L’Africa? Ricolonizziamola. Botta e risposta tra due missionari

Pietro_Gheddo

padre Gheddo

Pubblicato su www.espressonline.it

Padre Gheddo contesta il terzomondista Elia. Ma non solo. Critica anche la Cei. In allegato i testi integrali della disputa

di Sandro Magister

Walter Veltroni ha fatto un viaggio in Africa e ne ha ricavato un libretto per dire che “forse Dio è malato”. Molto, molto più interessante è quanto dicono dell’Africa due missionari di primissimo piano e di grande autorevolezza: Meo Elia, saveriano, e Piero Gheddo, del Pontificio istituto missioni estere.

I due non sono affatto d’accordo. Tutt’altro. Ma il loro botta e risposta è quanto di più acuminato si può leggere sulla questione africana. Teatro della disputa è ‘La Rivista del Clero Italiano’, mensile di qualità edito dall’Università Cattolica di Milano. La botta è di Elia, in un articolo dell’ottobre 2000. La risposta è di Gheddo , sul numero di febbraio 2001.

La botta. Elia, dei due missionari, è il ‘terzomondista’ per eccellenza. Ma il suo intervento ha il pregio di essere libero di retorica. La tesi è che le tragedie dell’Africa hanno quasi sempre come causa prossima e remota forze extra africane: “potenze e gruppi economici che proprio su queste sofferenze e morti costruiscono le proprie fortune”. Mercanti d’armi, gruppi petroliferi, interessi minerari, compagnie militari private… La descrizione dei fatti che Elia dà è puntuale e solidamente argomentata.

Elia contesta energicamente gli “afropessimisti”, i teorizzatori di una “presunta immaturità dell’Africa”. E a questi associa le voci cattoliche che dicono “Diamo l’Africa ai missionari” (così ha titolato ‘Avvenire’, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, una pagina dedicate alle posizioni iperliberiste del professor Carlo Pelanda) o addirittura invocano “una nuova colonizzazione”. I sostenitori di quest’ultima soluzione sarebbero, a detta del settimale ‘Tempi’, vicino a Comunione e liberazione, citato da Elia, “in Italia Sergio Romano e Piero Gheddo, negli Usa William Pfaff e in Africa il kenyano Ali Mazrui”.

La risposta. Toccato sul vivo, Piero Gheddo ha replicato sulla stessa rivista con un articolo ancor più interessante. Gheddo è un’autorità in materia. Ha girato il mondo da una vita, conosce le situazioni per esperienza diretta come pochi, si è sempre distinto per l’autonomia dei giudizi. Il suo, dice, non è “afropessimismo”, ma “realismo”.

La tragedia dell’Africa d’oggi “non è di essere sfruttata, ma marginalizzata, lasciata andare alla deriva”. Senza che sia capace di modernizzarsi facendo leva sulle proprie tradizioni culturali, spesso antitetiche allo sviluppo. “Il mito terzomondista di un’Africa felice prima del colonialismo è radicalmente contro la realtà dei fatti”.

“L’unica via per lo sviluppo dell’Africa è l’educazione”, sostiene Gheddo. E critica le campagne per l’Africa lanciate negli ultimi anni da istituti e riviste missionarie, centri missionari diocesani, organismi di volontariato cattolico. “Si parla solo e sempre di problemi economici, rapporti commerciali, prezzi delle materie prime, debito estero, multinazionali, vendita di armi all’Africa”. Mentre “la missione della Chiesa è del tutto ignorata”.

Perché “anche l’Africa ha bisogno di Cristo! I 7.000 missionari e missionarie italiani in Africa si limitano a scavare pozzi e curare i lebbrosi? No, annunziano con la parola e la testimonianza di vita che la salvezza viene da Cristo, il Messia atteso anche dagli africani. A forza di tacere quello in cui crediamo, presentiamo la missione come una specie di Croce Rossa di pronto intervento dove ci sono piaghe da sanare, profughi da assistere, affamati da nutrire”.

Gheddo non esita a criticare anche la Cei: “Nella campagna ecclesiale per il debito estero, la Cei ha trattato gli aspetti finanziari del debito: non ha spiegato che, anche perdonato tutto il debito, se non cambia nulla nei paesi interessati, fra cinque anni saranno indebitati più di oggi; non ha detto che il contributo maggiore della Chiesa italiana allo sviluppo dell’Africa sono i 7.000 missionari, missionarie e volontari cattolici che donano la vita per portare agli africani il messaggio di Gesù. Questa verità si dà per sottintesa, ma a forza di non ricordarla mai, finisce che nemmeno più ce ne ricordiamo.

La Campagna chiedeva soldi, ma perché non si chiedono giovani e ragazze cattolici che diano la vita come missionari di Cristo per gli africani?”.

“L’Africa ha bisogno di una rivoluzione culturale”, incalza Gheddo. “Le culture africane, pur apprezzabili per i loro valori, non portano in sé i germi dello sviluppo, hanno troppi elementi incompatibili con i diritti dell’uomo e della donna”. Insomma, la prima cosa che la Chiesa deve offrire ai popoli africani è l’annuncio del Vangelo: “Il Vangelo è una critica radicale all’antropologia africana: i risultati che si ottengono nello sviluppo di un popolo sono dovuti proprio alla purificazione evangelica delle culture tradizionali.

Il dramma è che i missionari sono applauditi, ma poco aiutati e soprattutto non imitati nel loro approccio fraterno e disinteressato agli africani. Se, accanto ai missionari per vocazione, ci fossero non 300 volontari laici come oggi, ma 50.000 giovani di grandi ideali e disposti a sacrificarsi per qualche anno, naturalmente sostenuti dal proprio paese, forse l’Africa non sarebbe così lontana da noi”.