Cina, traffici di morte

Cina_trapiantiLaboratorio 99, marzo 2008

In Cina e nell’estremo Oriente  la cultura tradizionale rende estremamente difficile reperire organi umani per i trapianti, perciò la “carità comunista” ha risolto il problema avviando un lucroso commercio di corpi, quello dei condannati a morte.

di Andrea Bartelloni

Secondo la cultura tradizionale cinese, influenzata dal pensiero di Confucio e Zeng Zi, non siamo proprietari del nostro corpo che deve essere restituito agli antenati integro e per alcuni l’anima rimane nel corpo anche dopo che questo ha cessato di vivere. Questo pensiero influenza tutta la cultura della donazione di organi non solo in Cina, ma anche in Giappone e a Singapore e sta alla base delle difficoltà nel reperimento di organi per trapianti.<

La “carità comunista”, come titola in inglese il volume Cina, traffici di morte (Guerini e associati, 2008) che la  Laogai research foundation (http://www.laogai.org/) ha prodotto, ha risolto il problema culturale utilizzando materiale umano che è presente in abbondanza in Cina: giovani, sani e robusti condannati a morte che danno il loro “consenso informato” all’espianto dei loro organi.

Spesso le famiglie restano addirittura all’oscuro di tutto e vengono depistate sul luogo della cremazione dei loro cari. Personale carcerario corrotto, medici e paramedici compiacenti prestano la loro professionalità per quello che sempre più appare un vero e proprio commercio di organi.

A seconda delle necessità del mercato le esecuzioni avvengono in maniera finalizzata al tipo di espianto: per i reni non occorrono particolari precauzioni, mentre invece per il cuore o altri organi, occorre sia una preparazione pre-esecuzione del donatore, che un’esecuzione attenta a non pregiudicare l’espianto. In alcuni casi gli espianti-esecuzioni avvengono i ambiente ospedaliero; in questi casi il ricevente deve essere una personalità o qualcuno che non bada a spese!

Questo traffico è imponente se si pensa che ogni anno in Cina si contano dalle 8000 alle 10000 condanne a morte, come ricorda il dissidente Harry Wu, sopravvissuto per 19 anni in un laogai (l’equivalente cinese del GULag sovietico)  che ha raccontato la sua esperienza nel volume Controrivoluzionario. I miei anni nei gulag cinesi, San Paolo, 2008.

Nel 2006 Amnesty International ha denunciato questo traffico e grazie alle pressioni della Laogai research foundation Italia della quale è presidente Toni Brandi, anche il parlamento italiano, nel 2007, si è pronunciato contro il sistema carcerario e repressivo cinese. Amnesty ha anche richiesto la cessazione della raccolta di organi dai detenuti.

Drammatiche sono le testimonianze di medici e pazienti residenti fuori dalla Cina raccolte dallo stesso Harry Wu e riportate nel volume della Laogai foundation che testimoniano di questi traffici legati alla grande disponibilità di organi in questo che è un vero e proprio mercato. Questi trafficanti si vantano della grande disponibilità e scelta dovuta al gran numero di criminali in attesa di sentenza, sentenze legate a confessioni spesso estorte con la tortura.

Pensavamo che l’abisso degli orrori fosse già stato descritti, invece ciò che ieri non era immaginabile oggi, grazie ai progressi della scienza e della medicina, è possibile; un buon fine, la salute di un malato, non giustificherà mai il male commesso.

Che fare? «Perché il male trionfi è sufficiente che gli uomini buoni non facciano nulla» questo ci ricordava già nel XVIII secolo, Edmund Burke; lo stesso concetto fu espresso anche da un sopravvissuto all’orrore comunista, Aleksandr Sozenicyn, con sul «vivere senza menzogna».

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Laogai research foundation Cina. Traffici di morte Il commercio degli organi dei condannati a morte. A cura di Maria Vittoria Cattanìa e Toni Brandi. Prefazione di Harry Wu – Guerini e Associati, 2008.

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