Evita Peron: sempre con i deboli e gli umili

Eva_PeronLa Pieve del ricusante  23 giugno 2013

Fausto Belfiori

Finalmente un libro in cui si esalta il populismo nella persona che fu idolatrata da milioni di compatrioti; in una “bruttina” che seppe apparire talmente bella, anzi, bellissima da affascinare più di un’attrice. Sapeva convincere: non soltanto con un sorriso solare, ma soprattutto con un linguaggio semplice e al tempo stesso concreto.

Negli anni in cui Che Guevara cresceva nell’odio e gli intellettuali alla Borges erano immersi nel sogno di un conservatorismo all’inglese adattato alle sponde del Rio de la Plata, Eva Perón – di lei parla con documentazione e passione lo studioso Giuseppe Brienza (cfr. Evita Perón, populismo al femminile, I Libri del Borghese, Edizioni Pagine, Roma 2012, pp. 120, Euro 14,00) – si alimentava spiritualmente inserendosi nella vita del suo paese e studiando i non lievi e non pochi problemi delle donne argentine che con i padri, i fratelli ed i mariti condividevano soltanto i triboli. E si batté per loro sugli spalti della solidarietà, senza ricorrere all’ideologia femminista che esaspera nella sua esclusività.

Aveva trascorso un’infanzia e una adolescenza nelle privazioni della miseria e dell’emarginazione. E la sua giovinezza non fu migliore sino all’incontro – descritto nell’autobiografia “La razòn de una vida” – con l’uomo che fissò il suo destino: Juan Domingo Perón, un soldato giunto ai vertici della gerarchia militare non limitandosi ad assolvere i doveri di un uomo d’armi, ma partecipando con la mente e con il cuore anche ai dibattiti ed ai confronti della società civile. Perón, infatti, si mostrò fin dall’inizio del suo impegno politico sensibile alla realtà complessa e drammatica delle classi subalterne.

Nella sua battaglia si trovò costantemente al suo fianco Evita, divenuta sua consorte, nel senso pieno della parola: Juan fu il marito, ma anche il capo del movimento giustizialista da lui fondato ed il presidente della repubblica argentina. Le donne, giovani e anziane, capirono che finalmente alla Casa Rosada, abitazione del capo dello Stato, c’era una di loro: una signora dai modi gentili e dalle idee coraggiose.

Lontano dall’animosità classista e diffidente verso le soluzioni collettivistiche, si ispirò fedelmente agli insegnamenti cristiani accogliendo le indicazioni pastorali delle encicliche sociali di Leone XIII e di Pio XII. Nacque così la Fondazione che prese il suo nome: Maria Eva Duarte de Perón.

Papa Pacelli, quando la “Giovanna d’Arco di Buenos Aires” – così la definì un giornale sudamericano – venne a Roma per rendere omaggio al Pastor Angelicus, ebbe parole di lode per il regime giustizialista esortando l’ospite a continuare nell’opera moralmente e socialmente realizzatrice: una vera crociata contro la quale si pronunciarono tutti i potentati dell’est e dell’ovest. Opera che soltanto il sopravvento di un morbo inesorabile riuscì ad interrompere.

E’ merito di Giuseppe Brienza avere con il suo saggio contribuito a ricomporre il vero profilo di una donna che non è stata dimenticata. Ne è conferma l’omaggio continuo che viene reso presso la sua tomba da persone di ogni ceto sociale.