Perché Donald Trump è contento della vittoria di Zohran Mamdani a New York

Il Timone 6 Novembre 2025

Che nella Grande Mela vinca la Sinistra non è certo una sorpresa, ma ora la Destra potrebbe sfruttare il successo del candidato socialista a proprio vantaggio

di Marco Respinti

Alla vigilia del voto che il 4 novembre ha eletto il Democratico Zohran Mamdani sindaco della città di New York, il presidente Donald Trump ha chiesto ai suoi di votare Andrew Cuomo, che ha corso sì da indipendente, ma che è pur sempre un pezzo vivente dell’establishment Democratico, se non altro oggi sul piano culturale, invece che il Repubblicano Curtis Sliwa. Per battere la Sinistra di Zohran il presidente di destra ha cioè appoggiato l’altra Sinistra di Cuomo: questo perché la vittoria di un Repubblicano a New York è impensabile. La vittoria Democratica a New York è cioè una non-notizia.

La notizia vera è invece lo sdoganamento del «socialismo». Termine e concetto sono infatti una rarità nel linguaggio politico statunitense. Sono stati storicamente usati pochissimo, e semmai come capo di accusa, come stigma di estremismo. Mamdani ha dunque alzato coscientemente il tiro, conquistando un traguardo importante per il Partito Democratico, ma al contempo inguaiandolo. Ora infatti il partito dovrà decidere se conformarsi all’estremismo newyorkese di Mamdani o tornare al bene rifugio del centrismo che, sempre il 4 novembre, ne ha caratterizzato le vittorie in Virginia nel voto per il governatore, il vicegovernatore e il ministro della Giustizia.

Lo sfondamento del socialismo a New York è la storia del successo conquistato passo dopo passo dalle ali movimentiste e antiborghesi della Sinistra statunitense, un miscuglio (a volte contraddittorio, ma nel segreto delle urne funzionano anche le contraddizioni) di multiculturalismo, «cancel culture» e vittimismo woke capace di sfruttare la carta dell’irredentismo razziale (Mamdani è musulmano ma il suo “socialismo americano” ne fa una rivendicazione più etnica che religiosa) riconfezionato negli slogan classici della Sinistra sociale. A New York il cocktail ha funzionato, ma che lo faccia altrove negli States è tutto da dimostrare. Un classico dei resoconti di stampa del giorno dopo farebbe peraltro intendere che il voto di martedì abbia inaugurato la resa dei conti con Trump. Può darsi, ma i numeri non lo attestano.

Come spessissimo nelle tornate elettorali americane, il 4 novembre a New York non ci è verificato lo spostamento di masse decisive di voto da un partito all’altro. Entrambi i partiti poggiano su basi elettorali difficili da smuovere. La differenza la fanno invece i nuovi elettori, numeri cioè che non si spostano, ma che si aggiungono. Come ha notato il New York Post, «martedì hanno votato più newyorkesi che in tutto il 2021 e hanno espresso più voti in questa corsa ad alto rischio rispetto a qualsiasi altra competizione locale degli ultimi 30 anni». Del resto anche le altre vittorie Democratiche del 4 novembre (in New Jersey e nelle elezioni supplettive per la Camera in Texas) sono avvenute in roccaforti Democratiche che già erano Democratiche.

Per vincere in futuro, insomma, i Repubblicani hanno bisogno di fare breccia ancora una volta fra i nuovi elettori e nelle fasce del non-voto. Qualcuno si domanda se sia quindi iniziata la lunghissima campagna elettorale che si concluderà nel voto per il rinnovo del Congresso federale il 3 novembre 2026, un passaggio politico non facile per i Repubblicani, che verrà vissuto da tutti come una sorta di referendum sull’operato di Trump. Fra quanti quella campagna elettorale l’hanno già iniziata c’è proprio Trump, che ha tutta l’intenzione di virare la vittoria di Mamdani a proprio vantaggio. Trump cercherà infatti di schiacciare l’intero Partito Democratico sull’estremismo socialista del neo-eletto sindaco di New York, e se i Democratici cadranno nella sua trappola, i Repubblicani potrebbero farne ampio bottino