Da staminali adulte il primo organo completo

coltura_staminaliAvvenire 6 gennaio 2006

Un risultato strepitoso passato nei media in modo camuffato

Eugenia Roccella

Si sa, la vittoria è di tutti e la sconfitta di nessuno. D’altra parte, quando a vincere è una realistica speranza di nuove terapie , è giusto superare ogni divisione e dare spazio solo alle buone notizie. Da cellule staminali adulte, cioè non prelevate da embrioni, è stato ottenuto il primo organo completo, una ghiandola mammaria; la sperimentazione, che vede coinvolti Usa, Canada e Australia, ed è coordinata dall’australiana Jane Visvader, segna una tappa fondamentale nel cammino verso la sostituzione degli organi malati.

“Stiamo diventando sempre più bravi” commenta trionfante, sul Corriere della Sera, Edoardo Boncinelli. Lo studioso però non scrive, nel suo articolo, che si tratta di staminali adulte, ricavate dalla ghiandola mammaria di un topo, poi trapiantate su altri topi vivi. Cellule, dunque, che non hanno richiesto la produzione di embrioni-cavia, da immolare sull’altare della scienza.Una dimenticanza, forse.

Ai lettori, però, questo andrebbe detto, se non altro per chiarire quali sono le linee di ricerca che danno buoni risultati, quali vanno finanziate, incoraggiate, e quali invece si sono rivelate una pura montatura mediatica, o addirittura una truffa.L’ottimo risultato dell’équipe della Visvader, comunicato con sobria soddisfazione, fa ripensare, per contrasto, all’imbarazzante risalto che la stampa internazionale ha offerto agli esperimenti del sudcoreano Hwang Woo-Suk, campione della scienza senza regole e limiti.

Nei giorni passati si è scoperto che le cellule staminali embrionali, che il coreano sosteneva di aver clonato da pazienti affetti da gravi patologie degenerative, non sono mai esistite, e forse nessuno dei suoi esperimenti di clonazione è mai giunto a buon fine. Si è trattato di un gigantesco bluff, avallato da una comunità scientifica che ha preferito non guardare tanto a fondo, alimentando le aspettative dell’opinione pubblica e, quel che è peggio, le illusioni dei malati.

L’enfasi con cui sono state diffuse le incredibili frottole di Hwang Woo-Suk su riviste prestigiose come Science e Nature, merita almeno una riflessione, se non un accenno di autocritica. La Corea del Sud non è la terra promessa di una ricerca scientifica libera di spaziare, senza vincoli e senza leggi che ne ostacolino le magnifiche sorti progressive. E, sarà pure un caso, ma il risultato di oggi viene da un paese come l’Australia, in cui, nei confronti della “miracolosa” Ru 486, la pillola abortiva, si è adottato un atteggiamento di grande cautela, mettendo in guardia le donne dal credere all’aborto chimico come soluzione facile e indolore.

La vittoria è di tutti, ed è giusto che sia così. Non vogliamo, oggi, rinfacciare a tanti noti studiosi e medici italiani i toni allarmati con cui si è condotta la campagna referendaria sulla procreazione assistita, o l’imponenza dello schieramento per la libertà della scienza, che sarebbe stata mortificata da una legge che impediva la ricerca sulle staminali embrionali.

Non si può però, continuare a confondere le acque, a non dire le cose come stanno, pur di non confrontarsi con verità imbarazzanti. Non si può rubricare tutto, gli esperimenti falsi del ricercatore coreano e le magie presunte della Ru 486, sotto la voce scienza, senza distinguere e informare il pubblico con onestà e correttezza.

Oppure, come ha scritto recentemente Nicoletta Tiliacos sul Foglio, non chiamatela scienza.