Unione Cristiani Cattolici Razionalisti 30 Ottobre 2025
La giornalista Kate Mulvey è l’ultima femminista a fare mea culpa: “Ho pagato un prezzo altissimo per la mia cosiddetta liberazione“. Intanto tra le giovani dilaga l’anti-femminismo.
Colpa del femminismo, dice Kate Mulvey.
63 anni, giornalista e attivista radicale, si dichiara sola e senza figli e accusa l’ideologia a cui ha dedicato per anni tutta se stessa della responsabilità di un destino che oggi le appare come una profonda sconfitta.
“Il femminismo mi ha rovinato”
In un racconto spoglio e diretto, Mulvey riflette sulla sua vita: «Sono convinta che il motivo per cui continuo a prenotare un tavolo per una persona a 63 anni, invece di aver trovato un partner, è perché, come per tante donne della mia generazione, il femminismo ha rovinato la mia vita sentimentale».
Mulvey ricorda il suo inizio nel movimento di liberazione femminile in una prestigiosa università inglese, quando «trascorrevamo le pause pranzo assorbendo i mantra femministi di Germaine Greer e Betty Friedman: “Comportatevi come uomini”, gridavano mentre bruciavano i reggiseni e demonizzavano i lavori domestici e la famiglia».
Mulvey descrive le sue disastrose relazioni affettive, quando si arrabbiava per ogni gentilezza ricevuta da un uomo, anche fosse stato un mazzo di fiori. Arriva a «pentirsi profondamente» del numero di «avventure occasionali» che ha avuto che la lasciavano ogni volta «vuota e usata».
Eppure le femministe hanno sempre incoraggiato a “fare sesso come un uomo” ma anche questo, scrive, «ci si è ritorto contro».
La ferita maggiore per donne come Kate Mulvey, vittime del femminismo, sembra essere proprio la solitudine e il soffocamento forzato dell’istinto materno.
Invece di garantire potere, ha spiegato infatti, «il femminismo della seconda ondata ci hanno fatto credere che il matrimonio e la vita domestica dovessero essere evitati come la peste e che gli uomini fossero nemici piuttosto che partner».
Aveva sempre immaginato il suo matrimonio, dei figli meravigliosi ma «ho pagato un prezzo altissimo per la mia cosiddetta liberazione».
Qualcosa sta cambiando?
Oggi qualcosa sta cambiando e negli Stati Uniti e su Tik Tok dilaga il fenomeno delle cosiddette “Tradwife”, guidato da donne anti-femministe che elogiano la distinzione dei ruoli, la maternità e la vita familiare.
La stessa Mulvey afferma che «l’idea che le donne siano diverse dagli uomini e che il sesso occasionale possa essere dannoso per noi sta prendendo piede».
Come riferimento cita la giornalista britannica Louise Perry, autrice del bestseller “The Case Against the Sexual Revolution” (2022) in cui confuta le argomentazioni a favore della rivoluzione sessuale.
Nel suo ultimo libro, “A New Guide to Sex in the 21st Century” (2025), Perry mostra con dati alla mano come il sesso occasionale, le app di incontri, la pornografia, la norma della contraccezione prematrimoniale e la normalizzazione delle perversioni sessuali mettano a rischio le donne. Ritiene che la società trarrebbe beneficio al ritorno di valori tradizionali.
Né Mulvey, né Perry ovviamente rivendicano una società patriarcale o una sottomissione agli uomini. Bensì una valorizzazione della famiglia dove i ruoli siano tradizionalmente intesi, una società dove la maternità non venga osteggiata e dove una donna possa scegliere di privilegiare la casa e la famiglia alla carriera lavorativa senza essere considerata anormale, succube o una che si trascura.
Femministe pentite, anche in Italia
Nel corso degli anni abbiamo dato voce a queste donne, nel 2022 parlavamo ad esempio di Candace Bushnell, autrice del famoso programma femminista “Sex in the City”. Anche lei, stesso copione: «Siamo tutte donne single, senza figli. Prima non ci pensavo, ora mi sento sola».
E che dire della scrittrice Samantha Johnson? «Quando sono diventata madre», scrisse, «il femminismo mi ha deluso. Predichiamo alle ragazze che non c’è alcun valore nella maternità, promuoviamo la carriera professionale come simbolo di successo svalutando completamente il contributo dei genitori a casa. Dobbiamo dire alle donne quanto è importante è essere madri».
In Italia fatica ancora ad arrivare questa consapevolezza.
L’abbiamo individuata in un raro lamento, soffocato, di Rossanda Rossanda, fondatrice de Il Manifesto, quando ammise: «Aver avuto figli? Adesso mi sentirei meno sola e soprattutto avrei la percezione di avere tramandato qualcosa di me».
In uno dei pochi momenti senza maschera, anche Emma Bonino manifestò sentimenti simili. «Non sono mai stata moglie, mai madre», confessò la leader radicale. «Sola lo sono sempre. Sola intimamente, politicamente. Piango moltissimo, da sola. Su questo divano. Mi appallottolo qui e piango».
Come sempre Alda Merini aveva però già capito tutto, nel 2008 fu reclutata a sua insaputa dalla femministe in un appello contro il Papa “oscurantista” e lei lo denunciò in un’intervista a Lucia Bellaspiga, aggiungendo:
«Il vero diritto di una donna è quello alla maternità: il figlio è il più grande atto d’amore e il suo mistero resta intatto. E’ una bestemmia negare tutto questo in nome di un femminismo che è l’opposto dell’essere femmina, nel senso più alto del termine».







