Economisti, che incompetenti

economistiArticolo pubblicato dal quotidiano “Avvenire
18 aprile 2000  pag.25

Ed ecco che un economista francese, Bernard maris, docente all’Università di Parigi, si mette a gridare che il Re – l’Economista – è nudo. Il suo pamplhlet (Lettera aperta agli economisti che ci prendono per imbecilli, in Italia pubblicato da Ponte alle Grazie) è l’equivalente di un uovo marcio, di un pomodoro fracido scagliato contro gli augusti colleghi.

di Maurizio Blondet

E se i grandi economisti – perfino quelli insigniti dei Nobel, quelli che i giornalisti intervistano rispettosamente in ginocchio – fossero dei falsi guru? Se mai ne avete avuto il sospetto, di certo non avete mai osato esprimerlo ad alta voce. Per questo ci vuole uno di loro.

Ed ecco che un economista francese, Bernard maris, docente all’Università di Parigi, si mette a gridare che il Re – l’Economista – è nudo. Il suo pamplhlet (Lettera aperta agli economisti che ci prendono per imbecilli, in Italia pubblicato da Ponte alle Grazie) è l’equivalente di un uovo marcio, di un pomodoro fracido scagliato contro gli augusti colleghi.

Da Milton Friedman (Nobel ’76, il guru del super liberismo senza limiti) a Modigliani, si tratta – dice – di “incompetenti perentori”, di ripetitori di ricette che sanno sbagliate, di maggiordomi degli interessi forti. Non osano dire, grida Maris, che “non esiste teoria del liberalismo, dell’efficienza, della concorrenza; queste parole non sono che ideologia e utopia, totalitaria come furono quelle staliniste”.

Tutto il loro liberismo si riduce all’esortazione: “Siate egoisti e la società andrà bene. Un principio esplicativo semplice quanto la lotta di classe”. Questi fanatici del liberismo finiscono per distruggerlo. “Come i pianificatori del socialismo che volevano sempre più socialismo hanno assassinato i loro Paesi”. I liberisti integrali “fanno oggi la stessa cosa”.

Fra i bersagli delle invettive di Maris, i più facili, va ammesso, sono Robert Merton e Myron Scholes: vincitori del premio Nobel per l’economia nel 1997, e rovinati nel ’98 con il fondo speculativo (“Long Term Management Capital”) da loro creato per fare soldi applicando la loro teoria, grazie alla quale avevano vinto il Nobel. “I due citrulli”, come li chiama Maris, avevano confezionato complessi calcoli, gestiti dai computer, con i quali si erano illusi di giocare “senza rischio” sui mercati finanziari più speculativo (opzioni e futures).

Ma “uno studente del primo anno sa che nel mercato finanziario sussiste sempre un rischio irriducibile. Per definizione, perché esista il mercato occorre che venditore e compratore abbiano anticipazioni contraddittorie “. Infatti chi vende teme che i titoli che detiene scendano, mentre chi compra è convinto che saliranno: se non ci fosse incertezza, “il mercato sparirebbe”.

I due “citrulli Nobel”, al momento della loro bancarotta, gestivano 1250 miliardi di dollari (pari al PIL italiano): denaro che non avevano o che gli era stato anticipato da celebri banchieri centrali (più citrulli di loro). Per colmare il buco da loro prodotto, che avrebbe trascinato i “mercati” nell’abisso, è intervenuto Alan Greenspan, il capo della Federal Reserve, formando un comitato di salvataggio di banche. Miliardi di dollari del contribuente spesi.

“Una spaventosa collusione fra potere pubblico e grandi interessi privati – commenta Maris -. Proprio ciò che il Fondo monetario rimprovera ai Paesi sottosviluppati, raccomandando ‘rigore’, ‘trasparenza’ e obbedienza alle leggi di mercato”. Due pesi e due misure: ciò che non è stato perdonato a Suharto, il dittatore dell’Indonesia, è stato condonato a Merton e Scholes.

Ciò pone un problema: come mai i Nobel per l’economia vengono distribuiti a tipi simili? “Avviene da decenni – mi risponde al telefono Maris -. E’ una strategia denunciata da Maurice Allais, uno dei pochi economisti-Nobel che stimo: si premiano dei creatori di ‘modelli matematici’, degli studiosi di ‘diagrammi sui corsi borsistici’, per creare la nuova ortodossia.

Nobel e cattedre a questo tipo di aruspici, di ‘sistemisti’ da casinò, di sognatori di una economia ‘pura’ e matematica, hanno creato la ‘nuova ortodossia’ liberista. Il prestigio degli indovini-matematici ha avuto lo scopo di oscurare, e far dimenticare, l’economia seria. Che è soprattutto storia, analisi approfondita degli eventi e degli errori passati”.

Aggiunge: “per esempio, Keynes non si studia più. Perché è inammissibile per la nuova ortodossia: ha proposto di distruggere i rentiers, quelli che vivono dei puri frutti del capitale. Invece, la nuova ortodossia economica è tutta al servizio dei rentiers”. Come, come? “Prenda per esempio il dogma della “inflazione zero”, così cari ai liberisti-monetaristi: essi impongono ai Paesi di azzerare l’inflazione, anche a costo della deflazione e del ristagno economico”, spiega Maris: “Inflazione zero serve a conservare al denaro il suo valore. In modo che conviene detenere liquidità o prestare, piuttosto che prendere a prestito. E’ una ‘regola’ creata su misura a vantaggio dei rentiers e a svantaggio degli imprenditori. I rentiers, oggi, sono i grandi fondi d’investimento, che esigono altissimi frutti sul denaro che prestano alle imprese, e perciò fanno pressione sulle imprese perché riducano i costi, magari tagliando la manodopera. Alla fine è il lavoro che sopporta i pesi della nuova ortodossia”.

Però il liberismo funziona, in qualche modo. Guardi gli Usa: crescita senza limiti , disoccupazione ridotta a poco o nulla… “Falso. Negli Usa la disoccupazione è pari a quella europea. Al 4% strombazzato dalle statistiche americane, bisogna aggiungere il 2% della popolazione attiva in prigione (“il carcere è il sussidio di disoccupazione americano” ha detto l’economista Robert Solow), i disoccupati che si dichiarano “auto-impiegati” (almeno un altro 2%) i milioni di ‘working poors’, gente che pur lavorando, non guadagna abbastanza per vivere. Quando Bill Gates guadagna il 10% in più e un milione di working poors guadagna il 10% in meno, l’America grida: ci stiamo arricchendo!”

Ma quale economia proporrebbe lei; professore? Un ritorno al passato dell’autosufficienza, del protezionismo? “L’economia oggi è mondiale, dunque va regolata a livello mondiale. Definendo in modo democratico ciò che è “collettivo”, e quindi va sottratto al mercato: che so, l’acqua, l’aria, la cultura, l’istruzione…”

Regolamentare, sottrarre al mercato: sono concetti vietati oggi, professore. Se i cittadini decidono col voto che l’aria può essere venduta in bombole, d’accordo. Ma bisogna impedire alle imprese di venderci l’aria in bombole senza esserne state autorizzate. Le società si reggono su tre gambe: un terzo di mercato, un terzo di pubblico, un terzo di economia sociale (cooperative, volontariato, eccetera).

Volere imporre il ‘solo mercato’ è pernicioso come il ‘tutto Stato’. E soprattutto, il ‘mercato’, specie i mercati finanziari, devono restare un gioco a somma zero”.

Cioè? “Un gioco dove chi entra, se vince e guadagna, guadagni a spese degli altri che sono entrati nel mercato, non del settore pubblico, del denaro dei contribuenti, e dell’economia sociale, come oggi avviene”.