher, Analisi dell’idea della giustizia, Giuffrè, Milano, 1977, pag. 66.

[9] «La persona non è una categoria biologica o psicologica, ma una categoria etica e spirituale»: Nikolaj Berdjaev, Schiavitù e libertà dell’uomo, Bompiani, Milano, 2010, pag. 105.

[10] Per le ragioni di tale trasparenza mi permetto di rinviare a Aldo Rocco Vitale, Matrimonio e famiglia tra amore e diritto. Elementi per una critica del “gius-sentimentalismo”, in L-Jus, 1-2019, pag. 70 e ss.

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Si legga anche:

Il nuovo paradigma del diritto della famiglia e il disegno costituzionale