E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo?

Axelle Kabou

Axelle Kabou

Tratto da: “L’info prend forme“, del 23/07/2003

http://grioo.com/info580.html

(Et si l’Afrique refusait le développement?)

Ritorno su un dibattito per l´Africa iniziato già 13 anni fa.

di Paul Yange

Axelle Kabou: «Il sottosviluppo dell’Africa non è dovuto ad una scarsità di capitali. Sarebbe ingenuo crederlo. Per comprendere perché questo continente non ha cessato di regredire, malgrado le sue considerevoli ricchezze, occorre innanzi tutto chiedersi come ciò funzioni al livello micro-economico più elementare: nella testa degli africani» […] Axelle Kabou va contro a tutto ciò che si dice generalmente in merito allo sviluppo dell’Africa e mette il dito sulla piaga. Punta il dito sulle responsabilità africane e si chiede anche se “la volontà di sviluppo degli africani non sia un mito”. Porta come esempio il progetto panafricano di Nkrumah, silurato dagli stessi dirigenti africani, preoccupati di giocare le loro carte personali e di conservare i loro “territori”.

Kabou cita Nkrumah: «Noi siamo – dice – entrati in un mondo in cui la scienza ha trasceso i limiti del mondo materiale, in cui la tecnologia ha invaso i silenzi stessi della natura. Il tempo e lo spazio sono stati ridotti al rango di astrazioni senza importanza. Macchine giganti tracciano strade, aprono le foreste all´agricoltura, scavano sbarramenti, costruiscono aerodromi. Il mondo non avanza più al ritmo dei cammelli o degli asini. Non possiamo più permetterci di approcciare i nostri problemi di sviluppo, di bisogno di sicurezza, al ritmo lento dei cammelli e degli asini!» […]

A parte il dibattito sulla superiorità/inferiorità del Bianco sul Nero, che c´è di nuovo?

«Tutto il mondo ha riconosciuto l´inanità delle tesi che facevano degli africani dei primitivi, almeno dagli anni 30. Ci si può dunque chiedere se è vero che l´africano alfabetizzato nel 1990 continui a basare reazioni allo sviluppo su dei concetti razzisti che datano dalla seconda metà del XIX secolo, tanto la cosa parrebbe inverosimile. Lungi dall’essere un falso dibattito, il problema della superiorità ontologica del Bianco sul Nero è rimasto di incomparabile attualità in Africa Nera»

Il rifiuto dello sviluppo, presente nelle teste africane, si manifesta ancora in quella che lei chiama “ideologia parassitaria”. Porta come esempio: «Io sono Nero. Il Nero non ha inventato il computer. Il computer dunque è anti-africano». O ancora: «La tecnica degrada la vita familiare ed i rapporti umani. Gli Occidentali stessi lo dicono. Dunque l´ Africa deve rigettare la tecnica».

Secondo Axelle Kabou, gli africani alfabetizzati sono stati formati “per percepire la tradizione e la modernità come valori conflittuali”. «Applicata all’Africa di oggi, la nozione di alienazione culturale è un mito che ha la funzione di instaurare un clima di resistenza alla penetrazione di idee nuove nelle mentalità».

E ciò che più conta, per Axelle Kabou, gli Africani non sono preparati a rivitalizzare i loro valori di civiltà con apporti esterni o con la ricerca scientifica: «La verità è che gli Africani non vi sono stati preparati, al contrario. L´immagine di un Giappone che si sviluppa ingurgitando febbrilmente tutti gli elementi esogeni suscettibili di innalzarlo al rango di potenza mondiale, investendo tanto quanto le potenze industriali nella ricerca scientifica, non si applica allo stato psicologico attuale dell’Africa. L´Africa odia i ricercatori. In trent’anni di indipendenza, l´Africa non ha sempre effettuato l´inventario dei suoi valori tradizionali oggettivamente dinamici che potrebbero, non solo costituire il fondamento solido di politiche coerenti di sviluppo, ma anche servire a minimizzare gli effetti perversi della dominazione esterna».

Altro punto sollevato da Kabou: la visione che hanno gli africani della colonizzazione e della tratta negriera.

«La lettura africana della tratta negriera e del fatto coloniale è di un semplicismo mozzafiato: io ero tranquillamente a casa mia quando vidi arrivare un uomo di colore bianco che mi chiese ospitalità ed approfittò della mia gentilezza per spogliarmi dei miei beni, uccidere i miei e ridurli in schiavitù. Di conseguenza, io porgo reclamo ed esigo dei risarcimenti».

Axelle Kabou ricorda senza giri di parole che «ogni popolo è, in prima e in ultima analisi, responsabile dell´interezza della sua storia, senza esclusione». Più oltre: «La questione non è piuttosto di sapere ciò che, al di là dalla morale, potrebbe ben obbligare un occidentale potente a pagare debiti coloniali e soprattutto a far passare l´interesse dell´Africa prima del suo».

Lei argomenta dicendo che gli africani pongono male questioni del tipo “la colonizzazione è stata una buona o una cattiva cosa?”. Non è lì l´essenziale del dibattito, secondo lei. Occorre prendere atto della colonizzazione e passare ad altro. Comparando l´Africa ed il Giappone, rileva che il Giappone ha saputo conservare la sua cultura pur impegnandosi sul binario dell’industrializzazione, benché non possedesse alcuna ricchezza nel suo sottosuolo, contrariamente ai paesi africani.

«Da quando il relativismo culturale è stato inventato […] gli africani ne approfittano per denigrare “l´automazione, la meccanizzazione, l´industrializzazione ad oltranza di cui sarebbero vittime i paesi ricchi». Kabou sottolinea tuttavia che questa industrializzazione è fonte di ricchezza, e che gli africani farebbero meglio a rimboccarsi le maniche e a lanciarvisi, invece di cadere nella trappola del relativismo culturale.

In breve, gli africani dovrebbero guardare dalla parte dell´Asia. Alla sua uscita, il libro provocò molta irritazione nei circoli intellettuali africani. La sua Autrice fu tacciata di “tradimento” dell´Africa, o di “voce dei suoi padroni bianchi”. Tuttavia, è giocoforza notare che continua ad essere di un´attualità sorprendente, benché sia stato pubblicato13 anni fa. Un gran numero dei punti sollevati da Axelle Kabou permangono validi ancora oggi.

[Traduzione cortesemente offerta da Laura B., da it.politica.cattolici]