Il Padre liberatore e garante della democrazia

padre_con_figlioStudi Cattolici n.626 Aprile 2013

II celebre psicoanalista Claudio Risè, intervistato da Riccardo Caniato, spiega le linee portanti del suo nuovo libro, Il padre. Libertà – dono (Edizioni Ares, pp. 192, euro 14), in cui documenta l’insostituibile ruolo del padre, oggi purtroppo assai appannato, per l’educazione del figlio alla libertà e alla responsabilità sociale.

Sull’argomento intervengono tre autorevoli studiosi: Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra che per Ares ha pubblicato i best seller  La famiglia imperfetta e La coppia imperfetta, analizza anche psicologicamente il ruolo genitoriale svolto da san Giuseppe nei confronti di Gesù; il medico-psichiatra Franco Poterzio, già docente di Psicopatologia generale e Igiene mentale, puntualizza con estrema chiarezza la complementarità dei ruoli paterno e materno per l’equilibrato sviluppo psicologico dei figli; lo psicoanalista Panajotis Kantzas, presidente della Società italiana di Psicologia politica, mette in relazione la crisi del ruolo paterno con il deficit dell’autorità sociale. L’apporto della letteratura alla riflessione sui rapporti generazionali è offerto dal racconto di Alessandro Rivali (p. 262), che completa il dossier. [n.d. Rassegna Stampa: è qui riportato il solo intervento di Franco Poterzio]

A cura di Riccardo Caniato

Professore, un nuovo libro sul padre, perché è urgente parlarne?

Perché siamo di fronte a un’emergenza sociale. «Dobbiamo fare di più per incoraggiare la paternità. Ciò che fa di te un uomo non è la capacità di generare un figlio. È il coraggio di crescerlo. Famiglie forti creano comunità forti». Non sono parole di un conservatore attardato, ma del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il quale ha sentito il bisogno di dirle e insistervi nel suo recente «Discorso sullo Stato dell’Unione», il primo dopo la rielezione (contraddicendo così altre sue note posizioni sulla famiglia, maggiormente destinate alla propria immagine mediatica).

Gli Stati più avanzati (anche nella disgregazione famigliare) devono però riconoscere – seppur tra mille contraddizioni – il loro «bisogno di padre», almeno per evitare guai peggiori. L’Occidente è impantanato in una liquidazione (in parte autoliquidazione) della figura e responsabilità paterna che ha contribuito alla disgregazione famigliare, al crescente disagio psicologico, e all’avvento di quella «società liquida» nella quale identità e sentimenti perdono le proprie forme trasformando il campo delle relazioni in quella «terra di nessuno» di cui parla Pietro Barcellona nella forte prefazione che ha fatto al mio libro.

Nel suo libro risale a un archetipo paterno rintracciabile nell’arco della cultura occidentale dall’Esodo biblico e dal Cristianesimo fino a noi… Che cosa incarna questo archetipo?

Rappresenta la figura dell’origine e dello sviluppo umano. Il Padre che ti mette nel mondo, ti riaccoglie e ti conforta nel corso della vita, fornendoti le energie e le direzioni necessarie a rimanere liberamente capace di amare e donare e aiutandoti a capire il senso della perdita, e anche della morte.

Come è vista la figura del padre oggi, perché è profondamente in crisi?

Fondamentalmente perché il modello tecnoscientifico oggi dominante nella cultura occidentale rifiuta l’idea dell’uomo come «creatura», e accarezza l’idea di un’umanità onnipotente e superiore a tutto. Da qui la rivolta contro il Padre archetipico, Dio (considerato il prodotto dell’immaginazione di pochi squilibrati), e l’emarginazione della sua temporanea controfigura umana, il papà.

Da questa crisi del padre Lei fa dipendere anche la crisi della coppia, della famiglia e dei giovani che attraversa la società contemporanea…

Senza il padre lo sviluppo della stessa capacità di relazione viene fortemente limitato. Le statistiche dei malesseri psichici che colpiscono le attuali società senza padri lo provano ampiamente. Il disturbo di personalità narcisistico è oggi presente in modo endemico nel mondo occidentale, e ugualmente diffuse sono le molte forme di disturbo presenti nel cosiddetto «spettro autistico». Entrambi i disagi riducono e in qualche caso annullano la capacità di relazione, sostituendola con dipendenze più o meno feroci.

All’origine di tutto ciò ha grande importanza l’assenza di un padre capace di aiutare il figlio a uscire dalla simbiosi con la madre, nella quale si trova nella formazione prenatale e subito dopo la nascita. La simbiosi si trasforma poi in una fusione psicologica e affettiva, di grande rilievo nel primo periodo della vita, ma che deve lasciare gradualmente spazio alla formazione di una personalità autonoma. Il padre è indispensabile perché questo processo avvenga armonicamente.

Anche la figura materna sembrerebbe molto provata, con la donna che lavora sottoposta a uno schema maschile ed espropriata del suo ruolo centrale nella vita domestica, affettiva e materna appunto…

Infatti la donna che accetta il modello, fortemente finora raccomandato, della famiglia «divorziabile», resta spesso sola. Frequentemente, non c’è un uomo che aiuti neppure lei a uscire con l’amore dalla simbiosi col figlio, una situazione che durante la gravidanza e subito dopo è una preziosa esperienza di realizzazione femminile, ma poi diventa una pesante dipendenza per entrambi, madre e figlio.

Nel modello della «famiglia liquida» spesso non c’è più (o non c’è mai stato) un marito, un uomo che sia padre al figlio e stabile compagno per la donna. Le «carriere» professionali, d’altra parte non considerano e non tutelano la sua identità femminile (se non per ingabbiarla dentro «quote» a volte umilianti) e materna, non scostandosi dai criteri rigidamente performativi richiesti ai maschi. Tutti, donne, uomini, figli, si ritrovano così molto spesso soli, e contemporaneamente dipendenti (da persone, ruoli, sostanze etc.), proprio per-ché non hanno fatto l’esperienza di legami affettivi forti, personali: gli unici in grado di formare individui davvero liberi.

Nel suo libro ha affrontato un tema nuovo e molto curioso: si è soffermato sui casi di possessione guariti da Gesù nei Vangeli e ha notato delle coincidenze molto forti con i disturbi psichici più diffusi nella nostra società. Vuoi ricordare brevemente qualche esempio?

L’uomo che vaga tra le tombe di Cerasa percuotendosi con le catene che ha spezzato rappresenta bene le forme autodistruttive che prendono spesso forma tra i rimpianti di un passato non più attuale. La madre siro-fenicia divorata dall’ansia per la figlia ribelle è la perfetta rappresentazione di una fusione psicologica madre-fìglia prolungata oltremisura, che Gesù interrompe esigendo dalla madre un atteggiamento non invasivo e più umile. Così come il «demone muto» che possiede il ragazzo portato a Gesù dal padre rappresenta con precisione aspetti delle forme autistiche negli adolescenti. Si tratta di disturbi antichi come l’umanità, la cui cura richiede il controllo e la trasformazione di spinte istintuali a cui non a caso Freud, l’ateo fondatore della psicoanalisi, attribuiva una «forza demoniaca».

UN «ESODO» VERSO LA LIBERTÀ

Venendo all’attualità Lei fa invece alcuni riferimenti alle stragi verificatesi negli Stati Uniti a opera di adolescenti e, anche in questo caso, rinviene negli esecutori le tracce dell’assenza della figura paterna…

Purtroppo è un dato di fatto. Le statistiche della Confederazione degli Stati Uniti rilevano come nel gruppo di testa di tutti gli atti aggressivi e autoaggressivi si trovino persone cresciute in case dove non c’era il padre. Anche in queste cronache, che ripercorro nel libro, domina la rabbia contro una madre da cui questi ragazzi sono rimasti dipendenti, e contro gli altri bimbi visti come competitors nell’amore della madre e spesso aggrediti e uccisi…

In relazione agli episodi evangelici e a questi fatti recenti Lei mette qui in rapporto di causa-effetto la malattia psichica come conseguenza della perdita della libertà… In questo contesto il padre si staglia come potenziale efficace strumento di guarigione, proprio perché figura liberatrice, apportatrice di libertà…

La malattia si sviluppa quando l’individuo non può agire liberamente, ma è «coatto», posseduto da affetti e pulsioni «slegate» (non controllate dalla coscienza) che lo costringono ad agire in un certo modo. In queste «schiavitù» pulsionali e affettive il Padre rappresenta la forza di vita e d’amore all’origine della nostra storia, il depositario e custode del nostro destino di libertà in quanto suoi figli. La psiche profonda lo cerca quando l’uomo si trova nella sofferenza della dipendenza e della malattia. Il Padre ci offre una forza di cambiamento e di guarigione (la ricchezza del padre del figliol prodigo), che ritroviamo quando ci rivolgiamo a lui. Dopo un percorso che è sempre un «Esodo», un’uscita dalla schiavitù della dipendenza da aspetti materiali, secolari, che non rispettano la nostra libertà.

Lei dice che lo Stato, dalla Rivoluzione francese in poi, è nemico del Padre, perché il fine della libertà è trasmettere appunto autonomia e responsabilità, mentre lo Stato tende a formare una società indistinta, di schiavi al proprio servizio… Ho capito bene?

La modernità è tendenzialmente autoritaria, omologante, moltiplica i controlli, le norme che dirigono ogni aspetto della vita umana. L’aveva ben capito Michel Foucault, indagando per primo il «biopotere», l’estensione del potere dello Stato sulla vita anche intima, sessuale dell’uomo. Verso il controllo e la direzione dell’intima vita umana si sono orientati da tempo la politica, il diritto, la legislazione, la tecnica. Fino a entrare in modo  sempre più invadente nella riproduzione umana, cercando di sostituire con interventi tecnici l’atto fondativo della vita e dei legami effettivi, l’incontro d’amore tra uomo e donna. I grandi totalitarismi, con la loro passione per l’eugenetica e i loro stermini di massa, sono un’espressione degli Stati moderni. Le organizzazioni burocratiche di massa, come gli Stati moderni, se non sorvegliati dalla passione per la libertà del Cristianesimo, producono schiavitù di massa…

In altre parole la figura paterna sarebbe un katekon (baluardo) della democrazia?

È un fatto che i grandi sistemi totalitari, comunismo e nazismo, hanno cercato di ridurre il padre a funzionario di partito. Altrimenti andava denunciato, magari dalla moglie o dai figli, e privato di ogni carisma.

Ed è sempre in questo senso che Lei vede un’operazione culturale ben precisa – di matrice ideologica – dietro all’indifferenziazione dei generi maschile e femminile oggi in atto? In che cosa Lei riconosce oggi i segni di un totalitarismo strisciante?

Maschile e femminile, con le loro rispettive forze vitali, affettive e simboliche, perpetuano i saperi legati ai legami naturali, quindi il valore della libertà personale, tenendo così lo Stato al suo posto, di natura strettamente funzionale. Ciò non viene, però, accettato dalla volontà di potenza delle burocrazie nazionali e sovranazionali della modernità, oltre che dagli interessi economici legati alla sostituzione del laboratorio alla riproduzione naturale.

Di qui le biopolitiche di indebolimento delle identità tradizionali, maschile e femminile, quotidianamente rivelata da procedure e fatti per lo meno curiosi. Per esempio, il fatto che alla Comunità europea si lavori senza nessuna esplicita informazione e autorizzazione dei popoli interessati a una nuova carta d’identità (sembra che dovrebbe entrare in vigore nel 2016), in cui il termine sesso dovrebbe essere sostituito con la dizione IG (identità di genere), e i termini maschio e femmina con cinque (pare) generi di orientamento sessuale.

Bisogna essere molto ingenui, oppure molto in malafede, per presentare simili iniziative come liberali, e non vedere come gli organi di controllo statuali e sovranazionali passino in questo modo dall’osservazione del dato biologico (con la sua oggettiva neutralità) a quello psicologico e affettivo, trasformando dati personali in fatti ufficiali, di cui quindi si informano le pubbliche autorità. Sarebbe la prima volta che nella storia umana si produce una simile invasione dell’intimità perso­nale. Oltretutto contribuendo a «fissare» aspetti tutt’altro che stabili nella psiche umana, come appunto l’orientamento sessuale.

ASFISSIA TARDO ILLUMINISTA

Eppure ci sono anche segnali e fatti diversi.Per esempio, fino a poco tempo fa le madri, in caso di separazione dal marito, erano generalmente premiate nell’affidamento dei figli, come se fossero il vero e unico agente educativo e di crescita. Ma ora questo modello sembra andare in crisi, e oggi si parla sempre più spesso di affido congiunto e di coinvolgimento del padre. Che cosa sta accadendo?

L’affido congiunto, che esisteva già da anni nella maggior parte degli Stati europei, non era più rinviabile. Molti genitori lo chiedono e sono ormai noti in campo pedagogico, educativo, psicologico e medico i danni provocati dall’eliminazione di uno dei genitori. Inoltre le iniziative dei padri separati e discriminati nelle decisioni giudiziali hanno dato visibilità a un problema umano e politico, appunto l’eliminazione sistematica del padre, non perpetuabile in quel modo plateale in un regime democratico. Si è quindi proceduto – con grande fatica – a riconoscerlo per legge. Va peraltro ricordato che molti tribunali si rifiutano tuttora di applicarla.

In definitiva Lei conclude che oggi come sempre «serve un padre per differenziarsi dalla madre e riconoscere il proprio sé»… Ci spiega?

Ognuno di noi nasce unito alla madre. La formazione dell’Io, della coscienza e personalità individuale, è un lento processo di separazione e differenziazione dalla fusione originaria madre-figlio. Certamente ricca e preziosa, ma dalla quale poi occorre uscire per evitare danni psichici anche molto gravi. Per nascere come persone e riconoscere il proprio personale destino. questo libro è quello di riabituarci a guardare ai fenomeni della vita (come i suoi personaggi: madre, padre, figlio) con stupore e mistero, senza pretendere di spiegare e trovare «ragioni» per tutto. «Le ragioni», diceva Falstaff, «sono comuni come le more». Siamo tutti vittime di un tardo illuminismo, estenuato, che considero asfissiante. Per questo il libro inizia con una mia poesia sul padre, che propone per questo incontro uno sguardo forse più innocente e affettivo

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IL PADRE, LA MADRE. NON CONFONDERE RUOLI E COMPITI 

di Franco Poterzio

La figura del padre esiste nella specie umana con un suo ruolo specifico, che va molto oltre quello riproduttivo e anche accuditivo, in alcuni casi, degli animali. Nella specie umana il padre è per sempre. Più che assistenziale o collaborativo, il ruolo del padre si colloca a un livello psicologico come momento essenziale per l’unità della famiglia, l’armonia della coppia e la giusta maturazione della prole. Tra le diverse aggregazioni reperibili nel genere umano si trova un livello più alto di civilizzazione e una più stabile identità personologica dei singoli individui proprio in quelle società formate da famiglie monogamiche a capo delle quali ci siano un padre e una madre.

Padre e madre hanno pertanto ruoli differenti. Non prendere in considerazione questo fatto confondendo il ruolo con i compiti domestici produce non pochi danni all’equilibrio mentale della coppia e della prole. L’ideologia paritaria, con le proteste femministe in opposizione polemica alle posizioni vetero-maschiliste degli ultimi decenni, ha scardinato il relazionarsi complementare, simmetrico, paritetico, reciproco della coppia coniugale. E così oggi, nell’organizzazione della famiglia umana, si assiste a una particolare latitanza della figura paterna oppure alla sua riduzione nel contesto famigliare alle mere mansioni domestiche condivise con la moglie

Questo fenomeno, in deciso aumento ai nostri giorni, può essere ricondotto a numerose cause, prima fra tutte la confusione tra ruoli e compiti e, in secondo luogo, alla cosiddetta uguaglianza tra i sessi. A complicare un complementare interagire della coppia intervengono naturalmente numerosi altri fattori correlati alle trasformazioni sociali e all’incremento della mobilità sociale orizzontale e verticale.

Il problema tuttavia non è soltanto di organizzazione sociofamigliare: è antropologico, psicologico e spirituale. Già il 31 maggio 2004 nel documento sulla «collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo», l’allora card. Ratzinger scriveva: «Per evitare la supremazia dell’uno o dell’altro sesso si tende a cancellare la differenza considerata l’effetto di un condizionamento socioculturale: differenza corporea — sesso — minimizzata a dimensione culturale – genere – ritenuta primaria».

Più avanti proseguiva: «Non si può dimenticare che l’intreccio delle due attività – la famiglia e il lavoro — assume nel caso della donna caratteristiche diverse da quelle dell’uomo. Armonizzare legislazione e organizzazione del lavoro con le esigenze della donna all’interno della famiglia non è solo un problema economico, giuridico e organizzativo, ma è primariamente un fatto di cultura, mentalità, rispetto».

Negli ultimi decenni si sono verificate alcune trasformazioni nei ruoli di uomo e donna in seno alla famiglia nel senso di un deficit di identità virile nell’uomo e di una specie di virilizzazione della donna. Ne è derivato un progressivo appannarsi della figura del padre. Alcuni fenomeni sono bene evidenti sul piano delle relazioni sociali:

– preponderanza notevole del sesso femminile nel rendimento scolastico (dato il fisiologico precoce sviluppo maturativo — almeno tre anni di vantaggio — della ragazza rispetto al coetaneo maschio).

– Gestione dell’insegnamento scolastico prevalentemente affidata a docenti di sesso femminile.

– Conduzione materna e spesso matriarcale del contesto famigliare.

– Prolungati periodi di frequentazione tra donne e uomini, tra ragazzi e ragazze, confluenti in successive convivenze senza esiti in fidanzamento e matrimonio (bisogna annotare che in queste situazioni l’esercizio della sessualità si colloca a livello puramente ludico).

– Scarso desiderio di generare figli, in taluni casi appena percepito a livello di fantasia o di battuta spiritosa. Altre volte tale prospettiva viene mentalmente dilazionata nel tempo più avanti possibile.

– Separazioni precoci e ultraprecoci delle coppie conviventi o delle coppie coniugali.

– Separazioni matrimoniali tardive dopo intense e travolgenti relazioni extraconiugali  in uomini e donne adulti, con prole, con stabile ruolo professionale, ma terribilmente intolleranti l’uno dell’altra e viceversa.

– Formazione di nuove coppie in età avanzata.

Viene da chiedere: non è mai esistito e non esiste un padre in queste situazioni? Ovvero: non c’è un uomo che abbia maturato un ruolo virile e paterno valido che si complementi gioiosamente e stabilmente con quello di una donna, della sua donna al fianco del suo uomo, secondo un progetto di amore, di costruttiva e realistica convivenza, di accurata vigilanza sull’incremento affettivo della coppia e di tutto il contesto della famiglia?

PSICOSESSUALITA’ STRAVOLTA

Una delle spiegazioni possibili a queste diffuse situazioni è reperibile in un fenomeno particolarmente frequente nella società occidentale di oggi in cui la sessualità viene sottoposta a pesanti riduzioni concettuali e scarsamente differenziata tra uomo e donna nel substrato culturale della società. Si è venuto a creare così tutto un movimento di opinione che ha trasformato non poco i rapporti tra uomo e donna a livello sociale e famigliare. La posizione dell’uomo è divenuta gradualmente satellitare rispetto al mondo affettivo ed emotivo del pianeta donna secondo la prospettiva delle relazioni interpersonali affettive e famigliari.

Diversa invece la reciproca posizione sul piano sociale, pubblico e lavorativo, per certi aspetti al rovescio di quella privata, dell’incontro e dell’interazione tra uomo e donna. Destituire l’istinto sessuale dalle sue intrinseche caratteristiche di donatività, di unitività, di reciprocità, di pariteticità, di intimità, di conoscenza, di scambio affettivo, di totalità, sottraendolo agli inevitabili agganci con l’etica e la trascendenza spirituale significa snaturarlo e ignorarne lo specifico umano.

Possono cambiare in conseguenza, secondo multiformi aspetti, di fronte a una degradata antropologia della sessualità, con lo sbiadirsi del ruolo del padre e l’intercambiabilità dei ruoli, proprio le qualità e la specificità dei rapporti tra uomo e donna, soprattutto all’interno della famiglia. Opportunamente annota Claudio Rise (cfr II padre. L’assente inaccettabile, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 55): «Ma cosa mai può essere il padre in una famiglia siffatta? Era inevitabile che a quel punto egli diventasse semplicemente un amministratore, un procuratore di reddito (provider) per il nucleo della famiglia “ristretta” o “piccola” che prende gradualmente il posto della famiglia “grande” (comprendente anche tutti coloro che della famiglia e delle sue sostanze avevano bisogno) […]. La fine della famiglia patriarcale e la secolarizzazione del padre coincide con l’affermarsi del modello di “intimità domestica” che porta alla famiglia nucleare attuale […]. È all’interno di questo processo di ripiegamento della famiglia su sé stessa e di sviluppo al suo interno dei diversi egoismi che prendono forma contemporaneamente, per l’esattezza nell’Inghilterra del 1690, il femminismo, il divorzio stabilito per legge dal Parlamento e il processo per adulterio».

INFERIORITÀ DEL MASCHIO

II giovane uomo, sin da ragazzo, vive dunque, rispetto alla donna nella relazione vis a vis aperta alle emozioni, diversi sentimenti di inferiorità. La donna è più capace di lui nel rendimento scolastico (cfr Michel Fize, Les Pièges de la Mixité scolaire, Presses de la Renaissance, Paris 2003), nella conduzione famigliare, nella gestione dell’insegnamento, nella versatilità di poter assolvere contemporaneamente a compiti diversi, nella scioltezza del linguaggio, nel primato vittorioso nei concorsi anche quelli generalmente riservati agli uomini.

In diverse opere Claudio Rise ha più volte ribadito l’importanza vitale dell’iniziazione del giovane maschio, periodo di prova nel quale il ragazzo impara a gestire la propria aggressività, a governare e a comprendere le proprie pulsioni, a confrontarsi, a esplorare, a cercare, a guidare, ad affermare, a esperimentarsi nella solitudine con sé stesso e a collaudarsi in iniziative originalmente sortite da lui, a lottare, a intessere relazioni di amicizia oppure a guardarsi dagli infidi, a formarsi un primo abbozzo di cultura con una sua propria originale visione del mondo, con una sua primordiale filosofia, con l’esercizio di un certa personale creatività in vari campi, guadagnando progressivamente sicurezza in sé e autonomia psicologica.

Con la cessazione dell’obbligatorietà del servizio militare anche l’ultima occasione di iniziazione emancipativa nei nostri Paesi è venuta meno. L’inferiorità si palesa per trasparenza dai comporta­menti compensatori che il giovane maschio assume sin dal periodo scolastico.

– Frequentemente si verifica il ritiro sociale. Il ragazzo si dedica ad attività solitarie, soprattutto alluso del computer fino a sviluppare un vero e proprio isolamento sociale. Una nutrita serie di relazioni interpersonali avvengono in via virtuale mediante vari sistemi comunicativi. Anche le ragazze sono efficienti e abili utenti di apparecchiature elettroniche, ma non perdono le giornate e non vi si dedicano con l’appassionamento del coetaneo maschio che qui ha la sua rivincita, il luogo della realizzazione di sé, il suo habitat, il suo agio, le sue ragioni di vita, la sua stessa identità.

– Altre volte il compenso avviene in campi extra scolastici quali la pratica e l’agonismo sportivi, le associazioni di volontariato, le band musicali, l’aggregazione in gruppi primari di ogni tipo nei quali rinforzare la propria identità, sentirsi accertati e maturare un lessico comune. Tali compromessi non sono del tutto negativi e possono ben sostituire le importanti fasi dell’iniziazione emancipativa.

– Esiste ancora la possibilità, sempre più frequente ai nostri giorni anche in generazioni di giovanissimi, di compensare l’inferiorità nel bullismo, nel machismo, nelle violenze di tutti i tipi, ma, in specie, nella violenza sessuale sulle donne con la sadica pulsione di umiliarle, di disprezzarle, di oggettificarle riducendole a preda da domare e da adoperare per il proprio piacere.

– Si da luogo infine a un ulteriore compenso costituito da un costume in forte incremento e ampia diffusione negli ultimi decenni che è l’opzione omosessuale. Il fenomeno è agevolmente leggibile nella mancata identificazione nella figura paterna partico­larmente assente o debole nel sistema della coppia genitoriale, in un «complesso edipico» non risolto con mantenimento di una diade simbiotica con la madre e i suoi gusti (da cui le professioni preferite dalle persone con queste predisposizioni quali i parrucchieri per signora, i sarti da donna, i danzatori, i cuochi, gli arredatori, gli artisti, per altro capaci di prestazioni generalmente superlative), nel mantenimento di un orientamento parzialmente narcisistico con paura del diverso, nei tentativi di esorcizzare la preponderanza femminile mediante vestizioni muliebri in variopinte parate con trucchi e caratteri sessuali secondari assolutamente spropositati, vistosi, finti e provocanti, oppure all’opposto, con l’accentuazio­ne mediante abiti paramilitari, scarponi, orpelli metallici, potenti motociclette di caratteristiche spiccatamente virili supportate in alcuni da lunghi esercizi di rinforzo muscolare in palestra, con masse muscolari ipertrofiche ben esibite in pubblico.

Nel maschio la scoperta dell’orientamento sessuale verso i parisesso può avvenire ancor prima dello sviluppo sessuale e assai precocemente (cfr Antonio M. Persico, Omosessualità. Tra scelta e sofferenza, Alpes, Roma 2007, pp. 9-38), per cui la cosiddetta «opzione» avviene in momenti successivi di fronte alla graduale presa di consapevolezza delle proprie tendenze.

La diffusione e l’incremento di questi fenomeni ci conduce quasi per deduzione a concludere: quale tipo di padre sarà in grado di produrre l’attuale organizzazione della nostra società? Al di là delle contingenze storiche e dell’attuale configurazione dei nuclei famigliari si ha l’impressione di un vuoto nell’anima (ossia in tutta la personalità virile nel suo decadere antropologico: psiche e corporeità appaiono atrofiche e inadeguate di fronte alla spinta somatica e psichica, culturale e spirituale a proiettarsi nel ruolo paterno da parte del giovane maschio) dell’uomo, un particolarissima incertezza, fino all’evitamento fobico e alla procrastinazione ben oltre la maturità dell’evento generativo.

PAURE NEL PADRE

Si trova dunque in molti padri una speciale insicurezza a esercitare il proprio ruolo in seno alla famiglia: di che cosa ha paura il padre oggi per cui prende le distanze dalla sua famiglia e preferisce ignorarne i problemi considerandoli soltanto un grosso disturbo per la sua tranquillità e anche per il suo lavoro?

– Non essere in grado di educare. Non è più trasferibile ai figli l’educazione da lui ricevuta. Le circostanze esterne sono troppo cambiate. E poi: quali valori?

– Venire rifiutato dai figli. Il rifiuto risiede primieramente nella mente del genitore. Ecco allora le pratiche di accontentarli in tutto, di viziarli, di non castigarli, di non proibire nulla, di offrire loro una serie di oggetti di consumo materiali che prolunghino nell’animo del ragazzo le istanze del principio infantile e irrealistico del piacere.

– Temere eccessivamente l’influenza dei mezzi di comunicazione sociale a causa di una personale incapacità di valutazione critica e di fondare una cultura famigliare.

– Non riuscire un domani ad assicurare una posizione economica stabile e sicura ai figli quando l’eredità migliore da lasciare loro è la capacità di risolvere i problemi, di camminare sul sentiero della vita sicuri di sé, di costruire buone relazioni, di lavorare e di collaborare, di affermarsi.

– Paventare per i figli un futuro di difficoltà, malattie, disgrazie, incidenti. Vivere un eccessivo bisogno di controllo sulla prole senza essere in grado di favorirne i processi di emancipazione e di autorassicurazione.

– Guardare con timore e sospetto eccessivi i pericoli dell’ambiente esterno quali la delinquenza, la tossicomania,  lo  sfruttamento,  le prevaricazioni verbali e fisiche, essendo consapevole di non poter trasmettere alla prole un codice protettivo che renda i figli sicuri di sé, in grado di difendersi, di discriminare le insidie, ma anche di ben fruire delle occasioni favorevoli offerte dal mondo esterno.

– Non esercitare alcuna autorità in base al preconcetto che l’autorità debba essere sempre e comunque negativa, noiosa, rifiutata e criticata quale autoritarismo antiquato e coartante la libertà. Non sempre la coppia genitoriale affronta con fiducioso sostegno reciproco i problemi della prole trovando le risorse migliori nello stesso sistema della coppia. A volte padre e madre sono in disaccordo sul modo di allevare la prole, a volte infine confliggono per motivi banali, ma forieri anche di separazioni e divorzi. In tali dibattiti famigliari emerge da subito lo scarso potere contrattuale della figura del padre, prontamente esautorata anche in termini di legge in caso di separazioni o divorzi. La coppia genitoriale corre così il pericolo di istradarsi verso due direzioni disgiunte, sovente proprio all’interno delle loro stesse dinamiche interattive:

a)  i comportamenti iperprotettivi e possessivi verso i figli,

b)  gli atteggiamenti rinunciatari e disinteressati verso la prole delegando ad altri le funzioni genitoriali.

FRUSTRAZIONI DELL’AUTORITÀ

Autorità viene dal latino aligere, allevare, far crescere, da cui auctor. La frustrazione delle funzioni e dei ruoli dell’autorità impedisce ai figli di imparare a gestire le proprie pulsioni, a prender coscienza delle proprie tendenze indovate nel Sé intrapsichico, di rispettare gli altri e gli oggetti della realtà, di imparare e successivamente di superare un sistema di valori, di convogliare verso mete costruttive e non distruttive la propria aggressività, di avere dei punti di riferimento cognitivo e culturale.

– L’autorità è in primo luogo normativa. Tale funzione compete con modalità diverse a padre e madre. Il legiferare e il rispetto delle regole fondamentali della buona convivenza spettano al padre. La madre pur riferendosi alle norme generali paterne, fornisce norme particolari legate alla coabitazione armoniosa, al decoro, alla richiesta di aiuti domestici, alle modalità gioiose della trasmissione degli affetti sino al mantenimento di un piccolo lessico famigliare e di abitudini spontaneamente formatesi nella quotidianità del vivere insieme in quel determinato nucleo.

– L’autorità è istruttiva. Ricevere istruzioni dal padre è un grande regalo per i figli ed è un momento costruttivo delle loro competenze. Essi se ne rendono conto. Maturano. Si tratta di istruzioni per l’uso di vari oggetti o per la gestione di diverse situazioni. L’istruzione può essere diretta con insegnamenti da padre a figlio, oppure esemplare o dimostrativa in cui l’apprendimento da parte della prole avviene osservando il comportamento paterno. L’istruzione paterna è legata ai ruoli della promozione e dell’emancipazione (distacco, razionalizzazione,   incoraggiamento,  rassicurazione) dei figli con particolare rilievo allo sviluppo delle capacità cognitive nella mente delle giovani generazioni.

– L’autorità è culturale. Accettando con tutte le approssimazioni del caso l’equazione Madre = natura, Padre = cultura, si può intendere il ruolo del padre nel promuovere in famiglia una cultura ossia un sistema di riferimento e di lettura della realtà circostante. Per tale operazione il padre ha bisogno di sollevare gradualmente il pensiero dei figli verso l’astrazione e il ragionamento risvegliando nei figli critica e giudizio così da consentire a ciascuno l’elaborazione dei concetti emersi in famiglia in seguito alle più disparate vicende. L’autorità paterna deve conquistarsi con il prestigio questo ruolo di promozione culturale rimanendo per tutta la vita dei figli come sistema di riferimento per la prole che saprà confrontarsi in vari modi con il pensiero paterno.

– L’autorità è correttiva e in taluni casi anche punitiva quando una questione di giustizia lo richieda. Troppe volte il padre rinuncia a correggere o a punire delegando sovente in modo errato questi compiti alla consorte. In realtà egli non vuole scomodarsi e passare un brutto momento di tensione e di polemica con il figlio, intimorito dalle possibili imprevedibili reazioni della prole.

– L’autorità è rassicurativa. La funzione di rassicurare proviene principalmente dal padre e si dirige tanto alla consorte quanto ai figli di fronte a un loro possibile stato ansioso, nutrito da paure di eventi reali o immaginari. La rassicurazione avviene mediante le parole e mediante i fatti. Contribuisce a rinforzare e ad aumentare il prestigio dell’autorità paterna.

– L’autorità è protettiva. Tale funzione è importante soprattutto nei primi anni di vita dei figli che spesso tendono a idealizzare la figura paterna sino ad attribuire a essa poteri magico-onnipotenti. La prole non va frustrata in queste sue istanze anche se a poco a poco, mediante interventi esplicativi e rassicurativi da parte del padre dovrà ridimensionare l’iniziale concezione idealizzata.

– L’autorità è educativa. Le funzioni educative vengono qui separate da quelle istruttive e correttive anche se queste ultime rientrano in ogni processo pedagogico. Ci si vuoi riferire alla funzione di imparare a governare e gestire le proprie pulsioni, spesso disordinate nelle giovani generazioni e di assimilare un codice sociale idoneo a trattare con rispetto le persone e le cose vicine o lontane.

– L’autorità è esemplare. Qualsiasi comportamento l’autorità assuma viene comunque recepito dalla prole in termini formativi o deformanti. La propensione a identificarsi con dei modelli, la permeabilità nel recepire e nell’introiettare gli atteggiamenti dei genitori o di altre figure autorevoli, il rigore dei giudizi nei figli adolescenti verso gli adulti con la loro richiesta di coerenza fa sì che l’autorità non possa dimenticare di essere un esempio per la prole e che tale esempio durerà per tutta la vita dei figli. Lo voglia o no. All’autorità, per essere veramente esemplare, viene richiesta soprattutto la coerenza tra parole e fatti e la conservazione della cosiddetta «barriera genitoriale» in base alla quale non viene mai meno la realtà evidente che i genitori sono i genitori e i figli i figli. Qui sta il grave danno che alcuni genitori procurano alla prole quando vengono meno al pudore (farsi vedere dai figli nelle loro relazioni intime) o non sanno trattenersi dal litigare in loro presenza o si fanno scoprire da questi ubriachi, verbalmente, sessualmente e socialmente disinibiti, pigri ed egoisti, incapaci di conservare nella coerenza, nell’unitarietà e nella dignità la loro condotta.

– L’autorità è collegiale. Si intende la collegialità della coppia moglie-marito. La condivisione e l’accordo della coppia genitoriale sui principali interventi dell’autorità è di primaria importanza. Troppo spesso si giunge a una squalifica sistematica della moglie sul marito e viceversa. La moglie di fatto possiede un maggiore potere contrattuale in famiglia in virtù dell’inevitabile situazione che in casa trascorre molto tempo e adibisce diligentemente a un numero di mansioni ben superiori a quelle del marito. La scarsa stima verso il marito inoltre si diffonde per trasmissione emotiva anche senza esplicite espressioni verbali sulla prole cosicché i figli ripongono sempre minor fiducia nella figura paterna, talvolta anche apertamente svalutandola nei dialoghi famigliari e riportando alla luce con parole risonanze emotive derivate dal mondo materno insoddisfatto del consorte. La collegialità invece comporta una buona predisposizione all’ascolto e alla presa in considerazione del pensiero dell’altro. Questo implica un buon controllo emotivo sulla relazione perché molte volte un dialogo della coppia genitoriale parte da espressioni troppo cariche di emotività in cui sovente è dato riscontrare un attacco aggressivo verso l’interlocutore che conduce a un nulla di fatto, ossia a nessuna soluzione positiva, condivisa e unitaria. La collegialità della coppia si riflette sui messaggi inviati alla prole che percepisce l’unità di intenti di padre e madre e viene soltanto per questo fatto rassicurata.

FUNZIONI PATERNE 

Tutto si riassume in un gesto. Il padre, diciamo il «papà», solleva in alto, più in alto che può, suo figlio, lo guarda con compiacenza, gli sorride oppure addirittura lo lancia a volo verso l’alto, oppure se lo mette a cavalcioni sulle proprie spalle o, ancora, si mette a quattro zampe e si fa cavalcare. La felicità del bambino in questi casi è massima. Tutti gli uomini di ogni età — le donne quasi mai — fanno così con i bambini. In alto.

Distaccati dalla terra. Proiettati verso l’alto. Il gesto è spontaneo, naturale, universale. Non significa solamente staccare il figlio dalla diade simbiotica con la madre, elevarlo da terra, aprirgli nuovi orizzonti in base a nuove prospettive offertegli, promuovere il suo pensiero, portarlo verso l’autonomia psicologica e consentirgli un’identità coerente con la propria sessualità, per confronto si capisce con la madre. In tal modo egli può passare gradualmente dalla posizione di individuo umano a persona.

Come annotava Roberto Contardi su questa stessa rivista (Studi cattolici, n. 333, maggio 2009, p. 325) nell’evoluzione della prole all’interno della famiglia viene individuata «la centralità dinamizzante dell’elemento paterno. Di fronte alla necessità di risalire dal cangiante piano delle manifestazioni socioculturali a quello delle invarianti antropologiche di cui esse sono espressione sia pur problematica, di fronte all’esigenza di riguadagnare la comprensione di una paternità la cui nozione si relativizza e sbiadisce all’interno di un approccio puramente storiografico rimane allora ineludibile il ricorso alla psicoanalisi».

A parte il molo di molte tappe evolutive, ciò che massimamente la psicoanalisi può insegnare a proposito della funzione paterna nello sviluppo della personalità è la scoperta da parte di Freud del complesso di Edipo. «Complesso», proseguiva Contardi, «in quanto costituito da una rete di rappresentazioni e affetti legati tra di loro in modo tale che il significato di ogni elemento isolato, parziale, che vi appartiene ha un senso soltanto se posto in relazione con gli altri elementi che compongono il complesso stesso […]. Paterno poiché è l’accesso del padre nella scena storica e psichica del piccolo dell’uomo a rendere possibile il rimaneggiamento e la stabilizzazione di tale rete e, con essa, la definizione di un’identità e l’inserimento non confusivo nella catena generazionale. L’universalità del complesso paterno o quantomeno dei suoi precursori organizzativi consente inoltre di pensare a esso quale condizione indispensabile per lo scaturire dell’umano dal piano animale».

Nella linea del pensiero freudiano l’Autore si spingeva oltre e azzardava un’ipotesi esplicativa sul ruolo del padre alquanto suggestiva: «Attribuendo poi all’affermarsi della religione monoteista tra i grandi sistemi di riferimento collettivi il merito del più significativo progresso nella via dello spirito conseguito dall’umanità nel corso della sua storia, è alla specifica caratterizzazione paterna di tale sistema che Freud riconosce una cruciale funzione di promozione dell’attività di pensiero». Tale ruolo «culturale» del padre inizia dal gioco con i suoi figli e prosegue lungo il corso della vita in dialoghi, dibattiti anche pieni di contrasti, per consolidarsi in una posizione in cui è la presenza del padre che conta come punto di riferimento.

La funzione iniziale è dunque quella di essere il primo mediatore con la realtà esterna al di fuori della diade simbiotica madre-bambino. Dall’intensità affettiva con cui la madre ama il marito dipende il buon rapporto padre-figlio, sin dal gioco in cui il bambino si distacca dalle braccia della madre per caracollare incerto verso suo padre a braccia aperte e poi ritornare da sua madre.

Nell’emancipazione della prole il padre assolve l’importante funzione di sedare e moderare l’ansia della moglie rispetto al distacco dei figli, soprattutto quando gli compete di generare i figli alla società tanto quanto la sua consorte li ha generati alla famiglia. Ed è precisamente in questa fase che il padre non può essere complice-connivente con i desideri e le pulsioni dei figli, ma contrariamente alla madre, può aiutare la prole a regolarli, a governarli, ad amministrarli secondo un piano progettuale.

Per tale meta fondamentale nella maturazione della coscienza di ogni individuo, il padre ha il compito di far ragionare, di risvegliare il senso critico, di opporre anche opinioni contrastanti in modo da promuovere nei figli la riflessività, la capacità decisionale, la gestione autonoma della propria vita.

Spetta al padre modificare il linguaggio rendendolo sempre più maturo con i figli: da una certa età in poi il padre non deve più parlare «a» suo figlio ma «con» suo figlio cercando in tutto il contesto famigliare di elevare il linguaggio. Soprattutto al padre insieme naturalmente con la propria consorte spetta di erogare alla prole quegli affetti di benevolenza e di compiacenza che paiono essere alcuni aspetti di come Dio stesso ama gli uomini.