Così Jessica è tornata ad essere Ruben

viadosTempi 22 ottobre 2009

Non c’è vita disgraziata che non si possa salvare in un abbraccio carico di verità.

di Aldo Trento

L’uomo non è, non sarà mai il frutto dei suoi antecedenti biologici, psicologici o delle circostanze, fossero anche le peggiori. Se fosse così non esisterebbe la libertà. L’uomo è relazione con l’infinito. “Io sono tu che mi fai”: questo è l’essere umano. La testimonianza di Ruben, un tempo Jessica, ci racconta come non ci sia perversione che incontrando questa certezza, grazie ad un abbraccio umano carico di questa verità, non possa trasformarsi in una umanità nuova piena di gusto per la vita.

padretrento@rieder.net.py

Da quando sono nato, ho vissuto con mia madre, i miei quattro fratelli e le mie due sorelle. Eravamo poveri però felici, “felici” fino a quando arrivò il mio patrigno. Avevo 8 anni quando questa persona si portò mia madre in Argentina e io e i miei fratelli rimanemmo soli. Per un periodo vissi con un mio fratello che mi mandò via da casa sua.

Andai a vivere con una delle mie sorelle che mi maltrattava molto; e fu così che iniziai ad andare di casa in casa, lavorando per poter studiare. Quando stavo per compiere 9 anni fui violentato da un signore. Fu la cosa peggiore che mi potesse capitare, ancora oggi non lo posso dimenticare. Fin da ragazzo ho conosciuto la sofferenza, la fame, la sete, il freddo, l’emarginazione. Ricordo che andavo in chiesa perché volevo fare la Prima Comunione – che alla fine non feci – e durante le celebrazioni perché mi passasse la fame gridavo forte: «Ti loderò!».

Quando avevo 12 anni, quasi 13, andai ad Asunción, stanco dei maltrattamenti della gente che si approfittava di me. Fu allora che conobbi alcuni travestiti. Loro, approfittando della mia innocenza, mi diedero l’idea di vestirmi da donna per guadagnarmi da vivere. Mi trasformai e iniziai a lavorare con loro. Anche da travestito soffrii molto, non solo sentivo il maltrattamento da parte della mia famiglia per essere quello che ero, ma anche degli sconosciuti che mi umiliavano, mi urlavano contro e mi discriminavano. Per questo decisi di vivere chiuso in casa durante il giorno, uscendo solo di notte per lavorare.

Ricordo che avevo un grande specchio dove normalmente, dopo essermi lavato, guardavo il mio corpo di donna. Mentre mi guardavo, quasi di schianto mi dicevo: «Mio Dio, che cos’ho fatto? Io non sono questo!». Però immediatamente mi spuntava un frase che mi ripetevo come una giaculatoria, senza sapere come e chi me l’avesse insegnata: «No, io sono il frutto proibito, venuto al mondo per portare gli uomini alla perdizione».

Sapevo che quello che facevo non era un bene, però c’era sempre qualcosa o qualcuno dentro di me che mi diceva ancora una volta “no” al bene. Adoravo anche un’immagine, una donna nuda con corna e coda, avvolta dal fuoco, che chiamavano la Bomba Gira, Maria Parrilla, protettrice delle prostitute, che mi compariva anche in sogno. Una volta prestai questa immagine a un’amica che però me la restituì perché l’aveva sognata mentre le diceva: «Restituiscimi a lei perché lei è mia, mi appartiene».

Rinchiuso in ospedale

Il tempo passò, stavo bene economicamente, avevo un’attività commerciale, i miei familiari si riavvicinarono a me. Io pensavo che mi volessero davvero bene, mi facevo in quattro per aiutarli. Fino a quando non scoprirono che ero affetto da Hiv. Furono i primi ad abbandonarmi.

Quando mi ricoverarono per due mesi, soffrii di nuovo molte umiliazioni, mi discriminavano per ciò che ero. Le infermiere non si preoccupavano di me, mi lasciavano chiuso in una stanza con un pannolone, e io dovevo stracciare ciò che portavo addosso per farne un pannolone. Le chiamavo e chiedevo aiuto, però ridevano e burlandosi di me dicevano: «Il grido di Tarzan». A tutti i pazienti raccontavano che c’era un travestito affetto da Hiv. Non lo potrò mai dimenticare. Passai solo anche il giorno di Natale, senza alcuna visita.

Soffrii molto il caldo, la fame, la sete, fino a quando non mi disidratai completamente. Arrivai quasi al punto di morire, per tre giorni rimasi svenuto e mentre ero in questo stato mi successe una cosa che vorrei raccontare. Sentii che mi trovavo in un luogo oscuro, tutto era oscurità, sentivo che non stavo nel mio corpo, nel mio subconscio mi dicevo che ero morto. Fu allora che mi ricordai di Dio e volli pregare, però non mi ricordavo nessuna preghiera.

Ci provai, e quando stavo dicendo «Padre Nostro che sei nei cieli»… vidi una piccola luce davanti a me che si faceva sempre più grande mano a mano che mi ricordavo di questa preghiera, continuava a crescere finché non arrivò a una grandezza di 20 centimetri circa e smise di crescere. Allora cominciai a piangere e a chiedere a Dio di non lasciarmi morire in un luogo così brutto, e promisi di cambiare.

Dopo aver pregato tanto durante questi tre giorni, mi apparve improvvisamente un Pastore, un uomo che io non conoscevo venne a visitarmi, mi chiamò per nome e mi disse: «Ruben, ce ne andiamo». «Dove?», gli chiesi. Mi rispose: «C’è una clinica a San Rafael». Un amico che era stato ricoverato qui mi aveva parlato di quanto era bello questo posto. Mi emozionai tanto e senza aver dubbi risposi: «Sì». «Preparati che vado a fare i documenti» disse. «Bene». E me ne andai.

Un posto pulito

Quando arrivai qui, rimasi stupito al vedere un luogo così bello, tutto bianco, e dissi: «Grazie Signore, non credevo di meritare tanto, un luogo così bello, così pulito». Le infermiere iniziarono a trattarmi molto bene, ricevetti tanto affetto da parte di tutti quelli che lavoravano qui e grazie a questo iniziai a rimettermi. Adesso cammino già poco a poco.

Conobbi suor Sonia e grazie a padre Aldo e a lei mi rimisi rapidamente, tanto che loro stessi si stupirono della mia guarigione. E ciò grazie all’attenzione che mi davano e all’amore che mi dimostravano, che non avevo mai ricevuto prima da parte di sconosciuti. Sono diventato amico di molti qui, di persone che mi amano, come le volontarie che mi insegnano a pregare e mi parlano della vita dei santi. Sono tranquillo, sento tanta pace!

Prima di venire qui non potevo dormire, avevo sempre incubi, cose brutte, perché la vita che conducevo non era per niente bella. Adesso sono felice, sono ingrassato e ho tre angeli: suor Sonia, il mio angelo bianco, e due volontarie. Padre Aldo è il mio “Padre Santo”, come lo chiamano le volontarie, che mi dicono sempre: «Tutto quello che ti sto insegnando l’ho imparato da lui». In 34 anni di vita è l’unico padre che ho sentito che ama tanto gli ammalati. Tutte le notti fa il suo giro per vedere se stiamo bene e chiede alle infermiere che non ci manchi nulla.

«Sei un’altra persona»

Prima di venire qui sono stato ricoverato in tre ospedali, però non ho mai ricevuto un’alimentazione così buona come qui, con colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena. E se vogliamo possiamo ripetere, chiediamo e ce ne danno di nuovo. Grazie a padre Aldo, che fa di tutto perché possiamo essere a nostro agio, noi e anche i familiari degli ammalati.

Ho fatto qui la mia Prima Comunione e la Cresima. Sono stati giorni emozionanti, i migliori che avrei potuto passare nella mia vita. Prima io non credevo in Dio e pensavo: «Se esisti, perché c’è tanta povertà, perché mi hai tolto tutto, perché io soffro tanto?». Dio mi ha dimostrato che mi sbagliavo, che non mi ha abbandonato mai.

Nessuno riesce a credere al mio cambiamento, tutti i miei amici mi dicono: «Sei un’altra persona», «Sei ri-cambiato Ruben», «Spero che preghi molto per noi perché ne abbiamo bisogno». Ho regalato un Rosario a una mia amica e si è sorpresa quando le ho detto: «Perché Dio ti benedica e ti protegga», prima non parlavo così con nessuno.

Ciò che faccio di più è pregare. Prego così tanto che addirittura una delle mie sorelle è cambiata nel rapporto con me, mi chiama tutti i giorni per sapere come sto. E anche un mio amico ha cambiato vita ed è venuto a vedermi. Per me tutto è Gesù e san Giuseppe, visto che il mio compleanno è il giorno di questo sant’uomo. Prego tutte le notti per padre Aldo, suor Sonia e tutti i pazienti.

Padre: mi manchi molto, desideriamo che torni presto. Che Dio abbia cura di te e ti protegga.

Ruben