Dati ambigui e prove certe

Aspenia Rivista di Aspen Istitute Italia n.38-2007

Il rapporto prodotto dal panel sul cambiamento climatico dell’ ONU presenta serie lacune, di sostanza e di metodo. E riflette i rischi di un approccio basato su idee preconcette: dati ambigui sono interpretati come prove certe. Ne possono derivare politiche che si concentrano sui mutamenti climatici a scapito di altre emergenze globali, dall’AIDS alla povertà.

di Emilio Gerelli

(professore emerito all’Università di Pavia e membro dell’Accademia dei Lincei)

E opinione diffusa che attualmente il più importante problema ambientale globale sarebbe il riscaldamento causato dalle attività umane. Tale convinzione è stata rafforzata dall’evidenza fornita da un organismo connesso all’ONU: l’Intergovernmenlal Panel on Climate Change (lPCC), al quale è stato assegnato il Nobel per la pace 2007.

Esso adduce prove apparentemente ineccepibili, basate sull'”effetto serra”: la presenza in atmosfera di alcuni gas, anidride carbonica (CO2) in particolare, che agiscono appunto come il tetto di una serra, fa sì che la Terra non sia senza vita a -18 gradi centigradi, ma abbia invece una temperatura globale di circa 15 gradi. Il problema è che la CO2 è aumentata del 31% rispetto al periodo preindustriale, soprattutto per l’accresciuto utilizzo di combustibili fossili (carbone e petrolio in primis).

L’IPCC stima inoltre che negli ultimi 150 anni la temperatura sia aumentata tra gli 0,4 e gli 0,8 gradi, e addebita ciò alle accresciute emissioni di gas serra dovute allo sviluppo economico. Nell’alimentare, con questi dati, complessi modelli simulanti il clima su computer, il Panel stima un aumento della temperatura media nell’intervallo 1,1-6,4 gradi tra il 1990 (anno base) e il 2100. Se si arrivasse effettivamente a circa 6,4 gradi (naturalmente il solo dato citalo dai media, perché preoccupante anche se improbabile), le proiezioni sarebbero terrificanti: si scioglierebbero ghiacciai, si distruggerebbero ecosistemi con carestie conseguenti, gli oceani sommergerebbero Venezia, il Bangladesh, le Maldive ecc.

Audiatur et altera pars: i limiti delle nostre conoscenze.

Un’autorevole parte della comunità scientifica, tuttavia, critica l’IPCC: a cominciare dal fatto che la serie storica delle temperature medie globali in crescita è smentita da dati più affidabili rilevati in Europa e negli Stati Uniti (negli ultimi 105 anni) che non mostrano aumenti.

Il Panel utilizza dunque dati controversi, ma non basta: con questa serie storica traballante, pretende di simulare, mediante modelli di previsione computerizzati, un sistema di complessità ingente, quale è il clima, caratterizzato da relazioni non lineari che inducono un’evoluzione caotica dei parametri rilevanti. Infatti, le previsioni poggiano in realtà sui risultati di una batteria di modelli a computer, ognuno dei quali ha risultati di necessità incerti, che interagiscono fra loro. Vi sono così modelli sulla crescita della popolazione e dell’economia, come anche sullo sviluppo tecnologico, necessari a generare gli scenari delle emissioni di gas serra; altri modelli stimano le concentrazioni atmosferiche di tali gas; altri ancora sono modelli biofisici relativi ai mutamenti nella distribuzione della vegetazione e delle specie.

Ma il fenomeno da dominare è di enorme complessità. In particolare, sino a oggi non si è riusciti a tener conto in modo soddisfacente di fattori importanti per il clima quali i sistemi nuvolosi e gli aerosol. Dunque, più che di certezze occorrerebbe parlare di ipotesi. Infatti, il professor Freeman Dyson (Princeton), assieme ad altri, ammonisce: “I modelli del clima […] non sono strumenti adeguati per prevedere il clima […] dobbiamo avvertire i politici e il pubblico: non credete nei numeri solo perché derivano da un supercomputer”. In effetti, questi modelli non sono nemmeno in grado di simulare il clima del passato.

Le lacune dell’IPCC e le altre priorità globali.

In questo contesto, rispetto alle previsioni del Panel di un aumento tra 1,1 e ben 6,4 gradi entro il 2100, rispetto al 1990, “la critica principale che si fa ai modelli è che essi sono ‘accordati’ per ottenere certi risultati”, osserva il professor Guido Visconti, fisico dell’atmosfera. È stata giudicata scandalosa, inoltre, la mancata comunicazione (non disclosure), da parte dell’IPCC, delle fonti, dati e procedure statistiche utilizzate; ciò impedisce di replicare e controllare i risultati. Questo contrasta con la prassi delle migliori riviste scientifiche, che esigono tali informazioni dai loro autori, per consentire verifiche.

Osserviamo, infatti, che il servizio di monitoraggio del clima offerto dall’lPCC rientra nella categoria dei “servizi garantitibili” (credence goods), per i quali alcuni caratteri qualitativi restano incerti anche dopo che l’utente ha ripetutamente utilizzato il servizio, sicché è necessario ricorrere a valutazioni esterne o a un marchio (brand) credibile (questi servizi sono generalmente riferiti a quelli offerti da medici e avvocati, rivenditori di veicoli usati ecc). Al riguardo, il consumatore non è mai sicuro della quantità di bene o servizio realmente necessaria.

Per superare questa incertezza, si può ricorrere alla creazione di un marchio credibile, ciò che l’IPCC ha fatto basandosi sul suo status intergovernativo, e per essere stato creato da due agenzie dell’ONU (quelle sull’ambiente e sulla meteorologia). Ma è giunto il momento di utilizzare anche l’altro strumento di garanzia dei servizi garantibili: la certificazione da parte di organismi indipendenti, ai quali devono essere rese disponibili dall’i PCC le necessarie informazioni.

L’utilità di questo approccio, per ora frammentario e ostacolato dall’lPCC, è dimostrata dal fatto che due stimati economisti, lan Castles (già a capo dell’Istituto di Statistica australiano) e David Henderson (ex capo economista all’orati), hanno aperto una 62 controversia su un punto fondamentale per la tesi del riscaldamento globale: il grafico denominato “bastone da hockey” sulle temperature globali dell’ultimo millennio (1000-2000), che ne mostra una forte risalita a partire dall’inizio della rivoluzione industriale, attorno al 1870.

Questo grafico è stato spesso utilizzato quale prova evidente del riscaldamento globale, ma gli sceltici sono sempre stati sospettosi, poiché esso deriva la storia delle temperature principalmente dai cerchi degli alberi (che riflettono i cambiamenti di stagione dal freddo alla siccità, al caldo e alle precipitazioni durante la vita di una pianta). In altre parole, sembra che le statistiche utilizzale non siano accurate, e che le metodologie adottate per elaborarle siano erronee.

Anche la base economica delle proiezioni è stata fortemente criticata: si e rilevato che in un rapporto utilizzalo per la valutazione del cambiamento climatico, le proiezioni dei PIL nazionali sono state convenite in una misura comune utilizzando i tassi di cambio di mercato, invece che in termini di parità di potere di acquisto, in contrasto con i metodi accettati internazionalmente. Ciò fa sì che alla fine del secolo, ad esempio, il reddito medio di paesi quali l’Algeria, la Libia e l’Argentina supererebbe quello attuale degli Stati Uniti.

Ancora in campo economico, ricordiamo che l’ambientalista scettico, Bjorn Lomborg, ingiustamente criticato per le sue documentale critiche al catastrofismo ambientale (1), contrattacca duramente in un suo recente libro (Global crises, global solutions). In esso sono raccolti i contributi di 29 noti economisti per analizzare i dieci problemi globali più importanti, più un gruppo di otto superesperti, fra cui tre premi Nobel, per formularne le priorità.

Il fondamento del libro è convincente: ogni governo stabilisce, almeno con una qualche approssimazione, i problemi prioritari da affrontare, per massimizzare il vantaggio ottenibile dalle risorse scarse disponibili. Ma a livello globale ciò non accade: nemmeno l’ONU lo fa, anche se è una indispensabile fonte di informazione. Tuttavia, anche per gli ingenti problemi planetari occorre spendere scegliendo gli interventi prioritari, ragiona Lomborg.

Il suo libro raccoglie dunque informazioni e identifica dieci problemi globali che occorre affrontare per accrescere il benessere nel mondo. La classifica, in ordine di priorità, delle questioni poste viene stabilita utilizzando la tecnica economica della valutazione dei costi e dei benefici; così, valutazioni eterogenee vengono tradotte nel metro monetario comune. Qui si pongono problemi formidabili: ad esempio, come valutare in moneta i costi, ma soprattutto i benefici, dell’attenuazione del riscaldamento globale?

Per chi ritiene che sia meglio confrontarsi con dati numerici su cui discutere, piuttosto che accontentarsi di valutazioni qualitative non comparabili, ecco comunque i risultati, in estrema sintesi.

In ordine di rilevanza i problemi da affrontare sarebbero sette, e riguardano soprattutto i paesi poveri: AIDS; fame e malnutrizione nei paesi poveri; liberalizzazione del commercio internazionale; acqua potabile e depurazione di quella reflua; corruzione e governance; abbassamento delle barriere all’emigrazione; cambiamenti climatici. Consideriamo il caso più evidente, quello del riscaldamento globale di origine antropica. Contrariamente a quanto spesso affermato, Lomborg non ha mai messo in dubbio la possibilità del fenomeno. Ma ha scritto in passato che a questo problema ambientale, innegabilmente importante per il futuro ma incerto nella portala concreta, si dedicava un eccesso di risorse rispetto alla preminenza immediata e certa di altri problemi, quali la scarsità di acqua nei paesi poveri.

Ora la valutazione degli esperti gli da ragione. Essi affermano: “il gruppo riconosce che il riscaldamene globale deve essere affrontato, ma ha concordato che gli approcci fondati su di un brusco spostamento verso emissioni inferiori di carbonio sono inutilmente costose”. Il protocolIo di Kyoto (non il riconoscimento del riscaldamento globale) viene quindi bocciato, perché si giudica che i suoi costi superino i benefici ottenibili. Si suggerisce invece di introdurre inizialmente un’imposta relativamente poco onerosa sui combustibili 64 contenenti carbonio, da accrescere negli anni successivi.

I risultati della valutazione sono convincenti: va riconosciuto che AIDS e fame nei paesi poveri riguardano milioni di individui e sono problemi concreti e affrontabili con strumenti efficaci. L’importante novità di questo libro è la comparazione tra i vari problemi globali. Considerati ciascuno di per sé, come normalmente accade data l’inesistenza di un governo mondiale, ogni punto di crisi sembra avere priorità, col risultato che si procede a tentoni. Questo approccio complessivo mostra che l’eccessiva insistenza sul riscaldamento globale danneggia soprattutto i paesi poveri.

No al panico, sì alla precauzione.

Ma concediamo all’lPCC che un riscaldamento globale sia in atto. Non è detto però che esso sia causato dall’uomo. Come si spiega infatti, ad esempio, il clima temperato prevalente tra il 1000 e il 1300, quando in Inghilterra maturava l’uva, e i vichinghi colonizzavano la Groenlandia che oggi è coperta di ghiacciai spessi sino a 3 chilometri? All’epoca l’uomo non produceva gas serra in misura da giustificare l’aumento di temperatura.

Ma gli astronomi risolvono il problema: l’attività del sole è variabile; la presenza di macchie solari (scure, alcune con diametro di circa 100.000 km, in movimento di contrazione ed espansione) corrispose a un limitato flusso di raggi cosmici (particelle di alla energia che investono la terra), e perciò a una minore nuvolosità, causa a sua volta dell’innalzamento della temperatura. Ciò è accaduto anche in altre epoche, e potrebbe ripetersi oggi.

Il fisico Ferdinando Amman osserva (con altri, fra cui 53 studiosi legati al CERN e l’European Laboratory for Particle Physics) che la temperatura media risulta molto ben correlata coi cicli di attività solare negli ultimi 120 anni, dal 1870 al 1990: quando il ciclo è più corto, e l’attività solare è più forte, la temperatura media aumenta. E dunque verosimile che la più importante determinante dell’aumento di temperatura sia il flusso solare.

Alcuni degli stessi scienziati dell’IPCC lamentano inoltre che, nel comunicare i propri risultati ai politici, la presidenza del Panel abbia enfatizzato i pericoli previsti. Vi sono documentate lettere di protesta, e alcuni partecipanti ai lavori del Panel hanno riferito di aver subito pressioni. Il 17 gennaio 2005 un esperto dell’lPCC, Chris Landsea (meteorologo presso la Hurricane Research Division dell’Atlantic Oceanographic & Meteorological Laboratory americano) ha inviato una lettera aperta di dimissioni dal Panel dichiarando di ritenere il processo di redazione del documento “politicizzato” (2). La politologa Sonja Boehmer, sulla base di questi e altri indizi, definisce il Panel “un misto di credenti autoselezionati e di esperti scelti ufficialmente, per la maggior parte pagati direttamente dai governi, che non danno, né in realtà sono in grado di dare, un parere onesto”.

Nonostante queste critiche, non dubitiamo che il riscaldamento globale rimarrà sulla scena delle politiche ambientali, sulla base del principio di precauzione — che però è un concetto estremamente elastico. In tal caso si dovrebbero privilegiare, almeno, le politiche “win-win”, ossia quelle che ottengono non soltanto una mitigazione del riscaldamento globale (se esistente), ma simultaneamente raggiungono anche altri obbiettivi: risparmio energetico, rafforzamento delle energie alternative (eolico, solare, idrico, biomasse), tecnologie pulite.

NOTE

1) II precedente libro, che ha reso Lomborg il bersaglio di durissime critiche da chi spesso non aveva let­to il testo con attenzione, è L’ambientalista scettico.

2) Così il testo della lettera: “After some prolonged deliberation, I have decided to withdraw from parti-cipating in thè Foutth Assessment Report of thè IPCC. I am withdrawing because I have come to view thè pari of thè IPCC to which my expertise is relevant as having become politicized. In addition, when I ha­ve raised my concerns to thè IPCC leadership, their responso was simply to dismiss my concerns. […] I personally cannot in good faith continue to contribute to a process that I view as both being motivated by preconceived agendas and being scientifically unsound”.