Bergoglio un mese dopo . Continuità di Papa Francesco con il magistero di Benedetto XVI

Francesco_BenedettoAg Zenit (Zenit.org) 12 aprile 2013

di Mons. Vitaliano Mattioli

ROMA – L’elezione di qualunque Papa porta sempre ad evidenziare le differenze con il predecessore. Normalmente si mettono in risalto gli aspetti positivi, le novità, anche riguardo le cose più semplici. E si dice quasi sempre che il nuovo Pontefice porti un’aria nuova nella Chiesa.

Da questi entusiasmi bisogna prendere una certa distanza. Fin da quando ero studente mi è rimasto impresso il pontificato del Beato Pio IX (1846-1878). Nei primi due anni (1846-1848) fu considerato il Papa della Provvidenza, colui che avrebbe risollevato le sorti italiane. Nel 1848, però, non permise alle milizie pontificie di unirsi all’esercito dei Savoia per combattere contro l’Austria. Il Papa rifiutò spiegando che il Capo della cristianità non poteva combattere contro una nazione cattolica come l’Austria, era un controsenso.

Da quel giorno si scatenarono le forze anticlericali e per tutto il suo lungo pontificato, Pio IX subì una persecuzione continua. Addirittura, dopo la sua morte, quando la salma fu trasportata dal Vaticano alla basilica di S. Lorenzo al Verano per la sepoltura, nel momento in cui il corteo funebre attraversò il ponte sul fiume Tevere, una banda di anarchici tentarono di gettare il feretro nelle acque.

Non vorrei che la stessa cosa succedesse a Papa Francesco. Lui è il custode della Verità e della Tradizione. Lui è convinto di questo ed è disposto alla totale fedeltà. Questa sua posizione l’ha dimostrata più volte nei discorsi di questo primo mese. Come anche il nominare il suo predecessore con tanto rispetto e stima. Un punto che mi sembra di grande importanza.

Nel discorso al Corpo Diplomatico ha pronunciato le seguenti parole: «Ma c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini […]Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra».

Benedetto XVI usava spesso l’espressione «dittatura del relativismo», intendendo con la parola “dittatura” la mancanza di libertà di pensiero e con la parola “relativismo”, l’assenza di assoluti. Papa Francesco dimostra di condividere totalmente la dottrina del suo predecessore. Ciò significa che sui “Principi non negoziabili” (altra espressione cara a Benedetto XVI) non si può scendere a compromessi. Ma perché è tanto importante non condividere la «dittatura del relativismo»?

Perché se si accetta questa, si deve accettare che non esiste una Verità assoluta, oggettiva, che sta a fondamento delle altre. All’uomo viene a mancare la bussola, il punto di riferimento oggettivo. Si slitta nel cosiddetto “pensiero debole”, la cui paternità può essere individuata nel filosofo italiano Gianni Vattimo, ma le radici culturali si ricollegano a Martin Heidegger.

Due, poi, sono i campi di applicazione: uno politico e l’altro morale. Nell’ambito della politica, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva emanato il 24 novembre 2002 una “Nota dottrinale riguardo ad alcune questioni relative alla partecipazione e al comportamento dei cattolici nella vita politica” firmata dall’allora Prefetto, Joseph Ratzinger.

In essa si legge: «Si constata che oggi c’è un certo relativismo culturale … quando teorizza e difende il pluralismo etico (n. 2). La libertà politica non può mai essere basata sull’idea relativista secondo la quale tutte le concezioni del bene dell’uomo hanno la stessa verità e lo stesso valore … La vita democratica ha l’esigenza di basi vere e solide, vale a dire, di principi etici che, per loro natura, non sono negoziabili (n. 3)».

Se il Politico non accetta l’esistenza di questi principi non negoziabili, perde di vista la Verità e la morale oggettiva, cadendo in un arbitrario soggettivismo. Lo Stato laico si trasforma in Stato laicista che di fatto si presenta come Stato etico. L’altro è l’ambito morale. Dobbiamo ritornare un po’ indietro, alle due Conferenze del Cairo (Egitto 1994) e di Pechino (Cina 1995).

Nella prima prevalse una filosofia edonista. In quella di Pechino, le vere intenzioni vennero presto allo scoperto. Dapprima si evidenziarono i “desideri sessuali”, che non è bene reprimere. E da questa riflessione si arrivò ad affermare che, se esistono “bisogni-desideri” che non è bene reprimere, per l’individuo questo si trasforma in un “diritto” da esercitare. Infine: se è un “diritto”, lo Stato deve mettermi in condizione di poter esercitare questo “mio” diritto.

Tutto questo ha coinvolto il campo della bioetica e ne ha stravolto totalmente la struttura. Dalla bioetica si è passati al bio-diritto per coinvolgere infine la bio-politica.

L’aver rinunciato a quei “principi non negoziabili” ha condotto a questo positivismo: nulla esiste di certo; l’uomo diventa norma di se stesso. Abrogando la visione etica, tutto diventa lecito e nessuno deve contraddire questa liceità. La cosa peggiore, poi, è che questo “relativismo” si trasforma in dittatura: è obbligatorio adeguarsi a questi cliché. Se uno, individuo o istituzione, non si adegua è tacciato di oscurantismo e di nemico della modernità.

Per questo la Chiesa, forse unica istituzione che si oppone a questa dittatura, è oltraggiata e vilipesa, ed il suo responsabile supremo, il Papa, è calunniato ed umiliato. Almeno questo è ciò che è capitato specialmente agli ultimi Papi. Non vorrei che succedesse anche a Papa Francesco.