Cristianesimo e religioni nel futuro dell’Europa

mons_ScolaSenato della Repubblica – Camera dei Deputati

Giornate di studio sull’avvenire dell’Europa:

l’identità dell’Europa e le sue radici

storia, culture, religioni

Venezia, 9 maggio 2002

Intervento di S. E. Mons. Angelo Scola, Patriarca di Venezia

TESTO NON RIVISTO DALL’AUTORE

1. Un dato di fatto

Nella storia europea le vicende religiose – con l’espressione intendo riferirmi a tutte quelle che hanno interessato il nostro Continente: dal politeismo del mondo greco-romano, alla rivelazione giudaico-cristiana, all’Islam e alle nuove realtà religiose – e le vicende socio-politiche si presentano, al di là delle necessarie distinzioni, così strettamente intrecciate da essere di fatto inseparabili.

Nessun osservatore attento potrebbe negare che, con modalità storicamente mutevoli a seconda dei popoli e delle nazioni, l’elemento religioso appartenga al DNA di quell’universo che oggi tutti chiamiamo Europa .

Anzi occorre riconoscere che fino alle soglie della modernità la dimensione religiosa ha costituito praticamente la radice del vincolo sociale. A questo proposito affermava acutamente Dostoevskij: «Nessun popolo fino a ora si è organizzato secondo i principi della scienza e della ragione; non c’è mai stato un simile esempio, se non per un attimo o per stoltezza (…) I popoli si formano e si muovono con un’altra forza che comanda e domina, ma la cui origine è sconosciuta e inesplicabile (…) Principio estetico come dicono i filosofi, principio morale, secondo la loro stessa identificazione. “La ricerca di Dio”, come la chiamo io più semplicemente» .

Così fu per i maggiori fenomeni di integrazione tra i popoli prima dell’epoca classica: non dipese proprio da una certa malleabilità del politeismo greco, efficacemente assecondata dal diritto romano, la convivenza tra popoli assai diversi all’interno dell’Impero ?

L’impeto della novità cristiana assunse poi, nel momento della crisi socio-politica legata al crollo dell’Impero, la funzione di principio di integrazione culturale e sociale per tutta l’Europa. Da una parte, in Occidente, la novità del cristianesimo fece da catalizzatore, favorendo l’unità tra i popoli cosiddetti barbari e le popolazioni romanizzate, creando l’originale sintesi culturale e politica del “Sacro romano impero”; dall’altra, in Oriente, il cristianesimo fu capace di acculturare le popolazioni slave all’interno di una nuova forma di civiltà che verrà definita bizantina e che plasmerà il tessuto sociale dell’Europa centro-orientale per almeno un millennio. Ancora il cristianesimo, nel rapporto dialettico con l’Islam, contribuì in modo essenziale a consolidare l’identità europea.

Le esplorazioni geografiche del secolo XV – in particolare dell’America – hanno aperto all’incontro-scontro con realtà e civiltà irriducibilmente “altre” rispetto ai canoni della coscienza culturale europea dell’epoca. Tuttavia, pur rimettendo in gioco il rapporto tra esperienza religiosa, concezione antropologica e dinamiche della vita sociale e politica, non hanno impedito al mondo europeo di mantenere un rapporto strutturale con la propria fisionomia religiosa originaria, favorendo l’approfondimento della stessa identità europea .

Tale rapporto permane come costitutivo anche nel cinquecento, quando la crescente affermazione delle monarchie nazionali e l’avvento del protestantesimo costrinse l’intera Europa a ridiscutere -spesso in modo drammatico e non senza contraddizioni – i termini del nesso tra esperienza religiosa e vita sociale. Si cercarono allora sintesi nuove, che sfociarono nel particolare principio giuridico-istituzionale del “cuius regio, eius et religio”.

L’Illuminismo nel settecento e le ideologie secolarizzate che, intrecciandosi con l’avvento degli stati nazionali, hanno pesantemente segnato la storia europea – e mondiale – dei secoli XIX e XX, intendevano definirsi come stadi delle società europee “al di là delle strette maglie del soprannaturale”. Tuttavia, a ben vedere, furono di fatto costretti a trasformarsi in “religioni secolari” per giustificare le loro pretese veritative e rivoluzionarie .

Dopo la fine dell’epoca delle ideologie – l’epoca, per rubare l’espressione a Lyotard, dei “grandi racconti” – il singolare peso dell’Islam e la nascita di nuove realtà religiose nell’Europa multiculturale di oggi sono sufficienti a smentire la previsione che nel mondo contemporaneo la religione sia destinata a scomparire sul piano della rilevanza sociale.

Allo stesso modo i drammatici conflitti scoppiati in ogni angolo del globo nei pochi anni intercorsi dalla caduta del muro di Berlino ad oggi bastano a svelare l’ingenuità dell’immagine di un XXIsecolo destinato semplicemente a realizzare la globalizzazione di una visione occidentale della vita – nei termini di una «Umanità con il goffo peso della maiuscola» -.

Ci si aspettava che il processo di secolarizzazione sfociasse nell’avvento del cosiddetto mondo mondano, invece assistiamo all’esplosione di un sacro addirittura selvaggio.

2. Cristianesimo e modernità

Per evitare che questa affermazione venga tacciata di irenismo acritico e pretestuoso bisogna prendere in seria considerazione la natura obiettivamente dialettica del rapporto tra religione e modernità.

Rapporto che, coerentemente con la realtà storica europea, ci spinge a parlare di dialettica tra cristianesimo e modernità.

In cosa consiste? Cominciamo da un polo della dialettica. Possiamo oggi serenamente affermare che la modernità ha imposto una tanto salutare quanto necessaria distinzione tra società civile e dimensione religiosa dell’esistenza, colpendo la tentazione che, non di rado, ha condotto ad una deriva ideologica dell’esperienza religiosa.

Questa involuzione nasce ultimamente da una concezione intellettualistica della verità rivelata, intesa come un “sistema di proposizioni concettuali da cui dedurre i singoli aspetti della realtà”. Si finisce così per negarne il carattere storico, imprevedibile e non catturabile.

Anche non poche vicende legate alla nascita e allo sviluppo del cristianesimo in Europa – non ci sono ragioni per non riconoscerlo – documentano questo cedimento ideologico.

D’altra parte però – ed è questo l’altro polo della dialettica – occorre mettere in evidenza che se la modernità europea ha potuto, in un certo senso, costringere l’esperienza religiosa ad una maggior autenticità, lo ha fatto proprio grazie alla natura del nucleo essenziale e permanentemente vitale del cristianesimo.

Nucleo che ci è stato consegnato – da Gerusalemme a Roma -dall’ininterrotta traditio cristiana che continua a rappresentare per questo una eredità decisiva per tutta l’Europa di oggi. “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” .

Dove si trova questo cuore del fatto cristiano? Nella decisione della Verità trascendente (il Deus Trinitas) di comunicarsi in forma gratuita, vivente e personale all’uomo. Con l’incarnazione il Dio Uno e Trino si propone, nella sua assolutezza, alla libertà sempre storicamente situata dell’uomo, senza temere di passare attraverso l’umano stesso.

Da questo dono è scaturita quella singolare visione del rapporto verità-libertà che ha segnato e segna in modo indelebile la civiltà europeo-occidentale, anzi ne costituisce l’emblema distintivo .

Nella persona e nella vicenda storica del Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per noi, si vede come la Verità, senza nulla perdere della sua assolutezza, abbia scelto la strada della libertà umana per rendersi presente nella storia. Più la Verità si comunica, più la libertà è chiamata in causa. Più la verità si propone, più la libertà è provocata. E in questa offerta la Verità giunge fino a farsi crocifiggere dalla libertà. La Sua vittoria nella Risurrezione è una vittoria gloriosa perché è pagata a caro prezzo.

In tal modo il principio della differenza nell’unità che vive nel mistero della Trinità si traspone, in forza dell’incarnazione, nella storia e diventa, secondo la legge dell’analogia, principio di comprensione e valorizzazione di ogni differenza.

Questa non viene solo tollerata, ma esaltata, perché trattenuta in unità da quella Verità che giunge fino all’estrema Thule dell’umana esperienza, impedendo che la differenza anche più radicale degeneri in fattore di dissoluzione più o meno violenta.

Non è forse entro l’abbraccio di un simile rapporto tra verità e libertà che, nonostante tutti gli errori e le contraddizioni, ha visto la luce la necessaria e benefica distinzione tra società civile e dimensione religiosa?

Proprio in questo quadro si è potuta sviluppare anche la pratica e la teoria della democrazia intesa quale libera ed ordinata convivenza di cittadini, corpi intermedi e popoli che danno vita ad una società civile adeguatamente servita dallo Stato.

Da questo punto di vista, senza l’oggettivo riferimento all’esperienza cristiana la modernità e il post-moderno non possono essere compresi, al di là di tutte le difficoltà storiche sorte, in Europa, nel rapporto tra le confessioni cristiane e gli stati nazionali.

Si potrebbe, addirittura, affermare che in radice i totalitarismi del XX secolo – quello nazista come quello dei comunismi realizzati – sono movimenti ideologici spiccatamente antimoderni proprio perché, avendo voluto tagliare i ponti con la tradizione cristiana e porsi in alternativa ad essa, hanno provocato un irrimediabile regresso nella concezione del rapporto verità-libertà, cifra costitutiva dell’Europa e di quelle civiltà (penso soprattutto alle Americhe) che si rifanno ultimamente all’orizzonte culturale europeo.

3. Cristianesimo e religioni nel futuro dell’Europa

Il principio, in radice cristiano , della differenza nell’unità può assicurare anche al futuro dell’Europa una democrazia sostanziale, capace non solo di reggere l’attuale sfida multiculturale e multireligiosa, ma addirittura di fare di questo nuovo volto del continente una risorsa di civiltà .

Questa convinzione non ha nulla di nostalgico e non implica assolutamente la restaurazione di modelli di “cristianità” irrimediabilmente tramontati. In proposito vorrei limitarmi a qualche considerazione non disgiunta dal mio compito di pastore della Chiesa.

Comincerò col dire che una simile visione della dimensione religiosa dell’Europa deve liberare il campo da due gravi rischi che, in passato, si sono purtroppo talora concretizzati. Mi riferisco, da una parte, alla tentazione dell’indifferentismo secolarista che riduce la fede a qualcosa di ultimamente superfluo e, dall’altra, a quella dell’affermazione integralista della stessa fede, inevitabilmente intollerante nei confronti di chi non la condivide.

La prima inizia, in forma quasi impercettibile, con l’invito rivolto agli uomini delle religioni a rimanere tranquilli e pacifici nella sfera del privato individuale , poi però inesorabilmente si riflette in scelte politiche ben precise.

L’ambito della società civile, naturalmente deputato a garantire ai singoli e alle comunità intermedie la possibilità di esprimere la creatività che sgorga dall’intreccio di verità e libertà – costitutivo dell’umana esperienza -, viene surrogato da una serie di apparati burocratico-istituzionali.

Il quadro sociale risulta così formalisticamente irrigidito da un’interminabile sequenza di leggi e leggine promulgate in nome della libertà, ma di fatto fondate sul falso principio del “vietato vietare”. È questa una sorta di diktat imposto dall’universalismo scientifico oggi imperante , che sembra aver individuato il nuovo dio universale nell’algoritmo .

I fautori dell’indifferentismo secolarizzato iniziano con il confondere società civile e Stato, per arrivare poi ad affermare che la aconfessionalità dello Stato esigerebbe l’assoluta irrilevanza sociale delle religioni.

Non ignoriamo certo, né vogliamo sottovalutare le circostanze storiche assai complesse che hanno prodotto i variegati modelli di rapporto chiesa/stato presenti in Europa (separatista, neutrale, cooperativo, concordatario, ecc.) sui quali la Convenzione avrà modo di lavorare. Siamo convinti, tuttavia, che nel nuovo modello giuridico europeo si debba far equilibrato spazio alla rilevanza sociale del fenomeno religioso .

Questa è la ragione per cui – come ha chiaramente indicato Giovani Paolo II – appare miope non fare riferimento, nel testo della Carta dei Diritti Fondamentali, all’eredità religiosa dell’Europa.

Una simile valutazione infatti, lungi dall’essere dettata da un nostalgico desiderio di ritorno all’Ancien Régime, è tutta protesa a cercare una nuova espressione giuridico-istituzionale di quel rapporto verità-libertà che garantisce la libertà di coscienza e quindi la convivenza civile

Irrinunciabile vertice di tale principio è, a mio avviso, la promozione della libertà religiosa. Tale diritto – per altro riconosciuto in tutte le Carte costituzionali degli stati europei e nella stessa Carta Europea – non può essere ridotto alla semplice libertà di culto, ma deve implicare la possibilità per le singole esperienze religiose di avere un ruolo costruttivo, anche se chiaramente delimitato, negli ambiti della vita civile. Si documenterà in tal modo che l’affermazione della verità esalta la libertà propria ed altrui.

Ciò rende urgente custodire la verità dell’esperienza religiosa contro quella che abbiamo chiamato la “tentazione dell’integralismo”, che sempre rivela la pretesa ideologica di strumentalizzare le religioni.

Agli uomini delle religioni è richiesta una particolare vigilanza e responsabilità, perché questo rischio è talora presente all’interno delle religioni stesse.

In questo contesto i seguaci delle religioni, fedeli alla genuina natura della propria esperienza, eviteranno, da una parte, di cedere alle lusinghe della sirena dell’indifferentismo secolarizzato e vigileranno, dall’altra, contro ogni deriva ideologico-utopistica. Promuoveranno, allora, la libertà religiosa in tutte le situazioni in cui operano, sia in Europa che fuori dai suoi confini.

A questo contributo specifico delle religioni mi sembra si possa riconoscere un ulteriore valore. Da più parti si sentono richiami ad evitare la costruzione di un’Europa ad un’unica dimensione, totalmente appiattita sull’economico.

Con maggiore o minore equilibrio si denuncia il rischio di ridurre l’Europa al solo ambito commerciale e finanziario . In questo contesto le esperienze religiose – proprio per la loro specifica capacità di metterea tema il rapporto verità-libertà – si rivelano come autentiche fucine di vita culturale e sociale, potente antidoto contro il pericolo, sempre in agguato, di una mercificazione dei popoli europei .

Tra l’altro, la vita delle Chiese e delle comunità religiose nelle diverse nazioni europee si presenta, ad un attento osservatore, come una strada ricca di frutti. Basterebbe passare in rassegna le numerose istituzioni religiose che lottano in prima linea contro l’emarginazione e il degrado.

Un’Europa che sappia custodire e promuovere una concezione ed un’esperienza umana come quella imperniata sul rapporto verità-libertà scaturita nel suo seno a partire dalla tradizione giudaico-cristiana, continuerà ad essere per le nazioni americane, imprescindibile interlocutore culturale.

Ma sarà anche capace di intrattenere un rapporto adeguato con le raffinate civiltà asiatiche. Deciderà inoltre di assumere i suoi gravi ed improcrastinabili doveri verso il mondo africano, ascoltando finalmente il grido che ci giunge soprattutto dalla ormai endemica miseria del Sud del Sahara.