Ciò che distingue l’Europa dalle altre civiltà

Nota ripresa dalla rivista dei padri dehoniani di Bologna, “Il Regno“, n. 16, 15 settembre 2003.

Silvio Ferrari

Sono convinto che l’identità dell’Europa – e quindi la sua specificità rispetto ad altre civiltà – stia nella laicità della politica e che tale laicità affondi le sue radici proprio nel cristianesimo.

Cerco di spiegarmi meglio. In prima approssimazione si può dire che la laicità consiste nel rifiuto di identificare il sistema politico con una specifica concezione del mondo: il rifiuto cioè di una visione totalizzante della società, in cui le istituzioni pubbliche agiscano come braccio di una religione o di una ideologia. Questo rifiuto è in larga misura una acquisizione dovuta al cristianesimo, che ha introdotto nella storia – con ben maggiore nettezza dell’ebraismo e soprattutto dell’islam – la distinzione tra religione e politica.

Da tale distinzione discende che la religione può ispirare le scelte politiche ma non ne costituisce la giustificazione diretta ed immediata: anche le scelte più delicate (si pensi all’aborto o all’eutanasia) non possono essere motivate sul terreno politico semplicemente con l’affermazione “Dio lo vuole”.

È pienamente legittimo ritenere che aborto ed eutanasia violino la legge divina e quindi impegnarsi per evitarne la legalizzazione: ma nell’ambito della politica questo argomento, da solo, non può bastare. È necessario provare il buon fondamento delle proprie convinzioni e delle proprie scelte, adducendo argomenti che ne dimostrino la ragionevolezza. In questa prospettiva la laicità si configura come lo spazio di una “democrazia argomentativa” dove si realizza il confronto tra le diverse scelte politiche.

Già da sola questa idea di laicità della politica basterebbe a identificare l’Europa rispetto ad altri continenti, civiltà, culture. Ma credo sia possibile fare un altro passo avanti.Il confronto tra le diverse scelte politiche in cui si sostanzia la laicità dello Stato è fondato su un presupposto: l’esistenza di principi di validità universale che possono essere riconosciuti e condivisi da tutti gli uomini “ragionevoli”, capaci cioè di fare buon uso della propria ragione.

Senza la convinzione che esista un bene e un male, un giusto e un ingiusto, questo confronto sarebbe una inutile perdita di tempo. Una società politica laica non è necessariamente relativistica: essa può ammettere che esistano valori universali capaci di accomunare persone di differente appartenenza culturale, religiosa, etnica e che queste stesse persone siano in grado di identificare tali valori attraverso una ricerca e un confronto condotto secondo le regole della democrazia argomentativa di cui si è già fatto cenno.

Anche questa è un’idea che il cristianesimo ha da tempo fatto propria: l’esistenza del diritto naturale – già affermata dal pensiero grecoromano – e la capacità che gli uomini possiedono di conoscerlo sta al centro della concezione tomistica della società.

A partire da Grozio e Pufendorf questa idea subisce un processo di secolarizzazione, ma non viene distrutta: in altre parole, cade il riferimento a Dio come fondamento del diritto naturale, ma non viene meno l’idea che un diritto naturale esista e sia razionalmente definibile. La concezione, oggi tanto popolare, dei diritti fondamentali della persona umana poggia almeno implicitamente su questo presupposto.

Di nuovo, questo mi pare un elemento che contraddistingue l’Occidente e, in particolare, l’Europa. Non è un caso che la concezione dei diritti fondamentali della persona umana nasca in Occidente e sia accettata con molte riserve in altre parti del mondo: l’idea di diritto naturale – l’idea cioè che esista un diritto che accomuna tutti gli esseri umani ancor prima del diritto che scaturisce dalla loro appartenenza religiosa, politica, nazionale – è molto debole nel pensiero musulmano ed è oggetto di critiche significative nella tradizione culturale ebraica. In assenza di un diritto naturale, il diritto di origine religiosa diviene immediatamente il punto di riferimento per la costruzione anche della società politica, nella quale chi non condivide la religione dominante resta frequentemente emarginato.

Il disegno di uno stato laico dove tutti – credenti, non credenti, fedeli di diverse religioni – possono convivere nasce in Europa perchè l’eredità culturale grecoromana e cristiana ci ha consegnato l’idea di diritto naturale: ciò permette di identificare una piattaforma comune di diritti e di doveri a partire dalla quale persone di diverse appartenenze, tradizioni e convinzioni possono lavorare insieme in pace ed uguaglianza.

Questi, in sintesi, sono i motivi per cui ritengo che la laicità dello stato e della politica stia al cuore dell’identità europea.

Da ciò che ho scritto risulta inoltre chiaro quanto il cristianesimo abbia contribuito allo sviluppo di questa idea di laicità. Il fatto che essa si sia affermata in conseguenza delle guerre di religione e sia poi diventata la bandiera dello stato liberale ottocentesco – il fatto cioè che la laicità si sia imposta in Europa al di fuori delle Chiese e nonostante la loro opposizione – non toglie che affondi le sue radici nella distinzione tra religione e politica propria del cristianesimo. È per questa ragione che, durante il secolo scorso, la laicità della politica ha potuto essere recuperata come valore propriamente cristiano dalle Chiese protestanti, da quella cattolica e, più recentemente, anche da quella ortodossa.

Collocato in questo contesto, il preambolo della nuova costituzione europea appare un po’ deludente. Esso contiene una serie di accenni ai diritti, alle libertà, alla democrazia ma omette qualsiasi riferimento alla laicità, cioè all’elemento che contraddistingue l’Europa nel confronto con altre civiltà.Anche la proposta di inserire nella costituzione europea un riferimento alle radici cristiane dell’Europa non mi sembra pienamente adeguata.

Da un lato essa si presta a essere interpretata in chiave “archeologica”, come un riconoscimento “alla memoria”, un omaggio reso ad un passato poco influente sulle questioni che oggi contano davvero. Dall’altro non dà conto del perchè menzionare la tradizione cristiana in un’Europa che va divenendo sempre più secolarizzata e multireligiosa.

Un generico richiamo delle radici cristiane dell’Europa non evidenzierebbe abbastanza il nesso che lega laicità e cristianesimo e quindi si collocherebbe in posizione un po’ eccentrica rispetto a quello che, soprattutto in un testo giuridico e politico come la costituzione, è il centro del problema: la questione dei diritti e delle libertà dei cittadini, che nella laicità dello stato trova la sua garanzia fondamentale. […]

Ci vuole indubbiamente coraggio per riconoscere le radici cristiane della laicità della politica e, dall’altra parte, il valore della laicità per la costruzione dell’Europa unita. Per troppo tempo laicità e cristianesimo sono stati presentati e percepiti in termini di irriducibile opposizione. E questo spiega perchè nè la laicità nè il cristianesimo siano mai menzionate nel progetto della costituzione europea. In tal modo però si rischia di rimanere prigionieri di logiche del passato, mentre il presente ci insegna che, ormai, laicità e cristianesimo stanno dalla stessa parte della barricata. I loro nemici – per esempio i radicalismi politico-religiosi – sono sovente gli stessi.

Oggi più che mai è chiaro che la contrapposizione tra cristianesimo e laicità è falsa. Non soltanto sul piano filosofico ma anche sul piano storico. […] Per quanto profondamente secolarizzata, l’Europa contemporanea resta fondata su principi e valori di origine religiosa e più precisamente cristiana: è questo il senso dell’affermazione di Carl Schmitt secondo cui “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati”. […]

Due osservazioni conclusive. Una buona costituzione deve sforzarsi di valorizzare tutti gli apporti che hanno contribuito a formare il patrimonio di civiltà su cui essa è fondata. A tal fine molti hanno suggerito di menzionare nel preambolo della futura costituzione l’eredità “ebraico-cristiana” dell’Europa. […] In molti campi vi può essere continuità tra ebraismo e cristianesimo: non però in tutti. Il diritto ebraico, per esempio, è molto più vicino al diritto islamico che al diritto canonico o a quelle delle altre Chiese cristiane, che hanno recepito molto più profondamente l’influsso del diritto romano. Mi domando se queste differenze non sarebbero meglio espresse dalla menzione della “eredità ebraica e cristiana” dell’Europa.

Il riferimento all’ebraismo e al cristianesimo lascerebbe fuori, tra le grandi religioni del bacino mediterraneo, soltanto l’islam. A prescindere dall’inopportunità politica di questa esclusione, essa mi pare fondamentalmente ingiusta: attorno alla fine del primo millennio l’Europa ha maturato un debito verso l’islam che i successivi secoli di conflitto non hanno potuto cancellare.

La Spagna, l’Italia meridionale, i Balcani conservano ancora splendide tracce della civiltà musulmana e gli studi di Bernard Lewis hanno mostrato quanto esteso e profondo sia stato il contributo che essa ha dato alla scienza ed alla cultura europea. Senza volere in alcun modo equiparare il ruolo che cristianesimo ed islam hanno avuto nella storia dell’Europa, passare completamente sotto silenzio la tradizione musulmana mi sembra miope e poco generoso.

Per tutte queste ragioni, se si ritiene opportuno modificare il secondo comma del preambolo della futura costituzione europea (che attualmente dice: “Ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa…”), si potrebbe pensare a una formula del seguente tenore: “Ispirandosi al patrimonio costituito dalla civiltà greca e romana, dalla tradizione religiosa ebraica e cristiana, in feconda dialettica con quella musulmana, dalle correnti filosofiche del secolo dei lumi…”.

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Tra le molte pubblicazioni di Silvio Ferrari, l’ultima importante è “Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo, islam a confronto”, il Mulino, Bologna, 2002, pagine 300, euro 18,00.Inoltre, presso l’Università di Milano Ferrari dirige un centro di ricerca sui rapporti tra le religioni e gli stati: Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

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(s.m.) Silvio Ferrari tiene a riconoscerlo: “Devo a Pietro De Marco l’idea di integrare il preambolo della nuova costituzione europea con un richiamo alla civiltà ebraica e cristiana ‘in fertile rapporto con quella musulmana’”. In effetti De Marco avanzò questa sua proposta di integrazione del preambolo già il 4 giugno scorso, proprio su www.chiesa.espressonline.it. E qui De Marco torna sul tema con una nuova nota, che a sua volta prende spunto dal testo di Ferrari sopra riprodotto:

Europa, laicità, cristianesimo

di Pietro De Marco

In una bella lezione tenuta lo scorso agosto alla “Summer School on Religions in Europe” di San Gimignano, Silvio Ferrari ha ripreso il nodo della menzione del cristianesimo nella costituzione europea con un argomento importante e una proposta di integrazione testuale.

L’argomento dà rilievo alle radici cristiane della laicità della politica: evidenza tanto incontrovertibile quanto sorprendentemente rimasta ai margini della querelle. E la proposta di emendamento del preambolo della costituzione europea è conseguente. Ferrari vi esplicita la “complexio” definita dalla civiltà classica e dalle tradizioni ebraica e cristiana, in dialettica con l’islamica, non meno che dal secolo dei lumi e dalla moderna laicità dello stato.

Non entro nel merito di quella che mi appare comunque, nell’orientamento dei costituenti, una sopravvalutazione delle culture illuministiche rispetto ai creativi secoli che hanno predisposto tutti gli strumenti essenziali all’elaborazione settecentesca e al grande secolo che si è opposto ai limiti dell’Illuminismo. Nell’emendamento, Ferrari mi fa anche l’onore di accogliere la mia proposta di indicare come essenziale all’Europa il “fecondo confronto” con la civiltà islamica.

Ambedue intendiamo, credo, opporre questa menzione integrata delle tre civiltà costitutive dell’Occidente all’obiezione, di disarmante banalità, per cui la menzione del cristianesimo sarebbe incompatibile con le forme attuali della presenza islamica oltre e dentro i confini dell’Europa.

L’implicazione tra laicità e cristianesimo resta, comunque, il punto centrale. Ferrari ha colto, nella cultura politico-giuridica dell’Europa comunitaria, l’oblio, se non la cancellazione deliberata, di questo dato. E reagisce a tale oblio con un promemoria pacato ma decisivo.

Per parte mia, consentendo totalmente, voglio sottolineare come la questione della laicità fondata sulla teologia politica cristiana vada oltre la statica separazione tra potestà religiose e civili e tra le rispettive “cittadinanze”. Nella sua profonda riflessione di mezzo secolo fa, nel saggio “La nuova scienza politica”, Eric Voegelin affermava: “Così termina, nel cristianesimo ortodosso [cioè agostiniano, e non ereticale-millenaristico], la teologia politica [romana di Varrone e Cicerone]. Il destino spirituale dell’uomo nel senso cristiano non può essere rappresentato sulla terra dall’organizzazione di potere di una società politica; esso può essere rappresentato solo dalla Chiesa. La sfera del potere è sottoposta a una de-divinizzazione radicale: è diventata temporale. [In realtà] sono i problemi moderni della rappresentanza ad essere connessi con il processo di ri-divinizzazione della società”.

Quest’ultimo processo è il portato, per Voegelin, degli sviluppi eretici, poi secolarizzati, della escatologia trinitaria di Gioacchino da Fiore, ovvero dell’attesa del finale Regno terreno. La fondazione cristiana dottrinalmente ortodossa della laicità comprende dunque – e principalmente – la protezione degli ordinamenti politici dedivinizzati dal rischio costante della loro deriva assolutistica, dall’affermazione della potestà politica unica e salvifica, dalla politica come sacramento. Poiché questo è il vero enjeu della laicità.

Paolo Prodi terminava il suo grande libro del 1992 sul “Sacramento del potere” con una esortazione: “Ai nuovi popoli dobbiamo saper trasmettere e da loro dobbiamo esigere non soltanto il rispetto delle tecniche e dei meccanismi del sistema democratico, ma in primo luogo lo spirito del dualismo [teologico-politico cristiano]. Se è vero che la desacralizzazione della politica è frutto del cristianesimo occidentale, il principio di una doppia appartenenza, di un doppio ordinamento, è il nostro dramma ma può essere la nostra [e l’altrui, aggiungerei] salvezza”.

Cosa implica la laicità come originaria e permanente dedivinizzazione della politica? Implica che la modernità politica è costitutivamente cristiana e, al tempo stesso, che le cittadinanze religiose sono necessarie per garantire che la laicità della cittadinanza politica non si corrompa: da cui il riconoscimento del cristianesimo, anzitutto, e delle altre religioni fondanti. Nella multiforme summa costituzionale europea che si viene definendo questo “datum” va posto in assoluta evidenza.

Non pensi la cultura politica, senza spessore storico, delle élites comunitarie e delle subculture cristiane partecipi della loro stessa opacità di poter tacere una struttura irrinunciabile. Non sarebbe la prima volta che la storia punisce queste forme di ignoranza di sé.