La Pira non sia monopolio della sinistra

La Pirapubblicato da Il Tempo del 6 gennaio 2004

La Pira, come su tutt’altro versante Julius Evola, vedeva – attenzione: non nella libertà, del cui profondo valore cristiano era ben convinto – nel liberalismo volto alla secolarizzazione e nel liberismo economicista il primo gradino d’una sovversione destinata a precipitare il mondo moderno negli stupidi errori del socialismo e nei cupi orrori del comunismo.

di Giano Accame

GIORGIO La Pira, “sindaco santo” di Firenze, era nato in Sicilia il 9 gennaio 1904 (morì a Firenze nel 1977). Nel clima di ricupero di valori e elettori dello Scudo crociato è prevedibile che, col centenario ormai prossimo della nascita, cercheranno d’annetterne la memoria i democristiani attualmente confluiti nel centrosinistra.

Perché l’immagine corrente di La Pira è d’un cattolico politicamente schierato a sinistra. Venne addirittura coniata per lui la definizione polemica di “comunistello di sacrestia”. Ma io che l’ho osservato da vicino, avendo mosso i primi passi nel giornalismo a Firenze, inviato da due settimanali di destra, prima da “Cronaca Italiana” diretta da Gianfranco Finaldi, poi dal “Borghese” di Mario Tedeschi e Gianna Preda, proprio per seguire le birichinate di La Pira vorrei esortare gli esponenti cattolici di centrodestra, il Presidente Casini, l’appassionato e acuto Follini, il filosofo Buttiglione, a non abbandonare ai concorrenti spostati a sinistra con Prodi la memoria di quel sant’uomo. Perché c’erano in lui tratti di religiosità talmente antica, tradizionale, intrisa di fiducia negli effetti soprannaturali della preghiera e di familiarità col miracolo, oltre ai residui di giovanili entusiasmi per d’Annunzio, il futurismo, lo stesso fascismo, da non renderlo assimilabile alla banalità progressista.

La Pira, come su tutt’altro versante Julius Evola, vedeva – attenzione: non nella libertà, del cui profondo valore cristiano era ben convinto – nel liberalismo volto alla secolarizzazione e nel liberismo economicista il primo gradino d’una sovversione destinata a precipitare il mondo moderno negli stupidi errori del socialismo e nei cupi orrori del comunismo. Tanto che Giorgio Rumi, storico cattolico-liberale, alla lettura d’una sua lettera a Papa Pacelli contro il liberalcapitalismo ha detto scandalizzato al “Corriere della Sera” (3 gennaio scorso), ma cogliendo almeno in parte nel vero, che il pensiero di La Pira «è come una torta a strati al cui fondo c’è De Maistre, la negazione del mondo moderno».

Come d’Annunzio, che a Fiume da lui occupata s’inginocchiò di fronte a un mendicante, così il social-reazionario La Pira viveva a Firenze: distribuendo ai poveri lo stipendio di professore universitario, ma abitando nel convento domenicano di S. Marco, tra i dipinti del Beato Angelico, e lavorando nell’ufficio di sindaco a Palazzo Vecchio, ove con sovrano gusto della magnificenza invitava capi di Stato, il re del Marocco, i potenti della Terra, in ambiziosi convegni per la pace aperti da trombe d’argento nel grandioso Salone dei Cinquecento.

Nel 1953 aveva convinto il presidente dell’Eni Enrico Mattei a rilevare il Pignone, uno stabilimento in passivo che l’industriale Marinotti aveva deciso di chiudere licenziando 1750 operai. L’iniziativa caritatevole di La Pira, appoggiata da Pio XII, Papa considerato “di destra”, venne deplorata da don Sturzo come tenebroso preludio al socialismo di Stato, mentre riprendeva soltanto, in chiave evangelico-miracolistica, la politica dei salvataggi praticata dal fascismo con l’Iri negli anni Trenta. Il Nuovo Pignone fu riportato dall’Eni in attivo e ceduto dalle sinistre a una multinazionale americana con le sgangherate privatizzazioni degli anni Novanta.

Confidando che Dio sarebbe stato alla lunga più forte di loro, La Pira non temette il dialogo coi comunisti. Fu tra i primi a comprendere l’importanza del Terzo Mondo, dell’Islam rinascente, ma anche il ruolo al tempo stesso tradizionale ed efficientista del generale De Gaulle con la riforma presidenziale a cui in Italia si richiamava isolato l’esponente repubblicano Randolfo Pacciardi, già ministro della Difesa con De Gasperi negli anni della ricostruzione, attirandosi accuse di golpismo.

La malafede e l’incultura partitocratica, anticipando i girotondi antiberlusconiuani di adesso, demonizzarono allora gollismo e presidenzialismo come nemici della libertà. Il filogollista La Pira, di cui è in corso la beatificazione (ne conservo l’immaginetta accanto a quelle di padre Pio e di fra Ginepro, che ha raccolto il martirologio della Rsi), fu molto più lucido di quanti a sinistra ne volgarizzarono alcune intuizioni profetiche e oggi vorrebbero tornare a sfruttare la sua memoria.

Chiedo ai post-democristiani più intelligenti che l’impediscano.