La verità sul nucleare senza pregiudizi

Abstract: la verità sul nucleare senza pregiudizi: lungi dall’essere una fonte pericolosa, l’energia nucleare è l’unica che può garantire potenza e basso impatto inquinante, oltre a presentare un tasso di specializzazione e di controlli internazionali che la rendono pressoché impermeabile alle consorterie criminali. l’energia nucleare per lo sviluppo, per l’ambiente e per la legalità. Sostenere il contrario è frutto, nel migliore dei casi, di una disinformazione tanto “intuitiva” quanto banalizzante e semplicistica.

Centro Studi Rosario Livatino  12 Maggio 2023  

Sull’energia nucleare, senza tabù

Lungi dall’essere una fonte pericolosa, l’energia nucleare è l’unica che può garantire potenza e basso impatto inquinante, oltre a presentare un tasso di specializzazione e di controlli internazionali che la rendono pressoché impermeabile alle consorterie criminali

ingegnere Nicola Cefis, PhD  e Francesco Camplani PhD (**)

1. Un fantasma si aggira per l’Europa. È il fantasma dell’energia nucleare, tornata di moda grazie ad un’influencer adolescente [1].

L’inizio faceto non tradisca l’intento di questo breve scritto, che è quello di cogliere l’occasione per fare quello che nel nostro Paese, fin dal referendum del 1987, non si è più fatto: informare sull’energia nucleare [2], con le parole adatte ad un pubblico composto per lo più da giuristi, e sul suo ruolo per la tutela dell’ambiente. Si tratta di due questioni che, contrariamente ad un certo senso comune, sono fra loro strettamente connesse.

È d’uopo osservare, inoltre, quanto la questione nucleare sia stata improvvisamente riportata all’ordine del giorno a causa di una guerra che coinvolge uno dei principali fornitori di energia del continente europeo. Solo di fronte ad un evento così drammatico, infatti, ci siamo accorti di quanto sia stato geopoliticamente poco saggio lasciare le chiavi della nostra politica energetica nazionale ed eurounitaria in mano ad una potenza che da tempo mantiene posizioni ambigue su valori fondanti l’identità europea e sul suo ruolo nello scenario internazionale. Potenza che, ricordiamo, vende al resto del continente sia il gas che – ebbene sì – l’energia elettrica prodotta da fonte nucleare [3]. Si tratta di una presa di coscienza tardiva, ma – secondo l’adagio popolare – meglio tardi che mai.

Il punto di vista geopolitico rimarrà tuttavia secondario. Gli autori – un giurista ed un ingegnere – preferiscono concentrarsi sulla questione ambientale ed energetica, che costituirà una delle sfide fondamentali del futuro, anche e soprattutto nella prospettiva delle politiche pubbliche e della legislazione.

2. Conviene riprendere il discorso da dove, in Italia, lo abbiamo lasciato. Nella specie, ai tempi di Chernobyl e del referendum proposto sulla scia dell’emotività generale, il cui risultato non poteva contare sulla razionalità ed imparzialità scientifica dell’elettorato. Ne è risultato il paradosso in base al quale il primo Stato “denuclearizzato per principio” al Mondo è stato proprio quello del Premio Nobel per la Fisica (1938) Enrico Fermi, vale di colui che ha dato il via alla fiorente scuola di fisica nucleare italiana nell’istituto di fisica di Via Panisperna, a Roma, nel Rione Monti [4] e un decennio dopo realizzò il primo reattore dimostrativo presso l’Università di Chicago.

3. Spesso si parla di Chernobyl come di un “incidente”: termine che evoca una fatalità come tante altre, resa particolarmente inquietante dal potenziale esplosivo del tipo di produzione. Sarebbe forse meglio precisare la narrazione in termini di sequenza di errori umani dettati in parte da crassa incompetenza, in parte da scelte “sperimentali” deliberate, in un contesto dominato da commistione di impieghi civili e militari dell’energia nucleare e dalle ingerenze politiche del Partito Comunista dell’Unione Sovietica nella gestione delle centrali.

Anche l’impostazione di progetto dell’impianto nucleare sopracitato, di tipo RBMK (sigla russa traducibile in italiano come “reattore di grande potenza a canali”), presentava notevoli carenze sia dal punto di vista della sicurezza strutturale intrinseca che sul lato dei sistemi passivi totalmente assenti. I sistemi nucleari attuali prevedono sistemi di sicurezza passiva che, in eventuali condizioni di esercizio anomalo, si attivano tramite semplici principi fisici portando allo spegnimento naturale delle reazioni.

Nella specie, si trattò un “test di sicurezza” programmato per il 25-26 aprile 1986 e realizzato disattivando manualmente i sistemi d’emergenza della centrale: l’equivalente di un test di scontro automobilistico realizzato sabotando i servofreni a depressione. Si tratta di una prassi che oggi è completamente interdetta dalle tecnologie più recenti, che non consentono la disattivazione dei sistemi di spegnimento e di raffreddamento del nocciolo. Volendo offrire un paragone in termini giuridici, si tratta di qualcosa di molto più prossimo ad un omicidio preterintenzionale che ad una morte derivante da cause di forza maggiore.

Va sottolineato che gli studi più rigorosi parlano di circa 4000 morti dipendenti dal disastro di Chernobyl. Affermiamo questo, ovviamente, partendo dal presupposto che ad ogni singola vittima corrisponde una tragedia umana. Tuttavia, dal momento che su tale dato quantitativo si pretende di misurare l’”impatto di insicurezza” della produzione di energia nucleare, corre l’obbligo di sottolineare (I) che i numeri sono questi, certificati dal Chernobyl Forum delle Nazioni Unite [5], ben lontani dalle più elevate cifre presentate da fonti ufficiose, tanto catastrofiste quanto scientificamente poco valide [6]; (II) che anche la produzione di energia mediante altre fonti, soprattutto fossili – e qui basti evocare il caso della Deepwater Horizonma anche rinnovabili, non è esente da disastri che hanno causato tragedie collettive: basti pensare alla produzione di energia idroelettrica, all’origine di tragedie come quella del Vajont (1917 morti, in un’area ben meno popolata di Chernobyl) e quella della diga di Banqiao, in Cina (171mila morti).

4. Il contesto italiano era completamente diverso da quanto prospettato. Il programma nucleare era considerato fra i più avanzati al mondo, anche grazie al corposo investimento dell’ENEL in materia ed ai numerosi centri di ricerca dislocati sul territorio nazionale. A riprova della grande capacità italiana, i risultati sperimentali ottenuti in esperimenti di energia nucleare erano i migliori e più rappresentativi del panorama di ricerca europeo [7].

Peraltro, l’Italia era inserita già allora nel sistema tecnico-giuridico della International Atomic Energy Agency (IAEA) [8], che riduce al minimo le ingerenze politiche affidando il controllo sull’edificazione e sul funzionamento delle centrali a tecnici altamente specializzati.

Nondimeno, il referendum abrogativo fu concepito ad arte in modo da tagliare le gambe al programma. La consultazione referendaria del 1987, in particolare, prevedeva che, dei cinque quesiti proposti, tre – proposti dai Radicali – si focalizzassero su alcuni commi della legge 10 gennaio 1983 n. 8 (monoarticolo) [9], due dei quali contenevano norme particolarmente impopolari: il n. 3 interveniva sulla clausola di sussidiarietà che consentiva al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) di decidere sulla localizzazione delle centrali, avendo riguardo al caso in cui gli enti locali non avessero deciso entro tempi stabiliti; il n. 4 verteva sull’abrogazione del compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone, allora previsto dalla legge 10 gennaio 1983 n. 8); il n. 5 abrogava la norma che consentiva all’ENEL di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero.

Ne sarebbe risultato l’abbandono di un programma nucleare che – si ribadisce – ci poneva costantemente fra i poli più avanzati al mondo. I risultati del referendum, che “moncavano” il programma – privo delle possibilità di interventi sussidiari del governo, di finanziamenti locali e di joint ventures con l’estero – spinsero infatti il legislatore all’abolizione dello stesso. Inizia, da allora, una storia di dipendenza da altre potenze nucleari, quali la Francia, e da quelle esportatrici di gas: dipendenza che ha pesato non poco sul galoppante debito pubblico degli anni successivi al referendum e, dal punto di vista dei privati e delle imprese, sulle bollette elettriche tuttora fra le più elevate d’Europa.

D’altronde, il lupo che ha cambiato il pelo non ha perso il vizio. Nel 2011, il tentativo di rilanciare il programma per mezzo dell’art. 7 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133 [10], subito sottoposto a referendum, si è scontrato con la sfortunata coincidenza temporale con l’incidente senza vittime dirette di Fukushima. Non a caso, il referendum – dopo una lunga serie storica di quorum non raggiunti – avrebbe condotto alla vittoria dell’opzione abolitrice.

Fukushima.

Si torni sul caso di Fukushima. Detta centrale nucleare, posta sulla riva dell’Oceano Pacifico, era stata investita senza danni dal quarto terremoto più forte mai registrato, 9.0 Richter (30mila volte l’energia sprigionata da quello dell’Aquila), cui è seguito uno tsunami catastrofico che ha spento i sistemi di sicurezza. Si tratta di una coincidenza che nel nostro pur sismico paese è pressoché impossibile, sia per le diverse condizioni delle nostre faglie che per la minor massa d’acqua che possa essere scossa nel Mediterraneo. Ciò nondimeno, la massa di fake news amplificata dai media europei ed italiani, che parlavano di un Giappone distrutto e svuotato, ha avuto una presa notevole [11].

6. La coincidenza fra la guerra russo-ucraina, le epitomi sempre più manifeste del cambiamento climatico e i rincari parossistici del prezzo dell’energia hanno imposto, ancora una volta, di riconsiderare il tema. Continuano a non mancare, tuttavia, voci dissonanti, fondamentalmente incentrate su un certo fideismo a favore delle energie rinnovabili. Fonti senz’altro necessarie, ma neanche lontanamente sufficienti per il fabbisogno energetico della nostra società e, di conseguenza, del tutto insufficienti per abbandonare le inquinanti fonti fossili.

Si tratta di un fabbisogno che, ricordiamo, non è da ricollegarsi necessariamente a consumi voluttuari, quali televisori enormi, cellulari complessi, PC onnipresenti e condizionatori al massimo della potenza nelle giornate estive, ma anche – per esempio – a pratiche mediche salvavita. I ben noti macchinari per la terapia intensiva anti-covid, così come anche le incubatrici per i neonati prematuri o i respiratori, non funzionano certo a manovella.

7. Partiamo dunque da un presupposto. L’energia nucleare è una delle poche fonti al mondo ad impatto zero per quanto concerne la sua produzione.

Com’è noto, l’anidride carbonica (CO2) rappresenta uno dei gas maggiormente responsabili del riscaldamento globale [12]. Questo gas rappresenta il sottoprodotto del processo di combustione nella quale composti a base di carbonio, reagendo con l’ossigeno, liberano energia termica che può poi essere convertita in parte in energia elettrica.

Nelle reazioni nucleari, la produzione del calore non avviene per combustione ma tramite i processi di fissione, vale a dire di rottura di nuclei atomici pesanti in nuclei più leggeri, o di fusione, quindi di combinazione di due nuclei leggeri in un nucleo più pesante [13]. Questo processo non comporta alcuna produzione di gas – le nuvole bianche che fuoriescono dalle torri di raffreddamento degli impianti nucleari sono solo vapore acqueo necessario nei processi termodinamici – pertanto non contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica o di altri elementi inquinanti tipici della combustione.

Le uniche fase della filiera nucleare nella quale si ha emissione di CO2 sono quelle legate all’estrazione dell’uranio e alla movimentazione del combustibile, ma con quantitativi infinitesimi per unità di energia prodotta, specie se comparati a quelli associati alla filiera degli idrocarburi.

8. A questo punto, si rende necessaria un’ulteriore specificazione. Fra le fonti ad impatto zero, l’energia nucleare è una delle poche a garantire efficienza e costanza. L’energia nucleare, infatti, può essere prodotta in qualsiasi stato atmosferico, a ciclo continuo.

All’interno del processo di definizione del mix energetico di uno Stato è necessario distinguere due esigenze specifiche e complementari: una fonte costante in grado di erogare un ben definito livello di potenza indipendentemente dal periodo del giorno e dalle condizioni stagionali; delle fonti variabili in grado di assecondare i picchi di richiesta tipicamente presenti in specifici momenti della giornata.

Attualmente i sistemi energetici che sono in grado di erogare una potenza costante nel tempo sono tipicamente derivanti da combustione di idrocarburi e da fissione nucleare. Le fonti rinnovabili, per loro specifica natura, offrono una produzione discontinua nel tempo e condizionata ad aspetti specifici geografici e metereologici. Inoltre, il consumo di suolo derivante da uno scenario totalmente rinnovabile (solare e vento) sarebbe eccessivamente gravoso. Basti pensare che, per pari potenza elettrica istantanea, un impianto nucleare richiederebbe circa l’1.5% della superficie media di un impianto fotovoltaico.

Questo significa che un impianto fotovoltaico con potenza media e costante di 7.5 gigawatt (GW) richiederebbe una superficie equivalente di 75 kmq, pari a poco meno della metà dell’intera superficie della Città di Milano, laddove la medesima energia è prodotta da una centrale nucleare di 1-3 kmq. Questo parametro è calcolato solo in termini di potenza istantanea: in termini di pareggio di potenza media la superficie richiesta dai sistemi fotovoltaici sarebbe naturalmente maggiore.

Data le specifiche fluttuazioni temporali della richiesta media di potenza elettrica appare quindi evidente come uno scenario totalmente rinnovabile risulti di difficile implementazione. La strategia vincente, per garantire l’adeguato livello di potenza elettrica ed il rispetto degli obiettivi di una concreta riduzione della CO2, deve necessariamente passare per una combinazione sinergica delle due tecnologie, come ampiamente dimostrato in studi universitari soggetti a revisione indipendente [14]. In questa strategia i processi a fissione nucleare possono rappresentare un importante contributo che va a sostituire il fondo energetico attualmente garantito dalle centrali termoelettriche associate ad emissione di gas climalteranti. L’eccesso di potenza richiesta, tipicamente coincidente con i periodi diurni di isolazione, possono essere solo così efficientemente compensati dalle fonti di energia rinnovabile.

9. Nel punto precedente, si è evocata la questione degli impianti. Tanto ci spinge a dover elaborare un doppio punto: la predisposizione di impianti per la produzione delle energie rinnovabili prevede anch’essa l’emissione in ambiente di anidride carbonica e di prodotti inquinanti. Basti pensare a com’è fatto un pannello solare, composto di metalli molto pesanti, o all’impatto paesaggistico delle pale eoliche. Lo stesso vale per la costruzione di centrali nucleari, ben inteso: ma l’inquinamento e l’impiego di risorse volto alla costruzione di centrali nucleari presenta un impatto inquinante e – come in parte già ricordato – di consumo di suolo di gran lunga inferiore rispetto a quello della maggior parte delle energie rinnovabili, per non parlare della possibilità della progressiva dismissione di quelle a combustibile fossile.

10. Il dibattito pubblico si sofferma, nel parlare del nucleare, sulle scorie e sui relativi problemi allocativi.

Si tratta, tuttavia, di un problema in larga misura esagerato: non solo le scorie ed i rifiuti prodotti da centrali nucleari in attività sono esigui rispetto ad altre forme di rifiuto ed estremamente compatti, quindi immagazzinabili in poche are di terreno, ma per giunta vengono stoccate in contenitori schermati resistenti ad urti particolarmente intensi (quale, per esempio, quello da incidente ferroviario o aereo) che rendono l’impatto della radioattività sull’ambiente circostante non dissimile dal fondo naturale.

11– Un ultimo punto si rende utile e particolarmente interessante per i lettori del sito di un Centro Studi dedicato al beato Rosario Livatino. Il dibattito pubblico spesso insiste sulla tesi della improponibilità di un’attività come la produzione di energia nucleare in un tessuto sociale inquinato dalla mafia.

Posto non esiste modo migliore per darla vinta alla disonorevole società che rinunciare allo sviluppo economico e tecnologico per paura delle loro infiltrazioni, ricordando quanto le cosche prosperino in situazioni di povertà e disperazione [15] pur se prive di occasioni per “diversificare gli affari”, vi è da considerare un dato. Le infiltrazioni mafiose nell’economia lecita abbondano in attività produttive a bassa specializzazione [16]. Non è un caso che siano rinvenibili in abbondanza nell’agricoltura (si pensi al fenomeno del cd. caporalato), nella ristorazione, nel settore turistico, nell’edilizia e nello stoccaggio illecito e casuale dei rifiuti.

Ben più difficile è, invece, l’inserimento nella grande industria ad elevata specializzazione, per giunta sottoposta a controlli internazionali, della quale la produzione di energia nucleare e lo stoccaggio delle relative scorie con il controllo della IAEA sono manifestazioni esemplari. Si tratterebbe, anzi, di un’attività industriale che, offrendo lavoro e generando ricchezza, nonché soppiantando altre forme di produzione di energia a più bassa specializzazione e quindi – esse sì – permeabili ad infiltrazioni criminali, sottrarrebbe alle mafie una notevole porzione di mercato.

12. Volendo trarre le fila del discorso, è possibile riproporre il motto presente nel titolo: l’energia nucleare per lo sviluppo, per l’ambiente e per la legalità. Sostenere il contrario è frutto, nel migliore dei casi, di una disinformazione tanto “intuitiva” quanto banalizzante e semplicistica.

Una risposta che combini i fabbisogni energetici del domani con la necessità di minor inquinamento non può consistere in un “abbandono”, perseguendo una “frugalità” che farebbe piombare l’intera società in un regresso profondo, né può essere ottenuta mediante formule fra il magico e l’ideologico. Problemi complessi richiedono soluzioni articolate ed intelligenti: il mix fra rinnovabili e nucleare ne è l’esempio.

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[1] Cfr., per una presentazione giornalistica della vicenda, Luca Angelini, Greta Thunberg: meglio il nucleare del carbone, cosa ha detto e perché il fronte green si spacca, in Corriere della Sera- L’Economia, 13 aprile 2022, online alla URL https://www.corriere.it/economia/consumi/22_ottobre_13/greta-thunberg-meglio-nucleare-carbone-cosa-ha-detto-perche-fronte-green-si-spacca-76547760-4abf-11ed-af07-ed29c94b727b.shtml .

[2] Per una divulgazione dal taglio più spiccatamente scientifico-sperimentale ed approfondita, si rimanda ad una delle principali fonti d’informazione consultate dagli autori: Luca Romano, L’avvocato dell’atomo. In difesa dell’energia nucleare, Fazi Editore, Roma, 2022.

[3] Una prospettiva efficace è offerta da Carlo Stagnaro, Ambiente e dipendenza dalla Russia. L’irresponsabilità della Germania sul nucleare, in Il Foglio, 12 aprile 2022, online all’indirizzo https://www.ilfoglio.it/esteri/2022/04/12/news/ambiente-e-dipendenza-dalla-russia-l-irresponsabilita-della-germania-sul-nucleare-3900629/ .

[4] Per un primo riscontro culturale, cfr. la voce Fermi, Enrico dell’Enciclopedia on line dell’Istituto Treccani, consultabile alla URL https://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-fermi/ . Si consiglia inoltre ai lettori la visione del pregevole sceneggiato RAI in due puntate I ragazzi di Via Panisperna, 1988, diretto da Gianni Amelio, sceneggiatura di Vincenzo Cerami, con Ennio Fantastichini nei panni di Fermi e Andrea Prodan in quelli di Ettore Majorana.

[5] Cfr. Chernobyl’s Legacy: Health, Environmental and Socio-Economic Impacts and Recommendations to the Governments of Belarus, the Russian Federation and Ukraine, a cura del Chernobyl Forum, seconda edizione rivista 2003-2005, consultabile alla URL https://hps.org/documents/chernobyl_legacy_booklet.pdf (lingua inglese).

[6] Onde evitare il rinvio a suddette fonti, cfr. L. Romano, L’avvocato dell’atomo, cit., pp. 49-50: tali studi, per esempio, si basavano sul solo incremento di mortalità nell’ URSS (fino al 1991), nella Federazione Russa (dal 1991), in Bielorussia e Ucraina negli anni seguenti al 1986, senza tener conto, per esempio, della fulminante crisi economica e dell’impennata dell’alcolismo che riguardarono tali Paesi in quegli anni, peraltro senza indagare sul nesso di causalità radiazioni di Chernobyl-tumori (!).

[7] Si raccomanda la visione della lezione del Prof. Sergio Cova, emerito di elettronica presso il Politecnico di Milano, dal titolo “1960-2010 Esperienze di elettronica: tecnologia, arte e frammenti di storia”, nella quale l’accademico opera una ricostruzione storica raccontando i suoi primi anni di lavoro presso il CISE, Centro Informazioni Studi ed Esperienze: https://www.youtube.com/watch?v=6du4PHZqhBA

[8] Sito web dell’agenzia: https://www.iaea.org/

[9] Testo consultabile sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 13 del 14 gennaio 1983, nella sua forma informatizzata: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1983/01/14/083U0008/sg

[10] Testo consultabile sul supplemento ordinario n. 152/L alla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25 giugno 2008, nella sua forma informatizzata: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2011/03/31/011G0074/sg

[11] Cfr. la cernita proposta da L. Romano, L’avvocato dell’atomo, cit., pp. 57-63.

[12] Gli Autori fanno riferimento a quanto sostenuto dalla quasi totalità dell’opinione scientifica e, nella specie, dalla totalità assoluta delle pubblicazioni sottoposte a revisione interazione.

[13] Un riscontro utile, preciso e sintetico è reperibile sul sito del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica: https://www.mase.gov.it/pagina/fissione-e-fusione-nucleare

[14] Si citano, a titolo d’esempio, le ricerche condotte da Giuseppe Zollino, professore associato di elettrotecnica presso l’Università di Padova, sui mix energetici ottimali per lo scenario italiano: cfr. per esempio https://www.rivistaenergia.it/2022/06/qual-e-il-mix-elettrico-piu-economico-per-unitalia-co2-free/

[15] Richiamiamo A. Mantovano – D. Airoma, Irrispettabili. Il consenso sociale alle mafie, Soveria Mannelli, 2013, 105.

[16] Esemplare, sul punto, è l’affermazione di C. Visconti, “La mafia è dappertutto”. Falso!, Roma-Bari, 2016, pp. 43-44: l’A. riprende le conclusioni raggiunte in plurimi studi da Rocco Sciarrone, ordinario di sociologia dei processi economici e del lavoro presso l’Università di Torino, affermando che i mafiosi, oltre a non essere imprenditori particolarmente abili, si inseriscono prevalentemente in settori a bassa tecnologia e dominati da imprese medio-piccole, strettamente legati al territorio e con una regolazione pubblica pervasiva. La produzione di energia nucleare si pone all’opposto di tre di questi quattro requisiti.

(**) Il Dr. Francesco Camplani dedica il presente articolo divulgativo alla memoria di suo nonno, l’Ing. Angelo Camplani (1934-1998), dirigente ENEL e pioniere dell’energia nucleare, autore di numerose voci per l’Enciclopedia italiana (ed. Treccani) sul tema della produzione di energia elettrica (https://www.treccani.it/enciclopedia/energia-elettrica_res-67a29516-87e9-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Enciclopedia-Italiana%29/ ).

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Per approfondire:

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