Perché fa paura stare insieme per tutta la vita

coppia_anzianiPubblicato su Avvenire del 3 dicembre 2003

Non è possibile ignorare l’angoscia che rode chi non trova un senso nella propria vita, quel senso che solo la vocazione può dare. Oggi a reclamare il matrimonio sono piuttosto i gay, che chiedono a gran voce “i privilegi del matrimonio”, anche se i vantaggi pratici e finanziari non sono gran che. Attrae la parola ma «appropriarsi della parola è il mezzo fondamentale per scardinare l’istituzione».

di Lucetta Scaraffia

Il matrimonio, inteso come progetto di tutta la vita fra una donna e un uomo, sta scomparendo. Non solo aumentano le coppie di fatto – che chiedono però tutti i benefici economici e legislativi con cui lo Stato finora ha difeso l’istituzione familiare – ma pare che stia sempre più diffondendosi l’accordo privato. Cioè patti o contratti con cui definire un rapporto che, si prevede fin dall’inizio, sarà a tempo.

È la via europea, ci rassicura però “la Repubblica” che dà la notizia, e quindi dobbiamo essere contenti: siamo moderni e con questi prudenti accordi si evitano dolori e litigi. La scelta “per tutta la vita” fa sempre più paura – e infatti sta venendo meno anche per quanto riguarda i voti religiosi – perché sembra una prigione nell’impedire quella che è diventata la promessa di felicità: scegliere in ogni istante di fare quanto desideriamo.

Non è vero che «la dignità dei sentimenti non ha bisogno della tutela della legge», come ha dichiarato l’avvocato Anna Maria Bernardini De Pace: i sentimenti sono umani, e quindi di breve durata, facilmente mutevoli, mentre l’esistenza dell’istituzione aiuta a continuare nel tempo, anche quando l’innamoramento è finito. Il matrimonio, se non supera i sentimenti umani, non ha molte probabilità di durare.

Prigionieri dei nostri desideri, modesti e influenzati dalla cultura esterna, non siamo più capaci di sentire una vocazione che dia forma alla nostra vita. La vocazione è cosa seria, che richiede tempi lunghi e impegno, e non è detto che offra successo immediato (o anche semplicemente successo): proprio per questo non piace più. Vogliamo infatti essere liberi di andarcene alle prime difficoltà, di cogliere al volo tutte le occasioni che la vita ci offre.

Leggeri senza dubbio lo siamo, mentre saltiamo qua e là alla ricerca della nostra realizzazione individuale, ma non felici. Non è possibile, infatti, ignorare l’angoscia che rode chi non trova un senso nella propria vita, quel senso che solo la vocazione può dare. Mentre le coppie eterosessuali preferiscono i contratti, oggi a reclamare il matrimonio sono piuttosto i gay, che chiedono a gran voce “i privilegi del matrimonio”, anche se i vantaggi pratici e finanziari non sono gran che.

Attrae la parola ma – come scrive Maggie Gallagher in un bell’articolo, che è uscito sul “Weekly Standard” ed è apparso tradotto sabato su “Il Foglio” – «appropriarsi della parola è il mezzo fondamentale per scardinare l’istituzione». Se infatti la parola “matrimonio” è utilizzata anche per persone dello stesso sesso, «non avremo più a disposizione una parola per esprimere la concezione di matrimonio che noi e i nostri antenati abbiamo sempre mantenuto» scrive la Gallagher, e i sostenitori della cultura del matrimonio saranno ridotti al silenzio, a un linguaggio privato, diverso da quello che prevarrebbe nell’opinione pubblica.

Le parole sono importanti e il modo in cui le intendiamo pubblicamente costituisce la nostra cultura di riferimento: è importante quindi difenderle.