La storia segreta delle Nazioni Unite

pace universalePubblicato su L’Italia settimanale
del 7 luglio 1993

di Maurizio Blondet

L’Onu spara in Somalia, e i benintenzionati credenti nella “solidarietà internazionale” si scandalizzano. I Caschi Blu non sono angeli? Lo stupore è fuori luogo: l’Onu sta semplicemente tornando alla sua vocazione originaria, ai motivi profondi che la fecero nascere.

League to Enforce Peace, ossia “Lega per imporre la pace” doveva chiamarsi, per le due eminenze grigie che la inventarono, la Società delle Nazioni, alla fine della Grande Guerra. Che sia stato il presidente americano Woodrow Wilson a proporla è un’idea tenacemente e falsamente accreditata dai libri di storia. A Wilson l’idea fu suggerita da uomini a cui non poteva dire di no.

L’Onu spara in Somalia, e i benintenzionati credenti nella “solidarietà internazionale” si scandalizzano. I Caschi Blu non sono angeli? Lo stupore è fuori luogo: l’Onu sta semplicemente tornando alla sua vocazione originaria, ai motivi profondi che la fecero nascere.

«Non pare che Wilson abbia studiato seriamente il programma della Lega per imporre la Pace» scriveva il “colonnello” E. Mandell House nelle sue Private Papres (diari privati) nel 1916. Grande manipolatore delle campagne elettorali democratiche, Mandell House era uno dei due “suggeritori” di Woodrow Wilson dietro le quinte. Ma anch’egli obbediva a qualcuno più in alto di lui: Bernard Baruch, il superfinanziere.

Mai eletto da nessuno, ma compratore primario del debito americano, Baruch ha condizionato (“consigliato”, dicono i biografi servili) una mezza dozzina di presidenti, da Wilson in poi; nel 1952 “consigliava” ancora Eisenhower. Durante la guerra, Baruch s’era fatto mettere dal debole, utopistico Woodrw Wilson alla testa del War Industries Board, l’ente di pianificazione dello sforzo bellico, da lui stesso proposto.

Un potere immenso su tutta l’industria americana, come ammise Baruch stesso davanti ad una Commissione del Congresso: «Era mia la decisione finale se i materiali dovessero arrivare all’Armata o alla Marina, all’amministrazione ferroviaria o agli alleati… se le locomotive dovessero essere usate in Russia o in Francia». Il War Industries Board funzionò, come accusò il senatore William J. Graham, capo dell’apposita commissione d’indagine che il Congresso allestì nel 1919, «come un governo segreto degli Stati Uniti (…) e lo fece dietro porte chiuse, mesi prima che il Congresso dichiarasse guerra alla Germania».

Un governo degli Stati Uniti? Un governo di fatto mondiale fu quello che Baruch provò l’ebbrezza di guidare allora: la pianificazione centralizzata dell’economia della superpotenza, dunque planetaria. Una pianificazione efficace, perché guidata da un finanziere. Levin la invidiava apertamente: «Avessimo qui Bernard Baruch!» gli capitò di esclamare nella Mosca delle carestie bolsceviche.

Quel potere totale Baruch tentò di perpetuarlo anche dopo la guerra: di qui la sua idea della “Lega per imporre la Pace”, intesa come «resa effettiva della disponibilità della forza armata», in difesa di «un nuovo ordine internazionale».

A questo progetto lavorarono, durante la Conferenza di pace di Parigi, li uomini di Baruch: Sidney Mezes, cognato di Mendell House, Isaiah Bowman, direttore della American Geographical Society, il giornalista Walter Lippman e altri del cosiddetto gruppo Inquiry, i futuri fondatori del Council for Foreign Relation.

Il progetto dovette essere sospeso, per la fortissima opposizione che incontrò anche in Usa. Nessuna delle potenze vincitrici volle mettere truppe a disposizione della Lega; lo stesso Woodrow Wilson (in uno scatto di indipendenza dai suoi suggeritori, che dovette poi amaramente pagare) dichiarò che, come presidente americano, solo lui, non un altro potere soprannazionale, poteva ordinare di morire a soldati americani. Si dovette rinunciare al nome programmaticamente orwelliano: La Lega per imporre la Pace divenne la Società delle Nazioni.

Ma dopo la seconda guerra mondiale, eccolo ormai decrepito Baruch rilanciare il suo progetto dal podio della commissione per l’Energia Nucleare dell’Onu il 14 giugno 1946. Nessuno osò domandare quale diritto avesse il vecchio finanziere, privato cittadino, di parlare da quel podio. Lo ascoltarono servili mentre descriveva il suo piano, ampliato secondo i tempi: fare delle Nazioni Unite una «autorità con il monopolio dell’atomica» a scopo «punitivo».

«Dobbiamo infliggere un castigo immediato, spiccio e sicuro a chi violerà i patti raggiunti tra le nazioni – scandì Baruch – la penalizzazione è essenziale se la pace ha da essere qualcosa di più che un intervallo fra due guerre. E le nazioni Unite debbono prescrivere la responsabilità personale e il castigo secondo i principi applicati a Norimberga … I popoli delle democrazie non hanno nulla da temere da un internazionalismo protettivo, mentre non vogliono essere ingannate da vociferazioni attorno a ristrette sovranità, che è la parola d’oggi per isolazionismo».

Nel ’52, il candidato presidenziale democratico senatore Taft si dichiarò contro il governo mondiale dell’Onu: «la pace va perseguita non distruggendo e fondendo gli Stati-nazione, ma sviluppando rapporti legali tra gli Stati-nazione». Bernard Baruch, che si era sempre dichiarato un «fanatico democratico», sostenne il repubblicano generale Eisenhower. Vinse Eisenhower, ovviamente.

Se l’applicazione del Nuovo ordine Mondiale è stata ritardata per mezzo secolo, è per un solo motivo: l’Urss ha rifiutato di mettere a disposizione dell’Onu il “monopolio punitivo”, la giustizia “spiccia e sicura” secondo “i principi di Norimberga”, come voleva Baruch. Oggi, caduta l’Urss, il progetto di Baruch torna ad avanzare.

A passi da gigante. Il 31 gennaio 1992, gli occidentali nel Consiglio di Sicurezza Onu fanno firmare a Eltsin e a Li Peng, primo Ministro cinese, una dichiarazione già preparata dai britannici in cui si prospetta il diritto dello stesso Consiglio di Sicurezza di decidere interventi armati, a dispetto di qualunque sovranità nazionale, sotto qualunque pretesto di “sicurezza collettiva”.

Anche in caso di crisi non militari: «L’assenza di guerra e conflitti tra stati non assicura in sé la pace e sicurezza internazionale» recita la dichiarazione. Che elenca altre “fonti di insicurezza non militari”, in cui l’Onu si arroga di intervenire: «instabilità nel campo economico, sociale, umanitario ed ecologico, quando diventino minacce alla pace e alla sicurezza».

Le bombe sull’Irak e la minaccia di bombardare la Libia (gennaio ’92, risoluzione del Consiglio di Sicurezza) sono le prove generali della nuova Onu “punitiva”. «E’ un ritorno alle origini», ha ragione di dichiarare il segretario generale Boutros Ghali. Il quale, nel luglio 1992, emana una sua “Agenda per la Pace”, nella quale delinea il piano di una Onu ritrovata, effettivamente capace di mantenere il nuovo ordine mondiale.

L’Agenda per la Pace parla soprattutto di guerra: esige l’applicazione integrale del capitolo VII della Carta dell’Onu, e specie dell’art. 43: dove dirama l’ordine, per le nazioni del mondo, di “mettere a disposizione” del Consiglio di Sicurezza “forze armate permanenti”, “unità d’imposizione della pace” con armamento pesante. Per intanto, Ghali costituisce in seno all’Onu un “servizio di intelligence” indipendente.

Il New York Times applaude, a nome dei circoli internazionalisti: «Se deve esserci, sarà assicurata da una forza multinazionale». Non ancora. Bill Clinton come Woodrow Wilson preferisce essere lui a mandare a morire i ragazzi americani. Lo si è visto in Somalia: gli Usa, lungi dal mettere le forze a disposizione dell’Onu, agiscono in proprio: con il beneplacito di Boutros Ghali, ma senza l’elmetto blu.

Ma queste sono questioni formali. Il fatto formale è che si sta formando la polizia internazionale capace di “imporre la pace”, e – senza dirlo – gli interessi dei manovratori. Non a caso, in Somalia dietro “Restore Hope” si sono presentate la Conoco, la Chevron, la Amoco, la Philips (e, buon ultimo, l’Agip) allo scopo di strappare concessioni petrolifere.