Denatalità, un suicidio per l’Italia

Abstract: denatalità, un suicidio per l’Italia che diventerà assieme all’Europa un immenso ospizio di vecchi da colonizzare. Ma a morire non è solo la società italiana, ma l’uomo bianco. Mi si passi l’iperbole: altrimenti come spiegare lo stesso destino per italiani, tedeschi, greci, polacchi, lettoni,  irlandesi, spagnoli, romeni e tutti gli altri popoli europei? Purtroppo neanche questo governo ha la volontà di invertire la rotta. L’Italia è un Titanic che va verso il collasso demografico

Newsletter di Giulio Meotti 16 Luglio 2023

L’uomo bianco è morto,

ma lo vedremo saltellare in giro ancora un po’ 

Neanche questo governo ha la volontà di invertire la rotta. L’Italia è un Titanic che va verso il collasso demografico. E l’Europa diventerà un grande ospizio da colonizzare

Giulio Meotti

“Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi”, diceva il principe di Salina, l’eroe del Gattopardo. “La scuola materna di Champorcher, in Valle d’Aosta, è stata sempre parte integrante della comunità, con il suono delle voci dei bambini nel cortile che ha fornito un faro di speranza per la sopravvivenza del villaggio di montagna. Nel settembre dello scorso anno, tuttavia, la scuola è scesa in un silenzio inquietante. È stata costretta a chiudere dopo appena due alunni iscritti. ‘Quando una scuola chiude, un paese muore’, ha detto Stefania Girodo Grant, preside di un gruppo di scuole tra cui quelle di Champorcher. ‘Perché il futuro di un villaggio dipende dalle nascite’. Le culle vuote nei reparti di maternità erano già diventate il simbolo inquietante del tasso di natalità in drastico calo in Italia. Ora le aule si stanno svuotando in tutto il Paese mentre la crisi demografica avanza nelle fasce di età. Le scuole dell’infanzia in Italia hanno perso 456.408 iscrizioni – pari a quasi il 30 per cento degli alunni – nell’ultimo decennio”.

Così racconta il Guardian inglese.

“La prestigiosa Università di Padova si è fatta un nome nel Medioevo, quando i suoi studiosi di medicina hanno aperto la strada alla dissezione dei corpi umani per studiare l’anatomia. In questi giorni la crisi demografica affligge la sua città universitaria. Una città economicamente e culturalmente vivace simile a Oxford o Cambridge, Padova ha registrato un calo del 27 per cento delle nascite”.

Così invece il Financial Times su Padova, ma per parlare dell’Italia alle prese con il “suicidio demografico”. Una situazione talmente disperata che alle elementari di Padova, in tre scuole solo 44 iscritti.

Intanto la provincia di Asti è la prima in Italia dove per ogni pensionato c’è un lavoratore. E domani? Due pensionati per lavoratore. E ci sono regioni che scenderanno ampiamente sotto un milione di abitanti, come l’Abruzzo. Le grandi città, come Torino, stanno vedendo un crollo del 30 per cento delle nascite in soli dieci anni. Torino, quarta città italiana per popolazione, sembra andare incontro al destino dell’isola di Pasqua. “Nascite dimezzate nelle Marche in quindici anni.

“Un dato su tutti: siamo al record negativo di 339.000 nascite a fronte di 700.000 morti. Se non cambia qualcosa, tra qualche anno, crollerà tutto”. Lo ha detto a maggio il presidente della Fondazione perla Natalità, Gigi De Palo, aprendo la terza edizione degli Stati Generali dal titolo “Sos-Tenere#quota500mila”, a cui hanno preso parte anche Papa Francesco e Giorgia Meloni. Due numeri su tutti. Uno dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: “Dati alla mano vediamo quale impatto il futuro demografico avrà sulla scuola e sull’istruzione per il prossimo decennio. Il quadro è effettivamente allarmante. Fra 10 anni dagli odierni 7,4 milioni di studenti, dato del 2021, nell’anno scolastico 2033/34 si scenderà a poco più di 6 milioni, ad ondate di 110/120mila ragazzi in meno ogni anno”. Poi ci sono i numeri del presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo: “Se le cose dovessero muoversi come abbiamo visto noi perderemo quasi 500 miliardi di Pil”. Un terzo del totale.

Ma a morire non è solo la società italiana, ma l’uomo bianco. Mi si passi l’iperbole: altrimenti come spiegare lo stesso destino per italiani, tedeschi, greci, polacchi, lettoni, irlandesi, spagnoli, romeni e tutti gli altri popoli europei?

In Tomorrow’s People, il demografo Paul Morland ha osservato che i paesi che invecchiano affrontano “il trilemma delle tre ‘E’: continuità etnica, crescita economica ed egoismo”.

Perderemo il popolo, diventeremo più poveri e avidi.

“Trovo che l’Occidente abbia i suoi meriti, li ha avuti comunque, ma c’è voglia di morte in Occidente, le parole ‘cultura di morte’ pronunciate da Giovanni Paolo II erano le parole giuste” dichiara Michel Houellebecq a Le Point. “L’Occidente e più in generale la modernità sono partiti male. Spero solo che i successori conservino alcune vestigia della nostra civiltà, che tengano conto di ciò che è stato realizzato culturalmente (e più egoisticamente che si astengano dal bruciare i miei libri). Per ora il processo è in corso, non vedo nulla che possa interrompere questa decadenza”.

Nonostante l’altissima qualità della vita e i benefici sociali, i welfare state nordici non hanno una maggiore fertilità: la Danimarca, lo stato nordico più fertile, ha un tasso di soli 1,67.

L’Europa va verso lo “scenario coreano” raccontato sul Telegraph da Malcolm Collins: “Mentre lavoravo come venture capitalist in Corea del Sud, avevo bisogno di fare previsioni sui ruoli che le nostre società in portafoglio avrebbero potuto svolgere nella futura economia coreana. La donna sudcoreana media può ora aspettarsi di avere 0,78 figli nel corso della sua vita, ben al di sotto dei 2,1 necessari per mantenere una popolazione stabile. A questo ritmo, oggi ci saranno solo 6 pronipoti ogni 100 coreani, e questo presupponendo che il tasso di fertilità non continui a diminuire come ha fatto quasi ogni anno negli ultimi due decenni. Si tratta di una riduzione del 94 per cento della generazione nel prossimo secolo. Quando ne ho parlato con le persone, mi è stato essenzialmente detto: ‘Lo sanno tutti ma facciamo finta che non sia vero perché la nostra economia smetterebbe di funzionare se le persone accettassero quanto sono brutte le cose’. Dato che oltre il 60 per cento della popolazione della Corea del Sud ha ormai più di 40 anni, la finestra che hanno per risolvere questa crisi si sta rapidamente chiudendo, se non si è già chiusa. Quando sono tornato in Occidente, ho avuto la strana sensazione di aver viaggiato indietro nel tempo di quindici o vent’anni. Potevo vedere davanti a me le stesse tendenze che stavano portando alla fine della Corea del Sud”.

Le previsioni attuali prevedono il superinvecchiamento fino al collasso in gran parte del mondo europeo. Si prevede che luoghi come Germania, Italia e Spagna avranno oltre il 30 per cento della loro popolazione totale di età superiore ai 65 anni entro il 2050.

Le persone che dovrebbero costruire il futuro stanno scomparendo. E le società europee non avranno la vitalità per fare qualsiasi cosa tranne cercare di mantenere il vecchio a proprio agio. L’Europa sta diventando un ospizio.

E come scriveva Carol Mann nel 1991, “l’Occidente, vecchio continente senile e spopolato, sarà chiamato ad accogliere forze vitali che attraverseranno il Mediterraneo provenienti da un Africa giovane e prolifica”.

In Finlandia, dove a parte il cibo e il clima, non si vive certo male, i finlandesi si estingueranno entro il 2060. Non fanno più figli. Non eravamo nelpaese più felice del mondo”? Forse prima o poi bisognerà rivedere queste classifiche per testimoniare che la vita e questa nozione di “felicità” sono antitetiche?

La verità la scrive Aris Roussinos su Unherd:Nata nel 1945, dalle macerie della sua decennale guerra civile, il nostro continente madre, l’Europa, è un boomer, incline come lo sono molti boomer a miti confortanti e autoesaltanti mentre si inclina verso la morte. A differenza della generazione che ha guidato l’Europa attraverso la Guerra Fredda, che ha vissuto la grande convulsione dell’Europa e ne ha compreso il potere, la generazione di politici che ha guidato l’Europa attraverso i decenni successivi alla Guerra Fredda — un tipo di cui Angela Merkel, un tempo lodata e ora vituperata, è il distillato più puro – sono stati i primi ad aver completamente interiorizzato il sistema di valori del continente post-1945. Il mondo era destinato a muoversi verso un armonioso libero scambio, in cui la chiarezza morale faticosamente conquistata dall’Europa avrebbe guidato verso la luce le civiltà minori, ancora intrappolate nella storia. Timido, a suo agio, timoroso del cambiamento e ossessionato da regole e regolamenti meschini, una volta raggiunta la mezza età con il crollo dell’Unione Sovietica, il continente è oggi per metà museo e per metà casa di riposo e l’Europa è diventata grassa e compiacente mentre la storia viene scritta altrove”.

“Fürstenburg è un villaggio medievale di strade acciottolate e case a graticcio sulle rive del fiume Oder. Sulle rovine di un ponte fatto saltare in aria dalla Wehrmacht nel 1945 i pochi adolescenti si arrampicano per una vista oltre il confine con la Polonia. Questo angolo d’Europa altrimenti insignificante, tuttavia, occupa un posto affascinante nella storia del XX secolo”.

Così racconta il Telegraph.Qui fu dichiarata la ‘prima città socialista in territorio tedesco’. Campi e foreste furono ripuliti per farne grandi viali, teatri e scuole, murales e monumenti alle glorie del comunismo, il tutto costruito attorno a una serie di grandi complessi residenziali. Il leader della Ddr Walter Ulbricht parlò alla cerimonia di apertura in cima a un palco adornato con promesse di ‘acciaio, pane e pace’. Il piano era stato di intitolare la città a Karl Marx, il ‘figlio più grande del popolo tedesco’, ma dopo la morte del dittatore sovietico nel 1953, esattamente 70 anni fa, l’hanno chiamata ‘Stalinstadt’, la città di Stalin. ‘Sarà la prima città della Repubblica Democratica Tedesca in cui non ci saranno imprese capitaliste di alcun tipo’, disse un risoluto Ulbricht. All’ingresso del monumentale municipio, 100.000 tessere di pietra colorata compongono un mosaico chiamato ‘Unser Neues Leben’, ovvero ‘la nostra nuova vita’. Mostra i lavoratori, gli insegnanti, gli studenti, i genitori e i bambini di una Germania ottimista e socialista sotto la bandiera rossa. Immagini e foto d’archivio mostrano che forse una volta era così: il viale principale, Lindenallee, è pieno di coppie sulla ventina e i parchi giochi sono pieni di bambini. Non più. Molti di quei campi da gioco sono stati ricoperti di erba. Anche le scuole sono chiuse e gli asili abbandonati non sono difficili da trovare dato che la metà degli attuali abitanti della città ha più di 60 anni. Gli anziani residenti trascorrono il tempo fuori dai caffè, masticando stinco di maiale e patate bollite. L’industria siderurgica della città ha perso i tre quarti della forza lavoro. Durante gli anni di crescita demografica dagli anni ’60 agli anni ’80, ai margini della città sono stati costruiti condomini nuovi. Ora sono demoliti. Una lamentela comune degli ex tedeschi dell’Est è che, per loro, il futuro è scomparso, anche se riconoscono i difetti della Ddr e la maggior parte era contenta di vederla crollare. I pilastri del neoclassico Friedrich-Wolf-Theatre si trovano su un ampio viale ancora decorato con murales socialisti; una scena ideata da una mente utopica decisa a elevare la vita culturale delle giovani e vigorose classi lavoratrici affinché possano realizzare la terra promessa. Osservandolo oggi spopolato, a parte lo strano gruppo di pensionati che qui vivono i loro ultimi anni, forse da nessun’altra parte nell’ex Ddr questa perdita di futuro è più visibile e percepita”

Un documentario è appena uscito e lo consiglio a tutti: magnifico e agghiacciante. Si intitola Birthgap e racconta un “mondo senza bambini”.

Il Giappone non è economicamente fatiscente come la Germania dell’Est né può incolpare il socialismo, ma come ha appena detto il consigliere del primo ministro Fumio Kishida, “il paese scomparirà. Sono le persone che devono vivere il processo di scomparsa che dovranno affrontare enormi danni. È una terribile malattia che affliggerà quei bambini”.

C’è un’Europa che assomiglia all’ex DDR nello strepitoso racconto del Telegraph e che se continua così raggiungerà nel libro della storia altre civiltà scomparse: da Creta, l’isola di Minosse che non ha smesso di affascinare storici e letterati, agli Olmechi del Messico, dai Nabatei di Petra al regno Khmer e all’Isola di Pasqua.

Non potrebbe esserci niente di più lontano di un polacco da un greco, di un tedesco da uno spagnolo, di un italiano da un lettone o da un russo, eppure il destino che accomuna tutti questi popoli europei oggi è identico. L’uomo bianco è morto, anche se lo vedremo agonizzare per un po’. Philip Longman, in un saggio per Foreign Affairs, ha scritto che stiamo vivendo “gli ultimi echi del baby boom a livello mondiale”. E dopo l’eco ci sarà il silenzio. Società e cultura sono oggi scosse come da una guerra silenziosa. Il massimo demografo francese, Alfred Sauvy, ha scritto che “l’Europa è destinata a diventare un continente di vecchi, che vivono in case vecchie, con vecchie idee” e ha fatto tre esempi: “Grecia, Roma e Venezia sono i più famosi. Ogni volta era la morte della società”.

Nella cattolica Polonia si è appena registrato il più basso tasso di natalità di sempre, un crollo del 40 per cento dal 1993. E come ricorda The Economist, il governo polacco era stato molto generoso con i sussidi per la maternità.

Il Washington Post è andato a Kalpaki, in Grecia. “Tredici studenti in prima elementare. Alcuni vivevano in villaggi dove erano gli unici. Una mezza dozzina di altre scuole della zona hanno chiuso di recente”. Il Financial Times è a Roviata, sempre in Grecia: “Solo 150 persone e due terzi sono in pensione. Konstantopoulous è uno dei tre contadini rimasti in quello che un tempo era un vivace centro agricolo. ‘Mio padre ha avuto nove figli, io ne ho una, qui c’è un nato ogni quindici morti. Alla fine non ci sarà nessuno, non ci sarà alcun villaggio’”. Sul New York Times l’editorialista greco Nikos Konstandaras scrive: “I greci sono in lotta per la sopravvivenza”.

I paesi europei si stanno evolvendo in quella che i demografi chiamano una società “4-2-1”: un bambino diventa responsabile per il supporto di due genitori e quattro nonni. Saranno risparmiati da questo fenomeno solo i paesi con grandi comunità islamiche, che andranno incontro ad altri problemi, non meno gravi.

Quando scrivo che l’uomo bianco è morto non è un’iperbole. Sta morendo davvero.

Il Guardian ci porta in Lettonia: “Quando Margarita Skangale era un’adolescente alla fine degli anni ’70, c’erano 1.200 alunni al liceo di Viļāni. Quando suo figlio era piccolo, la fila fuori dal negozio di vestiti per bambini si allungava lungo la strada. Oggi ci sono 400 alunni a scuola. Nei prossimi tre decenni, la Lettonia, che ha già perso il 30 per cento della popolazione dal 1990, è destinata a perderne un altro 23,5 per cento. ‘È un problema esistenziale’, ha affermato Imants Parādnieks, consigliere demografico del governo. ‘Non rimarremo in Lettonia senza un numero sufficiente di lettoni’. In nessun luogo la crisi demografica della Lettonia è avvertita più acutamente che a Viļāni, che ha perso un terzo della sua popolazione in tre decenni, ma riesce comunque a sembrare sorprendentemente bella. La sua chiesa del XVIII secolo dipinta di bianco, a due torri, risplende; le strade sono immacolate. Ma nei villaggi intorno, case abbandonate punteggiano i campi. L’economia locale è quasi implosa”.

Doberlug-Kirchhain

Anche The Economist ci porta sempre nell’ex DDR: “Bitterfeld-Wolfen ha visto la sua popolazione precipitare da 75.000 nel 1989 a 40.500 oggi. Quasi un edificio su cinque è vuoto. Due terzi degli asili nido e più della metà delle scuole hanno chiuso. Il numero di alunni che finiscono la scuola secondaria è diminuito della metà. L’unico settore in forte espansione è l’assistenza agli anziani”. Anche la Zeit, il primo settimanale tedesco, dedica uno speciale al fenomeno: “Le infrastrutture sociali sono crollate: scuole, ospedali, strutture sportive e ricreative e istituzioni culturali hanno dovuto chiudere”. Manfred Grosser si considera fortunato a essere il parroco di Doberlug-Kirchhain, una pittoresca cittadina nella Germania orientale a metà strada tra Berlino e Dresda. Ma per ogni battesimo che celebra, Grosser presiede cinque funerali. Grosser e il suo gregge sono l’epicentro di un inesorabile spostamento della popolazione che sta per colpire gran parte della Germania orientale e ha iniziato a risuonare nel governo nazionale”. Il distretto di Elbe-Elster, che comprende la parrocchia di Grosser, presenta alcune delle peggiori prospettive demografiche in Europa. Secondo uno studio dell’Istituto di Berlino per la popolazione e lo sviluppo, entro il 2035 si prevede che perda un quarto della popolazione. Il declino della popolazione in età lavorativa sarà del 40 per cento. La maggior parte della ex Ddr ha così poche donne in età fertile che la ripresa e l’inversione sono quasi impossibili.

A prima vista, Cottbus assomiglia a qualunque altra antica e ordinata città tedesca, con le strade di ciottoli e i palazzi settecenteschi dai colori vivaci, lungo un tratto sinuoso del fiume Sprea. Ma percorrendo le piazze e i vicoli della città, ci si inizia a chiedere dove siano finiti tutti. E come mai non si sentano bambini piangere o gridare. La popolazione di Cottbus è diminuita drasticamente, a poco più di 100 mila oggi da 130 mila che erano un decennio fa, e sta perdendo il sette per cento dei suoi residenti ogni anno. La città è impegnata in una lotta a lungo termine per apparire normale man mano che i suoi appartamenti e le sue strade si svuotano. Per evitare che le zone diventino “città fantasma”, l’amministrazione di Cottbus è stata costretta ad andare contro l’istinto di ogni politico e pianificatore e investire milioni di euro delle tasse per ridurre le infrastrutture. Più di cinquemila unità abitative vengono smontate pezzo per pezzo e alcune di esse saranno rimpiazzate da case unifamiliari, mentre la città sta lottando per trovare un modo per ridurre le dimensioni dei servizi igienici e dei sistemi idrici, i cui tubi sottoutilizzati spesso trasportano acqua stagnante e immobile.

Metà dei comuni in Spagna vedrà affondare la popolazione

La Reuters è andata in Spagna: “Il villaggio di Pitarque, ai piedi di una montagna in Aragona, nella Spagna orientale, è sopravvissuto per più di 1.300 anni, ma se lo spopolamento continua al ritmo attuale, sarà abbandonato entro il 2046. La chiusura della scuola locale potrebbe segnare il punto di non ritorno nel villaggio di 69 residenti, fondato da conquistatori musulmani nell’VIII secolo”. El Mundo per la Spagna prevede un futuro “senza fratelli e sorelle”. In Spagna oggi ci sono 1.027 villaggi in cui non c’è più un solo bambino di età inferiore ai cinque anni, racconta il País. Il 13 per cento dei comuni spagnoli non ha registrato un solo parto dal 1 gennaio 2012. E 633 comuni in Spagna non hanno figli minori di undici anni. In 420 comuni non esiste un abitante con meno di quindici anni. El Mundo parla della “minaccia silenziosa che metterà fine alla Spagna come la conosciamo”.

Nel 2021, secondo un recente rapporto universitario, il 32,4 per cento dei bambini nati in Spagna aveva almeno un genitore straniero mentre la popolazione nativa è in calo, con un milione di spagnoli in meno in 10 anni. Sono le conclusioni dell’ultimo rapporto “Immigrazione” pubblicato il 22 maggio dall’Osservatorio Demografico dell’Università CEU San Paolo. La provincia di Girona (una delle quattro province della comunità autonoma della Catalogna) è quella che ha visto il maggior numero di bambini nati da genitori stranieri nel 2021. Più della metà di loro (50,9 per cento). Poi vengono Lérida, Barcellona e le Isole Baleari, con il 45; Madrid, con il 39; e Valencia, con il 31. Gli esperti hanno indicato che dalla seconda metà degli anni ’90 l’immigrazione in Spagna è cresciuta in modo esponenziale, passando da 1.067.478 stranieri registrati nel maggio 1996 a 7,5 milioni all’inizio del 2022, ovvero una crescita di oltre il 600 per cento.

Il Washington Post titola sull’“atto di scomparsa della Bulgaria”. Il quadro di tutto l’Est Europa è terrificante. La Romania perderà il 22 per cento della popolazione nel 2050, seguita da Moldavia (20 per cento), Lituania (17 per cento), Croazia (16 per cento) e Ungheria (16 per cento).

Questo significa che è già finita la grande immigrazione di Est Europei verso l’Europa occidentale

Matthew Goodwin parla di Inghilterra, ma potremmo applicare la sua analisi all’Italia, alla Francia, al Belgio e agli altri paesi europei: “Sono stati i due partiti principali che, come uno spacciatore di droga, hanno completamente agganciato la nostra economia e le grandi imprese all’importazione di manodopera migrante a basso costo dall’estero, eliminando ogni incentivo a investire nei lavoratori britannici”.

Vladimir Putin tuona contro la “decadenza dell’Occidente”, ma la sua Russia è all’avanguardia di questa decadenza. The Economist titola sull’“incubo demografico russo”. Il Telegraph di fine febbraio evoca un “abisso russo”. Nell’oblast di Pskov, al confine con l’Estonia, c’erano ventisei reparti di maternità alla fine dell’Unione sovietica. Oggi quattro. Il numero di aborti è uguale al numero delle nascite, un fatto che la funzionaria della sanità regionale Tatyana Shirshova ha definito “motivo di speranza”. Perché in precedenza c’erano più aborti che nascite. Nel suo discorso del 21 febbraio, Putin ha detto che l’Occidente ha causato una “catastrofe spirituale“: “Dobbiamo difendere i nostri figli, i nostri bambini dal degrado dell’Occidente che cercherà di distruggere la nostra società”. E se la Russia fosse un Occidente in avanzato stato di decomposizione? In Russia ci sono il doppio dei divorzi che in Italia: 4,5 ogni mille abitanti contro 1,4. La Russia è uno dei paesi al mondo in cui si ricorre di più all’aborto con 53,7 ogni 1.000 donne rispetto a 5,4 in Italia. In Unione Sovietica, il primo stato al mondo a legalizzare l’aborto nel 1920, si arrivò a una distopia tale che nel 1991 al crollo dell’Urss c’erano 201 aborti ogni 100 nati. Due gravidanze su tre venivano abortite.

Un incubo senza fine perseguita le notti di Vladimir Putin. Nel 1989 l’Urss contava 287 milioni di abitanti, più degli Stati Uniti. La Federazione Russa ha raggiunto il picco nel 1994 con 149 milioni. Nel 2021 sono rimasti 145 milioni di russi, rispetto a 331 milioni di americani e 1,4 miliardi di cinesi. E secondo le proiezioni dell’Onu, la Russia perderà 25 milioni di abitanti in cinquant’anni”. E saranno 83,7 milioni a fine secolo. Così il dossier dell’Express sul “declino dell’impero russo”. Di “un processo di spopolamento mai visto prima” parla il direttore dell’Istituto per i problemi social-economici della popolazione di Mosca, Vjaceslav Lokosov, avvertendo che tra vent’anni la popolazione russa potrebbe essere “risorsa non rinnovabile”.

Forse allora ha ragione Michel Onfray che in un saggio per la rivista svizzera Schweizer Monat scrive: “Dagli allineamenti di Carnac alla struttura circolare di Stonehenge, passando per i Moai dell’Isola di Pasqua o per i monumenti sardi di Bobbanaro, non mancano le testimonianze a favore di questo schema di civiltà che va dalla nascita alla morte attraverso la decadenza. C’erano Sumeri, Assiri, Babilonesi, Egitto, Grecia, Roma e tutte quelle civiltà sono morte. Sono state sostituite dall’Europa che sta morendo e sarà sostituita anche lei, naturalmente. La decadenza è inevitabile, inscritta nel destino di tutto ciò che vive: la senescenza è la forma che assume la decadenza in un individuo. Viviamo in questo periodo. Anche Putin dice di combattere contro un Occidente decadente, marcio, corrotto, immorale. Ma dimentica che neanche lui può sfuggire a questa constatazione. Stiamo vivendo la caduta dell’Europa giudaico-cristiana”.

Visto che in Italia abbiamo una classe dirigente che è come l’orchestrina del Titanic e il paese discute da una settimana soltanto del figlio del presidente del Senato e del matrimonio di Michela Murgia, la sola domanda che sembra essere rimasta è: chi abiterà l’Italia dopo gli italiani? Viaggiando per il nostro straordinario paese non si può non avere una sensazione alla Cormac McCarthy di un mondo al crepuscolo. Chi ha abitato quelle case? Chi vi ha amato, creato e tramandato? Perchè abbiamo deciso di abbandonarle? E cosa ne sarà della chiesetta del paese con l’affresco, harpes et luz?

Che fare? Fermare e selezionare l’immigrazione di massa, valorizzare la famiglia naturale e l’identità cristiana dei popoli europei, promuovere la cultura della vita e combattere quella della morte. Non c’è altro da fare. È la titanica battaglia del nostro tempo e per vincerla ci vuole forza morale, spina dorsale religiosa, visione culturale e coraggio politico. E chi non lo ha capito, merita di veder sprofondare il proprio mondo nella pangea umanitaria e multiculturale.

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Per approfondire:

Se non nascono più figli… L’Italia verso il suicidio demografico

Il suicidio demografico

Suicidio Europa