Alta Terra di Lavoro 26 Ottobre 2025
Massimo Viglione
Di seguito la prefazione del prof. Massimo Viglione con una disamina storica sull’invasione giacobina dell’Italia e le conseguenti insorgenze antinapoleoniche [nota di Rassegna Stampa]
Essendomi stato cortesemente posto dall’editore l’invito a redigere una prefazione di questa importante pubblicazione, e avendo preliminarmente letto la puntuale presentazione dell’opera, dell’autore e del relativo contesto storico fatta dal curatore Raimondo Rotondi, mi è parso immediatamente evidente che un mio breve intervento, non avendo molto altro da aggiungere a quanto già detto da Rotondi, doveva concernere il quadro storico generale nel quale si dipanano gli avvenimenti narrati nelle Mémoires del generale Thiéboult, perché la conoscenza dello scenario della grande storia rimane condizione essenziale e non rinunciabile ai fini di una piena e corretta comprensione generale. Soprattutto quando si parla, come in questo caso, di fatti e protagonisti di quell’immenso evento che fu la Rivoluzione Francese con la sua propaggine intrinseca e assolutamente decisiva da noi conosciuta come età napoleonica.
Ovvero, gli eventi che hanno posto fine al mondo della Cristianità per proiettare gli europei – e a seguire progressivamente gran parte dell’umanità – nell’era delle rivoluzioni liberali e democratiche dell’età denominata contemporanea e che contemporanea non è più da molto tempo.
Pertanto, speriamo di essere utili al lettore schematizzando i punti fondamentali del contesto generale di queste Memorie.
La Rivoluzione Francese, con tutto il suo carico ideologico e anti-cristiano, sia a livello politico-militare che religioso e sociale, viene esportata militarmente a partire dal 1796, ovvero con l’inizio delle guerre napoleoniche di invasione degli antichi Stati europei. Il giovane generale Buonaparte invade anzitutto la Penisola italiana nella primavera, e con continue vittorie militari sconfigge e umilia il Regno di Sardegna e il Ducato di Parma e Piacenza (che sarà sotto controllo diretto dei giacobini) e conquista il Ducato di Milano, il Ducato di Modena e Reggio, le Legazioni pontificie (Ferrara e Ravenna), la Repubblica di Genova, quindi il Veneto e il Trentino, cui fa poi seguito agli inizi del 1798 l’occupazione del rimanente dello Stato Pontificio, con la presa di Roma il 10 febbraio.
Tranne che in Piemonte e a Parma, ovunque i napoleonici abbatterono i governi legittimi tradizionali imponendo, grazie al collaborazionismo dei massoni e democratici indigeni, governi repubblicani e giacobini. Nacquero così le “repubbliche sorelle”: Cispadana (poi Cisalpina), Ligure, Romana. Il Veneto fu poi consegnato agli austro-imperiali con il Trattato di Campoformido il 17 ottobre 1797, mentre il Piemonte sarà occupato nell’autunno del 1798 (i Savoia si rifugeranno in Sardegna). Così, nell’autunno del 1798 la Repubblica Francese rivoluzionaria aveva assoggettato, direttamente o indirettamente, tutta la Penisola (le due grandi isole non le conquisterà mai) eccetto quello che noi oggi chiamiamo “Triveneto”, la Toscana, che verrà comunque conquistata nella primavera del 1799 e il Regno delle Due Sicilie.
Ovunque gli invasori, coadiuvati egregiamente dai giacobini indigeni, imposero leggi laiciste persecutorie della religione avita e del clero, mutarono le costituzioni in senso giacobino, imposero tasse enormi e svaligiarono i tesori di Stato, i beni della Chiesa e dei palazzi nobiliari portandosi via un numero enorme di opere d’arte, in grandissima parte mai restituite e che costituiscono il nucleo essenziale del futuro Museo del Louvre. E rubarono non solo ai ricchi, ma anzitutto ai poveri, svuotando sempre i monti di pietà.
Si trattò insomma non di una comune invasione come gli italiani avevano tante volte conosciuto nel passato (e comunque in un passato molto lontano, ormai, almeno di tre secoli), ma di una vera e propria guerra alla loro identità religiosa, civile, sociale. Spesso le chiese furono devastate, le reliquie distrutte, i tabernacoli con il Ss.mo Sacramento orrendamente profanati, non di rado conventi e monasteri femminili subirono violenza sessuale e i maschili uccisioni. Vi furono vescovi che dovettero montare la guardia la domenica mattina
Il clero rimase per la maggior parte fedele al papa e alla società del Trono e dell’Altare, ma non pochi vescovi e cardinali manifestarono la loro simpatia per le idee rivoluzionarie democratico-repubblicane, provocando divisioni laceranti nel corpo delle popolazioni italiche, allora massicciamente ancora cattoliche e fedeli alla società tradizionale.
Immediatamente le popolazioni insorsero in armi contro l’invasore e i suoi alleati indigeni, dando vita a quell’immenso fenomeno chiamato “Insorgenza” anti-giacobima, formato da un numero grandissimo di insorgenze locali che non diedero mai pace ai rivoluzionari. È la Controrivoluzione italiana, che vide insorgere, tra il 1796 e il 1814, con particolarissima intensità nel triennio 1796-99, almeno trecentomila uomini in armi, provocando la morte di almeno centomila di loro.
Non vi fu zona invasa che non insorse in armi, costringendo gli invasori a repressioni feroci e inumane, aggravate dall’odio ideologico dei giacobini locali: in tal senso, si può parlare di prima guerra civile fra italiani, perché questi furono in guerra ideologica e militare ovunque giunse la Rivoluzione, sebbene gli aderenti al giacobinismo siano stati un’infima, ma potente, minoranza.
Solo per citare alcune delle principali insorgenze: Binasco, Pavia, Lugo, Verona (le “Pasque Veronesi”), ma anche quelle delle vallate alpine venete e lombarde, quelle delle Liguria e in particolare della Romagna (che i francesi denominarono “Vandée italienne” in ricordo della controrivoluzione vandeana), e soprattutto quelle dei territori indomiti dell’ex Stato Pontificio, sono il corollario di preparazione a quello che fu l’anno chiave della Controrivoluzione italica, il 1799.
In questo anno, a seguito degli eventi accennati in questo libro che presentiamo, insorge, a seguito dell’invasione francese del Regno di Napoli e della costituzione della Repubblica Napoletana nel gennaio 1799, tutto il Meridione peninsulare in una guerra controrivoluzionaria terribile e irresistibile, fino alla riconquista di Napoli e alla caduta della Repubblica con la restaurazione dei Borbone sul Trono, il 13 giugno 1799.
Nel frattempo, insorgeva anche la Toscana a seguito dei Viva Maria aretini, che guidarono la riconquista del Granducato, mentre nel nord le popolazioni insorgevano grazie alla contro-invasione degli eserciti austro-russi venuti a riportare l’ordine in Italia, sia in Piemonte che nei territori della Cisalpina. Gli aretini da nord e i sanfedisti da Sud del cardinale Fabrizio Ruffo, che aveva riconquistato il Regno borbonico, marciarono poi su Roma e la liberarono restaurando lo Stato Pontificio.
Per questo il 1799 può considerarsi l’anno della Controrivoluzione in Italia, e fu una controrivoluzione totalmente vincente: agli inizi dell’anno tutta la Penisola (eccetto come detto il Triveneto) era sotto i francesi, alla fine di settembre non v’era più un francese occupante in Italia.
Questa storia è ancora del tutto sconosciuta a moltissimi, perché non viene insegnata nelle scuole né narrata in alcuna maniera, eccetto dai pochi studiosi che l’hanno divulgata, per l’ovvia ragione che la grandissima parte degli italiani si schierarono in armi contro la Rivoluzione Francese e i suoi ideali laicisti e repubblicani in difesa della società tradizionale del Trono e dell’Altare. Per questo la pubblicazione delle Memorie di un protagonista militare dei quei giorni, per di più di parte francese, costituisce una testimonianza eccellente (sciocchezze ideologizzate a parte).
La sprovvedutissima decisione di Ferdinando IV di Borbone, nell’autunno 1798, di invadere la Repubblica Romana per restaurare il papa fornisce il desideratissimo pretesto ai napoleonici per conquistare anche il Regno di Napoli, cosa che faranno in maniera talmente facile che è impossibile non far nascere il sospetto del tradimento nelle gerarchie militari borboniche, a partire da quel meschino personaggio di Mack. Ma i francesi incontreranno anche nel Regno, soprattutto e come non mai prima, quella resistenza militare popolare degli italiani fedeli al Trono e all’Altare, alla propria identità religiosa, politiche e sociale, che li costringerà al ritiro e all’abbandono dei repubblicani partenopei al loro tragico destino. Nello specifico degli eventi del Meridione, l’Insorgenza prenderà il nome di “Sanfedismo”, derivato dall’Armata Cattolica e Reale della Santa Fede costituita e guidata dal cardinale Fabrizio Ruffo per riconquistare, come detto, il Regno.
I rivoluzionari definiranno i resistenti e veri patrioti come “briganti”, come avevano già fatto in Vandea, usurpando loro il titolo di patrioti. Ma i veri patrioti erano proprio coloro che difendevano la loro patria invasa e assalita fin nelle fondamenta della propria identità civile e religiosa.
Per concludere, ringraziamo l’editore e il curatore per la ripubblicazione di queste Memorie di un protagonista militare di quei giorni, perché costituiscono importante testimonianza – sebbene ovviamente pienamente di parte filorivoluzionaria, ma forse proprio per questo ancora più utile – necessaria oggi per tenere viva e diffondere sempre più la conoscenza e il ricordo dell’eroica resistenza controrivoluzionaria degli italiani di quei giorni, i primi, dopo i vandeani, a prendere le armi coraggiosamente per ricacciare l’invasore rivoluzionario, sovversivo, stragista e ladro.
Oggi una Contro-rivoluzione, infinitamente più necessaria di ieri visti i tempi che viviamo, non può avvenire con “scoppette”, fucili, zappe e bastoni: ma lo spirito degli insorgenti di allora deve animare tutti gli uomini di buona volontà alla reazione, con gli adeguati e possibili strumenti odierni, contro la dissoluzione rivoluzionaria in atto.
Massimo Viglione 6 gennaio 2024








