5 falsi presupposti dietro la transizione di genere per i giovani

Pro Vita & Famiglia  17 Gennaio 2023

di Redazione

L’approccio altamente medicalizzato riguardante la gestione del disagio di genere nei giovani, parte integrante del modello assistenziale di “affermazione di genere”, si basa su diversi presupposti chiave. Le pubblicazioni che promuovono “l’affermazione di genere” nei giovani spesso non sono in grado di richiamare espressamente questi presupposti — o travisano tali presupposti problematici come fatti comprovati.

Una di queste pubblicazioni “pro-affermazione” basata su presupposti inesatti è stata compilata assieme a Stephen M. Rosenthal e pubblicata sulla prestigiosa rivista ‘Nature’, in cui si afferma che “un’importante ricerca ha dimostrato chiari benefici — anche determinanti — del modello di affermazione di genere nei confronti della salute mentale,” anche se prosegue ammettendo che esista una “relativa scarsità di dati sugli esiti” e che i dati a disposizione siano costituiti “solo da esiti di alcuni studi a breve termine e pochi studi a medio termine”.

Ciononostante, Rosenthal insiste che la mancanza di qualità dei suddetti dati non dovrebbe dissuadere il personale medico dall’agire con interventi medici a esito permanente per allineare le caratteristiche fisiche del bambino con la propria presunta “identità di genere”. “L’attitudine a non intervenire finché non si raccolgano ulteriori informazioni – affermano gli autori – non è una soluzione imparziale”.

Un recente articolo di J. Cohn sul ‘Journal of Sex & Marital Therapy’ esamina e mette in discussione i diversi presupposti chiave alla base di questo importante articolo su ‘Nature’, che permeano anche gran parte della letteratura sulla “affermazione del genere”, inclusa la più recente pubblicazione scritta in collaborazione con Rosenthal.

Tuttavia, prima di illustrare i falsi presupposti di tale documento, Cohn sottolinea innanzitutto il fatto che il modello assistenziale di “affermazione di genere” continua a dare enfasi a interventi sociali, medici e chirurgici, nonostante diversi paesi europei (Svezia, Inghilterra, Finlandia) ad oggi riconoscano lo sfavorevole rapporto rischio/beneficio di tale approccio e raccomandino interventi non invasivi come prima tipologia di trattamento. Nel citare il recente riesame della dott.ssa Cass, incaricata di rivalutare l’erogazione di servizi a minorenni con disforia di genere in Inghilterra, Cohn richiama l’attenzione sul fatto che la disforia di genere si presenta in modi molto diversi tra loro e che vi è un’assenza di consenso sul tipo di approccio terapeutico.ù

Cohn dunque procede con una disamina critica e confuta efficacemente ciascuno dei presupposti dell’articolo posti alla base del modello assistenziale di “affermazione di genere” altamente medicalizzato, osservando come si intervallino tra interamente non dimostrati a evidentemente falsi.ù

1° presupposto non dimostrato:

l’identità di genere, alla base della disforia di genere, è una fondamentale caratteristica personale biologicamente “radicata”.

Questo presupposto è da considerarsi la chiave dell’intero concetto alla base della transizione medico-chirurgica (“affermazione di genere”) dei minori. Nel caso in cui la disforia di genere fosse biologicamente predeterminata, immutabile e causa di immense e costanti sofferenze per tutta la vita, allora intervenire al più presto e nel modo più aggressivo possibile per “riallineare” il corpo con l’identità di genere — anche a costo di una dipendenza permanente da ormoni esogeni e futura sterilità — potrebbe essere eticamente giustificato.

Tuttavia, Cohn osserva che il presupposto di una fondamentale “identità di genere” biologicamente radicata, seppur interessante, non è mai stato comprovato nonostante numerosi tentativi. Per fare un esempio, gli studi sul cervello che sostengono di distinguere differenze oggettive nell’organo di un individuo che si identifica come transgender sono altamente inadeguati — le differenze scompaiono una volta presi in considerazione fattori confondenti come l’orientamento sessuale o l’esposizione a ormoni esogeni. Altri studi si basano su campioni di dimensioni estremamente ridotte e non trovano nulla di conclusivo o non rilevano alcun segnale.

Cohn denota anche un comune trucchetto intellettuale spesso usato dagli autori che perorano il “caso biologico” per l’identità di genere, i quali invocano studi su persone con disturbi dello sviluppo sessuale (DSD). Gli individui con DSD hanno anomalie cromosomiche e/o endocrine dimostrabili. Ciononostante, la stragrande maggioranza delle persone che si identificano come transgender non ha diagnosi di DSD (e la stragrande maggioranza degli individui con DSD non soffre di disforia di genere), quindi fare riferimento agli studi sulla DSD per rivendicare un’origine biologica della disforia di genere o dell’identità transgender risulta fuorviante.

Il presupposto di un’effettiva base biologica delle “identità di genere” e “disforia di genere” rimane una teoria non provata: mentre la biologia gioca verosimilmente un ruolo nella non conformità di genere, attualmente non esistono test oggettivi su cervello, sangue o altro che distinguano un individuo che si identifica come transgender da un individuo che si identifica come cisgender una volta tenuto conto di fattori confondenti come l’orientamento sessuale.

Inoltre, l’alto tasso di desistenza infantile dalla disforia di genere prima della maturità sessuale (61-98%) e il tasso di desistenza crescente tra i giovani che hanno sviluppato la disforia di genere durante o dopo la pubertà, mettono in discussione l’idea che una “identità di genere” biologicamente radicata sia responsabile della disforia di genere.

Tutto ciò, a sua volta, suggerisce problemi etici significativi nel trattare i giovani con disforia di genere con interventi medici irreversibili e potenzialmente dannosi. Il protocollo della Endocrine Society (bloccanti della pubertà nella sua prima fase, seguiti da trattamento ormonale) rende tutti coloro così trattati infertili o sterili, senza metodi comprovati per preservare la fertilità a causa dell’immaturità delle gonadi (ovaie e testicoli).ù

2° presupposto non dimostrato:

il forte aumento del numero di giovani che presentano disforia di genere non segnala un vero aumento dei casi: non è altro che il risultato di un migliore riconoscimento.

Cohn riscontra la riluttanza dei “difensori dell’affermazione di genere” nel riconoscere il vertiginoso aumento dell’identificazione transgender nei giovani, che ha travolto gran parte del mondo occidentale a partire dal 2015. Questa sconcertante tendenza epidemiologica non viene da costoro riconosciuta o viene liquidata come un semplice “migliore riconoscimento” grazie alla volontà del paziente di fare “coming out” e alla crescente consapevolezza medica nei confronti della condizione. Sebbene indubbiamente vero in alcuni casi, l’idea che un “migliore riconoscimento” di per sé sia responsabile dell’aumento dell’identificazione transgender nei giovani, in una percentuale di diverse migliaia, è inverosimile.

Sempre più spesso, una teoria alternativa secondo cui la disforia di genere potrebbe essere un meccanismo di coping disadattivo che si diffonde rapidamente attraverso le reti sociali dei giovani più vulnerabili, ipotizzata da Littman, è considerata molto più probabile. Ciò è evidenziato sia dalle dichiarazioni di diverse autorità sanitarie pubbliche allarmate dal forte aumento dell’identificazione transgender nei giovani più fragili, sia dal netto cambiamento nell’approccio terapeutico. Inghilterra, Svezia e Finlandia hanno sostituito il modello “affermativo” di alterazione medica dei corpi degli adolescenti con un metodo terapeutico non medicalizzato e conservativo, che dà la priorità alla psicoterapia come prima linea di trattamento.

Cohn nota anche gli attuali tentativi da parte dei sostenitori della “affermazione di genere” per screditare la teoria di Littman. Per chiarire, questa teoria, nota come “ROGD” (Rapid Onset Gender Dysphoria, Disforia di Genere ad Insorgenza Rapida), spesso intesa come teoria del “contagio sociale” (un fenomeno ben consolidato in psicologia), suggerisce come fattori psicosociali come traumi, disturbi psichici, meccanismi di coping disadattivi e omofobia interiorizzata predispongano i giovani alla disforia di genere, che può diffondersi rapidamente attraverso le loro reti sociali. Come tutte le teorie, anche questa dovrebbe essere sottoposta a verifica.

Tuttavia, Cohn osserva che la teoria della ROGD riceve un trattamento costantemente poco accademico, ingiusto e parziale da parte dell’establishment della medicina di genere. Per fare un esempio, è comune per i sostenitori del modello di “affermazione” dichiarare erroneamente che l’articolo di Littman è stato “screditato” o in qualche modo smentito — un’affermazione falsa che è stata ripetuta nell’articolo di ‘Nature’ da Rosenthal.

In effetti, l’articolo altamente prestigioso di Littman (che è stato visualizzato oltre 450.000 volte e valutato come l’articolo scientifico più letto da PLOS ONE) è stato sottoposto a un secondo ciclo di peer-review dopo la pubblicazione, che ha portato a una ripubblicazione con la sua conclusione chiave di “contagio sociale” intatta: “Oltre all’aggiunta di alcuni valori mancanti nella Tabella 13, la sezione Risultati rimane invariata nella versione aggiornata dell’articolo”.

Al momento della sua pubblicazione l’articolo di Littman è stato aspramente criticato dall’establishment della medicina di genere per il suo affidamento ai resoconti dei genitori — nonostante il fatto che tali resoconti siano comunemente utilizzati dagli operatori sanitari per una serie di questioni relative alla salute dei bambini, e siano ordinariamente usati dagli stessi medici pro-affermazione. La ricerca più recente di Littman con al centro i pazienti (piuttosto che i genitori), pubblicata nel 2021, ha affrontato le critiche: gli stessi pazienti affetti hanno ora avvalorato la teoria della ROGD di Littman riflettendo sulle proprie esperienze su come si è sviluppata la loro identità transgender.

Cohn osserva come sia improbabile che la ROGD possa rendere conto di tutti i casi attualmente presentati di giovani con disforia di genere (e la ricerca di Littman non ha mai fatto una simile affermazione). Tuttavia, la probabilità che la ROGD svolga un ruolo nella genesi della disforia di genere in un numero significativo di giovani attualmente diagnosticati minaccia eticamente l’idea secondo cui i giovani dovrebbero essere assistiti con procedure irreversibili di modifica del corpo — motivo per cui probabilmente l’establishment della medicina di genere nega con veemenza l’importanza sempre più evidente di questa teoria.

3° falso presupposto:

gli interventi medici nei minori con disforia di genere hanno chiari criteri di ammissibilità.

Nell’affermare come gli interventi medici e chirurgici di “affermazione di genere” siano considerati appropriati per i minori, i sostenitori di questo percorso terapeutico aggiungono comunemente una qualifica chiave: “per coloro che sono idonei”. Ciò implica l’esistenza di criteri di ammissibilità articolati con chiarezza che, se seguiti diligentemente, possono portare a buoni risultati a lungo termine. Cohn osserva però che la realtà è in netto contrasto con questa affermazione.

I criteri di ammissibilità medici per gli interventi di affermazione di genere nei giovani, come attualmente praticati in Nord America e nella maggior parte del mondo occidentale, sono vaghi e poco chiari. Gli interventi medici vengono avviati in gran parte sulla base della richiesta del paziente, che a sua volta è “affermata” da “esperti” pro-affermazione. Da notare come, quando viene chiesto di spiegare il loro approccio alla diagnosi differenziale, alla valutazione della prognosi del paziente e ai criteri per la raccomandazione di interventi medici, gli “esperti di affermazione di genere” spesso non sono in grado di articolare il metodo in cui determinano la necessità medica.

Cohn si occupa anche di una fuorviante asserzione chiave da parte dei sostenitori dell’affermazione di genere, ripetuta nell’autorevole articolo di Rosenthal su ‘Nature’, secondo cui è quasi certo che gli adolescenti con disforia di genere diventino adulti che si identificano come transgender: “Studi longitudinali hanno indicato che l’emergere o il peggioramento della la disforia con esordio puberale è associata a un’altissima probabilità di essere un adulto transgender”.

Ancora una volta, Cohn nota un trucchetto intellettuale in gioco: questa dichiarazione fonde due presentazioni molto diverse dei giovani con diagnosi di disforia di genere — quella della disforia di genere con esordio nella prima infanzia che persiste nell’adolescenza e una presentazione marcatamente diversa della disforia di genere emersa per prima volta durante o dopo la pubertà. Le affermazioni nel documento di ‘Nature’ sono “supportate” da un riferimento alla ricerca olandese originale, sebbene i ricercatori olandesi non abbiano mai affermato la probabilità che la disforia di genere con esordio nell’adolescenza persista in età adulta.

Gli studiosi olandesi hanno ipotizzato che la disforia di genere che emerge a partire dalla prima infanzia e persiste o peggiora durante l’adolescenza probabilmente persisterà per tutta la vita. Questa teoria potenzialmente credibile, basata sull’opinione degli esperti del gruppo di ricerca olandese, rimane però una teoria poiché non è mai stata testata (e alcune delle prime ricerche olandesi sembrano mettere in discussione questa teoria, dimostrando come la maggior parte degli adolescenti respinti dall’intervento medico in realtà abbia desistito prima di raggiungere l’età adulta). Tuttavia, questo tipo di disforia di genere ad esordio nella prima infanzia è molto diverso dai casi in cui la disforia di genere emerge per la prima volta intorno all’adolescenza.

Contrariamente a quanto affermato da Rosenthal, i ricercatori olandesi erano piuttosto preoccupati per il trattamento medico nei giovani con insorgenza puberale di disforia di genere e hanno ritardato la loro transizione fino all’età adulta proprio perché dubitavano che l’identità transgender in tali giovani potesse essere transitoria. Più di recente, il ricercatore principale del protocollo olandese ha affermato esplicitamente che tali casi potrebbero richiedere un trattamento diverso e che la psicoterapia potrebbe essere più appropriata rispetto al trattamento ormonale e alla chirurgia per questi pazienti.

Distorcere le citazioni per rafforzare la narrativa “pro-affermazione”, evidente nell’articolo di ‘Nature’ di Rosenthal, è una tattica comune tra i sostenitori dell’affermazione di genere, ed è stata notata anche da altri ricercatori. Si consiglia dunque ai lettori e ai revisori di controllare sempre i riferimenti prima di presumere che le citazioni fornite supportino le affermazioni alla base della scienza sempre più contestata del “modello di affermazione di genere”.

4° falso presupposto:

gli interventi medici per i minori con diagnosi di disforia di genere  si sono dimostrati sicuri ed efficaci.

Cohn osserva che sebbene le linee guida WPATH implichino sicurezza ed efficacia, queste linee guida si basano su elementi di qualità molto bassa. Contrariamente alle dichiarazioni dei sostenitori dell’affermazione di genere secondo cui per “elementi di qualità bassa/molto bassa” si intende semplicemente una mancanza di studi controllati randomizzati, questa designazione segnala che i risultati riportati dagli studi sul campo denotano una fiducia molto bassa negli studi stessi, che generalmente non sono affidabili a causa di problemi nella progettazione e nell’esecuzione dello studio e/o scarsa generalizzabilità dei risultati.

Cohn osserva che una recente panoramica di revisioni sistematiche delle prove (nota anche come “revisione a ombrello”) ha concluso che “la letteratura medica a disposizione fornisce prove insufficienti per cui la riassegnazione del sesso attraverso l’intervento medico sia un trattamento sicuro ed efficace per la disforia di genere”. Questa “revisione a ombrello” riassume accuratamente i risultati delle revisioni sistematiche esistenti in lingua inglese delle prove, come una recente revisione sistematica Cochrane, la quale “ha riscontrato prove insufficienti per determinare l’efficacia o la sicurezza degli approcci terapeutici ormonali per donne in fase di transizione” e la revisione sistematica delle prove del Regno Unito, che è giunta a conclusioni ancora più nette.

Le revisioni NICE del Regno Unito hanno concluso che i bloccanti della pubertà non hanno migliorato la salute mentale, mentre la terapia ormonale ha mostrato alcuni miglioramenti, seppur instabili, con la necessità di essere bilanciati a causa dei rischi per la salute potenzialmente gravi. Altre revisioni sistematiche delle prove non in lingua inglese che non sono state incluse nella “revisione a ombrello”, come quelle di Svezia e Finlandia, hanno raggiunto conclusioni simili secondo cui i rischi della “affermazione medica” possibilmente ne superano i benefici per la maggior parte dei giovani attualmente colpiti.

Cohn osserva l’apparente mancanza di considerazione di Rosenthal per le implicazioni dei rischi per la funzione sessuale e la fertilità, nonché per i rischi per la salute ossea e cardiovascolare, direttamente causati da o associati a interventi medici. Altri ricercatori hanno anche notato che coloro che sostengono il modello di “affermazione di genere” medica minorile tendono a banalizzarne i rischi, paragonandoli erroneamente ai rischi dell’assunzione occasionale di un’aspirina per il mal di testa.

5° presupposto non dimostrato:

la detransizione non rappresenta un danno medico, ed è rara.

Le crescenti segnalazioni di detransizione medica e senso di rimpianto evidenziano il problema delle transizioni di genere errate dei giovani. Di fronte alle statistiche, come le recenti prove del 10-30% di detransizione medica tra i giovani dopo un periodo di tempo relativamente breve, così come le segnalazioni del senso di rimpianto dei detransitioners stessi, i medici “pro-affermazione” tendono a contestare i numeri a disposizione, o a riformulare la detransizione come un benevolo “percorso di scoperta del proprio genere”.

Cohn sottolinea che gli studi che proclamano tassi di rimpianto molto bassi sono profondamente inadeguati e inaffidabili. Ad esempio, lo studio spesso citato come prova del tasso di rimpianto dell’1%, a cui fa riferimento Rosenthal, non avrebbe considerato Keira Bell come una paziente pentita. Bell è senza dubbio la più famosa detransitioner e giovane pentita della nuova schiera di giovani, e il suo caso ha messo in moto un processo che culminerà con la chiusura nel 2023 di una clinica pediatrica di genere del Regno Unito. Più in generale, l’Inghilterra ha ripudiato il percorso di trattamento medico di “affermazione di genere” per la maggior parte dei giovani e sta sostituendo questo modello di cura con approcci non invasivi e informati sullo sviluppo come prima linea di trattamento.

Lo studio utilizzato da Rosenthal per rivendicare il tasso di rimpianto dell’1% merita un’attenzione particolare, in quanto esemplifica i problemi nella ricerca riguardante un “basso tasso di rimpianto”. Questo studio ha utilizzato una definizione molto ristretta di ‘rimpianto’: i soggetti dovevano tornare alla stessa clinica che li aveva curati dal punto di vista medico e verbalizzare esplicitamente il proprio senso di rimpianto, che avrebbe poi dovuto essere documentato sulla loro cartella clinica — e avrebbero successivamente dovuto iniziare l’integrazione con ormoni sessuali natali dalla stessa clinica di genere.

Questo spiega perché qualcuno come Keira Bell, che ha ricevuto “solamente” un trattamento ormonale e una mastectomia, ma non la gonadectomia (rimozione delle ovaie) e non ha avuto bisogno di integrazione ormonale del proprio sesso biologico — non sarebbe stata considerata una paziente “pentita”. Inoltre, i ricercatori non hanno potuto valutare i risultati per il 36% del gruppo iniziale in quanto i loro contatti con la clinica sono stati interrotti.

Cohn avverte i lettori che le segnalazioni di detransizione stanno aumentando di frequenza e coloro che dichiarano bassi tassi di rimpianto si basano su stime imprecise a causa di misurazioni premature dei risultati, strumenti di misurazione inappropriati e distorsioni dei campioni. Cohn ribadisce: “Le sottovalutazioni del senso di rimpianto sono probabili anche perché i pazienti potrebbero non informare i loro medici; solo il 24% dei detransitioners nel campione di convenienza di Littman (2021) lo ha fatto,” e afferma che la detransizione ha il potenziale per “causare angoscia e persino devastazione”.

Conclusioni

Cohn ci ricorda che inaccuratezze spesso ripetute possono erroneamente consolidarsi in “fatti”, fuorviando sia medici che pazienti. Cohn conclude: “Ci sono serie complicazioni nel decidere come supportare al meglio coloro che attualmente soffrono di disforia di genere, dato quanto poco si sa di questa complessa condizione. Descrivere accuratamente ciò che le prove attualmente dimostrano e non dimostrano, e quali ulteriori prove sono necessarie, è fondamentale.”

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito web della Society for Evidence-based Gender Medicine il 30 dicembre 2022 e tradotto dall’inglese all’italiano dalla redazione di Pro Vita & Famiglia

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