Gli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola

esercizi_S_IgnazioFormiche 29 giugno 2013

di Giuseppe Brienza

Non c’è rinnovamento, anche sociale, che non parta dalla contemplazione. Uno dei tanti preziosi lasciti di Benedetto XVI alla Chiesa italiana è stato quello di non abbandonare la pratica degli “Esercizi Spirituali”, periodi di ritiro e contemplazione ideati da Sant’ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù (1491-1556), in un contesto in cui «In Italia, mentre crescono e si diffondono provvidenzialmente molteplici iniziative di spiritualità soprattutto tra i giovani, sembra invece decrescere il numero di coloro che partecipano a veri corsi di Esercizi Spirituali, e questo si verificherebbe anche tra i sacerdoti e i membri degli Istituti di Vita Consacrata» (cit. in II Papa: esercizi spirituali, “una forte esperienza di Dio”, in ZENIT.org, 11 febbraio 2008).

Benedetto XVI: “Ritornate agli Esercizi Spirituali!”

Gli “esercizi”, infatti, che nelle realtà più serie che ancora li propongono ai laici iniziano con il pranzo del lunedì e si concludono con il pranzo del sabato (cfr. ad es. il sito www.opusmariae.it), si sperimenta, come ha affermato Papa Ratzinger ricevendo in udienza l’Assemblea Nazionale della Federazione Italiana Esercizi Spirituali, «una forte esperienza di Dio, suscitata dall’ascolto della sua Parola, compresa e accolta nel proprio vissuto personale, sotto l’azione dello Spirito Santo, la quale, in un clima di silenzio, di preghiera e con la mediazione di una guida spirituale, dona capacità di discernimento in ordine alla purificazione del cuore, alla conversione della vita, alla sequela di Cristo, per il compimento della propria missione nella Chiesa e nel mondo».

In effetti le cose sono molto cambiate rispetto ai secoli passati se, fin dalla fondazione della Compagnia di Gesù, come narra in terza persona lo stesso Ignazio, «dovunque egli insegnava la dottrina cristiana accorreva molta gente» (Ignazio di Loyola, Racconto di un pellegrino, a cura di Giuseppe De Gennaro, Città Nuova, Roma 2004, n. 57).

Una contemplazione per i laici

Composti nel 1522 in spagnolo in una stesura non definitiva, trascritti poi in latino e pubblicati nel 1548 a Roma, gli Esercizi spirituali rappresentano la “chiave di volta” della spiritualità di Ignazio di Loyola. Tale pratica infatti, anteriore ad Ignazio, fu elaborata per la prima volta da lui in forma sistematica: sotto la guida di un direttore, l’esercitante dovrà vivere in silenzio e solitudine per un mese. Quest’ultima durata è naturalmente prevista ancora oggi per i sacerdoti, mentre la forma abbreviata per i laici è in 5 giorni.

Dall’esperienza diretta del fondatore dei gesuiti è nato anche un “classico” della storia della spiritualità, cioè il libro degli Esercizi Spirituali, che l’editore “Città Nuova” ha appena riproposto in una edizione tascabile, curata da Giuseppe De Gennaro, docente di Lingua e Letteratura spagnola e Letteratura mistica spagnola nell’Università dell’Aquila e Storia della cultura spagnola alla Lumsa di Roma (cfr. Ignazio di Loyola. Esercizi Spirituali, Città Nuova ed., Roma 2013, pp. 200, € 6,50).

Non “raccontati”, ma fatti.

Lo storico Hugo Rahner S.l. (1900-1968) spiega il successo immediato degli Esercizi nel XVI secolo ed oltre a motivo della particolare crisi della spiritualità che aveva raffreddato la Fede in quel particolare frangente storico.

«Gli effetti di una fuga illusoria all’interno della mistica fin dal XIV secolo – scrive al proposito il padre gesuita -, le conseguenze delle stravaganze di maestro Eckart [von Hochheim O.P. (1260-1327/1328)], il movimento [mistico-renano] degli “Amici di Dio”: tutto ciò mostra il pericolo mortale in cui la Chiesa, come nei due secoli della gnosi, era caduta. […] Il vero e il falso erano terribilmente rimescolati con estrema disinvoltura: mancava più di tutto il discernimento degli spiriti, a cui si appellavano decisamente i migliori uomini del tempo. […] S. Ignazio di Loyola e il suo libro degli Esercizi risponde in pieno a questa aspettativa di uomini finalmente dotati della necessaria conoscenza degli spiriti. I primi Padri della Compagnia di Gesù, da parte loro, erano convinti che le “Regole per il discernimento degli spiriti”, che sono in stretto rapporto alla sostanza degli Esercizi e alla considerazione dei Due Vessilli, fossero state concesse come rimedio radicale contro i mali del tempo» (Hugo Rahner S.L, Come sono nati gli Esercizi. Il cammino spirituale di sant’lgnazio di Loyola, Edizioni ADP, Roma 2004, pp. 103-104).

Come tali, gli Esercizi non possono essere “raccontati”, ma vanno fatti, ed è per questo che p. Rahner ricorda come «Nei più antichi Direttori, viene continuamente sottolineato che gli Esercizi si devono “fare”; perciò il libro degli Esercizi non è un libro di lettura, e neppure deve cadere nelle mani di coloro che vogliono leggerlo una sola volta e ricavarne unicamente per se stessi questo o quel frutto secondo il loro gusto spirituale. […] il libro degli Esercizi scopre i suoi segreti a chi li fa effettivamente meditandoli […] ad una semplice lettura non ci sembrano altro che ottime prescrizioni morali, che però non fanno grande impressione. Ma per chi li “fa” acquistano una forza potente ed efficace per l’intera conversione delle anime e lo sviluppo della vita spirituale» (Come sono nati gli Esercizi, pp. 115-116).

Alla fine dell’elaborazione degli Esercizi, ha affermato uno dei suoi maggiori biografi contemporanei, il p. Càndido de Dalmases (1906-1986), il fondatore della Compagnia ebbe in pratica «risolto il problema della sua vita. Il suo ideale sarà il servizio di Dio; Gesù Cristo il suo modello; il vasto mondo il suo campo di lavoro. Perché da ora in poi non sarà il pellegrino solitario che medita e fa penitenza, ma si dedicherà con tutte le sue forze ad “aiutare” le anime, cioè, a portare gli uomini a compiere il loro destino» (Càndido de Dalmases S.I., il Padre Maestro Ignazio. La vita e l’opera di Sant’lgnazio di Loyola, tr. it. Bruno Pistocchi, Jaca Book, Milano 1994, p. 77).

Ignazio morì a Roma il 31 luglio 1556 e venne dichiarato beato da Paolo V nel 1609. Canonizzato da Gregorio XV il 12 marzo 1622, insieme a Francesco Saverio, uno dei suoi primi seguaci, la festività annuale ricorre il 31 luglio.