La castità matrimoniale

coniugi_Martin

Zelia e Luigi Martin

Il Timone – n. 24 Marzo/Aprile 2003

Se ne è persa la memoria o non si ha più il coraggio di parlarne: la castità tra gli sposi sembra essere scomparsa. Invece è progetto di Dio, modo di essere dell’uomo e della donna, verità sulla persona.

di Mario Palmaro

Gli uomini del terzo millennio, e i giovani in particolare, corrono due rischi: o non sentono nessuno parlare di castità, tanto meno di castità matrimoniale; oppure, vengono raggiunti da un’idea caricaturale di castità, una specie di opzione preferenziale per gli anormali, improponibile alla gran parte degli uomini e delle donne dotati delle consuete pulsioni. Inutile nasconderlo: parlare di castità, in particolare all’interno del matrimonio, è oggi più che mai una scommessa impegnativa.

Innanzitutto, perché la parola stessa è caduta vittima di un inesorabile declino che l’ha relegata nella soffitta delle cose che non si usano più. Una parola che sa di ragnatele e di tempi antichi, ritenuta oramai inservibile, “superata”. Attenzione: prendersela con “il mondo”, con la secolarizzazione, con la decadenza dei costumi, non risolverebbe il problema. Perché i primi ad avere paura nel maneggiare l’argomento sono, spesso, proprio i cattolici.

La castità fa parte di quella categoria di concetti che sono scomparsi da molte catechesi, da molte predicazioni, da molti programmi pastorali. Un po’ come i novissimi. Un’operazione condotta spesso senza malizia, anzi con l’intenzione di rendere più presentabile, più “affascinante” il Vangelo, alleggerendolo di quell’aurea plumbea fatta di divieti e di peccati connessi alla sfera della sessualità. Ma che rivela una pessima conoscenza della castità di cui parla la Chiesa, e una scarsa considerazione per la potenza sorprendente della verità tutta intera contenuta nel Vangelo.

Prendiamo dunque atto di un primo problema: c’è un lavoro di restauro” molto impegnativo che ci attende. Da un lato, per ridare lustro e splendore proprio alla parola, “castità”, ridonandole una seconda giovinezza che scoraggi dal tentativo – un po’ patetico – di sostituirla con sinonimi improbabili o con complicati giri di parole. Dall’altro lato, perché bisogna ristabilire tutta la verità intorno a questa parola che, quando sopravvive nell’uso corrente, viene riempita di significati fantasiosi, imprecisi o addirittura completamente sbagliati.

La castità come discorso di Dio sull’uomo

La prima sfida da vincere è questa: riuscire a far riscoprire il valore profondamente umano della castità, come discorso fatto da Dio sull’uomo attraverso il Vangelo e la sua Chiesa. Per riuscirci, bisogna riconoscere e neutralizzare una serie di luoghi comuni che la nostra società ha elaborato, in particolare intorno alla castità nel matrimonio. Vediamone alcuni: la castità è un valore superato, una parola che oggi non ha più senso; la castità è una faccenda che riguarda preti e suore, ma non le persone normali; la castità è un impegno che termina con il matrimonio: dopo, ogni coppia stabilisce le sue regole; la castità riguarda solo la nostra anima. Come si noterà, si va da posizioni molto “lontano”, ad altre che trovano terreno fertile nelle stesse comunità cristiane. Come reagire, che cosa rispondere, come argomentare di fronte a questi errori così radicati nel senso comune?

La sessualità come modo di essere dell’uomo

La prima cosa da fare è tornare a riflettere sul significato profondamente umano della sessualità, cioè sul fatto che la persona è o uomo o donna. A molti potrà apparire una perdita di tempo intorno alla cosa più ovvia del mondo. Ma non dobbiamo dimenticarci che ogni errore intorno alla fede e alla morale, ogni eresia, è frutto innanzitutto di una “dimenticanza” della realtà, di un difetto di attenzione alle cose così come sono. Il Vangelo non è una camicia di forza che imbriglia l’uomo, ma è la descrizione più perfetta e più armoniosa di come l’uomo è realmente nel progetto di Dio.

Il santo non è un anormale eccentrico, ma è la realizzazione più piena della natura umana: se così non fosse, non avrebbe senso parlare di “vocazione universale alla santità”.

Se non vinciamo questa resistenza psicologica interna, ogni precetto della Chiesa, ogni comandamento del decalogo, sarà sempre vissuto come una indebita e illogica mortificazione della libertà individuale. Un non-senso fatto legge.

Tre risposte sbagliate

Ma se è vero che ognuno di noi esiste inevitabilmente come uomo o come donna, si tratta di riflettere sul significato dì questa realtà: perché la persona umana o è uomo o è donna? Oggi, se ascoltiamo le opinioni più diffuse fra la gente, abbiamo di fronte a noi tre risposte possibili:

a. Siamo uomo o donna per garantire una migliore perpetuazione della specie umana, attraverso il dimorfismo sessuale. È una risposta che contiene un pezzo di verità, ma che – se pretende di essere completa – non ci fa capire niente dell’uomo. Perché riduce la sessualità a una sfera meramente animale. Mentre, invece, la sessualità umana nella sua intima natura non è uguale a quella delle bestie.

b. Siamo uomo o donna in virtù di una contrapposizione oppressiva e conflittuale, che deve essere superata fino a scomparire. È la lettura tipica del femminismo, che determina uno degli errori più gravi intorno alla persona umana, perché riduce l’essere uomo/essere donna a tatto meramente culturale, negando l’esistenza di una natura maschile e di una natura femminile.

c. Siamo uomo o donna, ma in realtà ogni individuo sceglie, usando della sua libertà, quale senso dare alla sua mascolinità/femminilità. In questa interpretazione il senso dell’essere donna o uomo è totalmente inventato da ciascuno, e quindi non ha alcun significato obiettivo. Tutto e il contrario di tutto diventa lecito.

In tutte e tre le ipotesi siamo completamente fuori strada: o perché si riduce la sessualità a un fatto meramente biologico (naturismo); o perché si riduce la sessualità a un fatto psicologico soggettivo o sociale (culturalismo).

La risposta della Chiesa: la castità come verità sulla persona

La Chiesa ha una risposta ben diversa per spiegare il senso del nostro essere così profondamente segnati dalla sessualità. Notiamo infatti che uomo e donna sono caratterizzati da una profonda e connaturale diversità, della quale il dato morfologico è solo il segno più evidente: la donna esprime un modo di amare, pensare, riflettere, agire, soffrire, che è diverso da quello dell’uomo. Ma – e qui ci imbattiamo nel primo fatto sorprendente – questa diversità non genera conflitto, bensì reciproca attrazione. L’attrazione verso l’unità dei due.

Ora, questa attrazione non è spiegabile se non a partire dal fatto che uomo e donna condividono, in quanto persone, una identità intima comune; e cioè che entrambi hanno bisogno di verità e di amore. Hanno bisogno di affermare tutta la verità e tutto l’amore possibile purché autentico. La sessualità, come ogni altra manifestazione dell’umanità, si può capire soltanto a partire dalle più vere e genuine aspirazioni che la persona ha nel suo cuore.

Altrimenti, il suo “esercizio” meramente muscolare apparirà dapprima come appagante, e in un secondo momento, inevitabilmente, alienante, vuoto, deludente. Facendo oscillare la persona dalla esaltazione per lo sfogo dei propri istinti alla depressione per la sensazione di aver fatto “qualcosa di sporco”. Se si tenta di osservare il problema da questo punto di vista, ci si accorge di come il moralismo non c’entri nulla con la castità; e di come, però, senza la castità, non sia possibile nessuna riflessione autenticamente morale sull’uomo.

La castità come linguaggio del corpo

Questo discorso sembra molto astratto, filosofico, impalpabile. Ma diventa assai più “vicino” alla nostra vita se riflettiamo su un fatto inequivocabile: l’uomo non può incontrare realmente l’altro se non attraverso il corpo. Ogni relazione, da quella sociale e pubblica, a quella intima e affettiva, si esprime nella fisicità del corpo. Il corpo non è uno strumento di cui la persona possa fare uso, così come ci capita di usare un elettrodomestico, un’automobile, un computer.

Questi mezzi restano “altri da me”, e la mia intima natura ne rimane estranea. lo non ho il mio corpo; io sono (anche) il mio corpo. Ecco perché, in uno di quei brani che ci inchiodano alla esigente serietà del Vangelo, Gesù ci ricorda che se guardiamo una donna desiderandola, abbiamo già commesso il peccato nel nostro cuore: perché così facendo abbiamo separato quel corpo dalla persona, asservendolo ai nostri desideri disordinati.

Invece, la forma adeguata di comunicazione tra persone è la donazione di se stessi. Quando si sfugge da questa regola, si entra in una spirale dalla quale diventa difficile sfuggire. Erode forse non avrebbe mai ordinato l’uccisione di Giovanni il Battista; ma quando viene avviluppato dalla danza suadente di Salomè, si ritrova prigioniero della sua abitudine (il suo habitus) a vivere lontano dalla castità.

I contenuti della castità

Giunti a questo punto del nostro discorso, ecco che si dischiudono i luminosi orizzonti dell’etica matrimoniale insegnata dalla Chiesa. Ora dovrebbe esserci più chiaro come essa non si riduca alla fredda elencazione di atti permessi e atti proibiti, simile al complesso rituale seguito dagli ebrei veterotestamentari per le loro abluzioni. Ma, nello stesso tempo, la posta in gioco è tale da non potersi riassumere in un generico e sentimentale “volersi bene” degli sposi; la castità si manifesta nella concreta necessità di riconoscere azioni oggettivamente contrarie alla dignità dell’uomo, creato a immagine dì Dio.

Nessuna concessione, dunque, a una deriva di tipo protestante che nega la possibilità di trarre dal Vangelo precise indicazioni morali. Possiamo anzi riconoscere alcune coordinate che orientano la castità fra gli sposi:

a. Inscindibilità della dimensione unitiva e procreativa: l’atto coniugale riceve nella prospettiva cattolica la massima esaltazione come vero e proprio vertice della creazione. La congiunzione dei corpi esprime la comunione delle persone. È atto corporale e spirituale insieme. Ma se si separa – ad esempio con la contraccezione – la sessualità dalla potenzialità procreativa, si introduce un elemento oggettivo di falsificazione, perché l’atto non è più di totale donazione all’altro.

b. Apertura alla vita: niente come la nascita di un figlio mette di fronte all’evidenza che si può toccare, si può tenere in braccio – di qualcosa che pur venendo da noi, ci eccede da tutte le parti; qualcosa di nostro, eppure di totalmente ricevuto. La finalità procreativa non è una eccezione improbabile nell’abbraccio coniugale, ma ne costituisce la regola intrinseca. Esprime la fiducia della coppia nel disegno provvidenziale.

Si dice che l’uomo pro-crea, e non che si riproduce, perché ogni concepimento (fosse anche accidentale, imprevisto, non voluto) rimanda a un fattore che sta oltre i genitori, e del quale essi sono chiamati a dare testimonianza.

c. Rispetto del corpo: Il linguaggio autentico dell’amore esige che i coniugi si rispettino, non secondo sensibilità soggettive e arbitrarie, ma orientando la loro libertà al criterio del vero bene. Ciò spiega perché, anche all’interno del matrimonio, siano oggettivamente illeciti tutti gli atti che mirano al piacere sessuale senza essere intrinsecamente ordinati alla procreazione.

La castità come fatica

Se, come abbiamo visto, la castità è uno stile di vita possibile e anzi necessario alla realizzazione della persona uomo/donna, ciò non significa che essa sia facile da realizzare. È cattiva catechesi quella che fa credere assolutamente spontanea e allegramente gioiosa l’adesione dell’uomo alla castità, quasi non esistesse la piaga aperta del peccato originale e la minaccia instancabile del Tentatore. Aggravata, in questa materia, dalle cattive abitudini e dal clima “avvelenato” in cui capita di vivere. Ma noi sappiamo anche che Dio non comanda l’impossibile, e che dunque a nessuno è preclusa la strada della libertà autentica. La castità è un cammino di ascesi che implica:

a. l’acquisizione del dominio di sé, come pedagogia della libertà umana. O l’uomo comanda le sue pulsioni, o ne è comandato; b. l’uso dei mezzi necessari ad affrontare questa fatica (obbedienza ai comandamenti; esercizio delle virtù; fedeltà alla preghiera, affidandosi in particolare a Maria e Giuseppe);

c. l’esercizio della temperanza, come affidamento alla ragione delle nostre passioni; d. la pazienza di coltivare un’opera di lungo respiro, mai acquisita una volta per tutte; e. la castità conosce le leggi della crescita, la quale passa attraverso tappe segnate dall’imperfezione e assai spesso dal peccato.

d. La pazienza di coltivare un’opera di lungo respiro, mai acquisita una volta per tutte;

e. la castità conosce le leggi della crescita, la quale passa attraverso tappe segnate dall’imperfezione e assai spesso dal peccato.

Bibliografia:

Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2331-2400.
Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona Humana, Roma 1976.
Ramon Garcia de Haro, Matrimonio & Famiglia nei documenti del Magistero, Ares, Milano 2000.

Carlo Caffarra, Il matrimonio come originaria espressione della socialità umana, Catechesi ai giovani, 18 gennaio 2003.
Angelo Scola, Uomo-Donna, il caso serio dell’amore, Marietti 1820, Genova 2002.
Emilio Silvestrini, La rettitudine oggettiva-soggettiva degli sposi nel loro atto coniugale, Pontificia Accademia Pro Vita Roma 1997.

Matrimonio:

“Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere reni da una coscienza che sia conforme alla legge divina stessa; e siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo”.

(Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 50).