Il globalismo disarticola le identità con le tecniche del Kgb

Abstract: il globalismo disarticola le identità con le tecniche del Kgb. Per capire la nostra complicatissima epoca occorre abbandonare i consueti parametri di valutazione e porsi in una prospettiva diversa. Occorre elevarsi osservare la realtà con spirito olistico. Dal dall’alto, solo dall’alto, ci si accorge che la nostra sconclusionata epoca non è frutto del caso ma della volontà di disegnare una nuova forma di convivenza che ha proprio nella disgregazione il suo elemento caratterizzante.

Il Timone n. 222 Novembre 2022

ll vecchio KGB in lotta aperta (ancora) contro di noi

La disarticolazione delle identità oggi promossa dalle élite globaliste ricalca tecniche di manipolazione della scia e della controparte russa, a loro volta ispirate da Gramsci

di Marcello Foa (*)

Strane sensazioni nella nostra caotica e complessa società, è come se vivessimo immersi in una bolla. Abbiamo l’impressione di vedere e di sapere tutto quanto accade nel mondo ma poi ci accorgiamo di conoscere a malapena l’ambiente in cui viviamo. Siamo assillati dall’impressione sgradevole e persistente di non essere più padroni del nostro destino. Alterniamo euforia e depressione in sequenze sempre più ravvicinate, mentre aumenta la sfiducia nelle nostre istituzioni e allora ci chiediamo: cosa ci sta succedendo?

Siamo bombardati da fenomeni come la cancel culture, Black Lives Matter, riflettiamo sulla creazione di una coscienza ecologica planetaria tramite un vate improbabile eppure di grande impatto mediatico come la giovane Greta, che è più ascoltata di premi Nobel e di grandi scienziati, mentre cambiano rapidamente, troppo rapidamente, i nostri codici di accettazione morale con la rottura di tabù sociali e religiosi un tempo fortissimi, come l’approvazione dei matrimoni omosessuali.

Da società nazionali a sovranazionali 

In quale misura siamo di fronte a fenomeni spontanei, risultanti dalla naturale evoluzione delle nostre società, e in quale misura indotti? E chi li dirige? Domande che restano in larga parte inevase sia nel mondo accademico, sia sui media.

Per capire la nostra complicatissima epoca occorre abbandonare i consueti parametri di valutazione e porsi in una prospettiva diversa. Occorre elevarsi osservare la realtà con spirito olistico. Dal dall’alto, solo dall’alto, ci si accorge che la nostra sconclusionata epoca non è frutto del caso ma della volontà di disegnare una nuova forma di convivenza che ha proprio nella disgregazione il suo elemento caratterizzante.

Un filo lega la disarticolazione dell’identità personali, familiari, nazionali, persino religiose agli sradicamenti istituzionali, che restano incomprensibili se non vengono correlati alle tecniche di governo di una società che da nazionale diventa sovranazionale, se non si capisce come funzionino le élite e cosa rappresentino, se non colgono le dinamiche economiche e come tutto questo si regga su meccanismi di condizionamento psicologico e sociologico, oltre che ovviamente mediatico.

Tutto è collegato, perché lo richiede il sistema che continua a governarci, nonostante le recenti crisi, la globalizzazione, che richiede non solo una nuova  politica ed economica ma tende a imporre nuovi parametri culturali e valoriali, che disgregano l’esistente per omologare popoli e civiltà in uno stile di vita unificato, che si proclama democratica ma, a ben vedere, sottrae poteri al popolo. Con conseguenze gravi.

Fino alla caduta del Muro di Berlino la società occidentale brillava perché i pesi e i contrappesi funzionavano, le istituzioni nazionali erano sovrane, le tensioni venivano riassorbite bilanciando capitalismo e istanze sociali, affermazione dell’individuo e interessi della collettività.

C’era una coerenza tra l’ideologia (ovvero la democrazia), la realtà (le società occidentali) e la propaganda. Non era certo un mondo perfetto, come sappiamo, ma era autentico. E vincente. Poi è arrivata la globalizzazione.

Ed è iniziata l’era degli squilibri politici, economici, sociali e identitari. Con un paradosso: per imporre la globalizzazione, le élite globaliste, che ancora oggi determinano il nostro futuro, si sono avvalse anche delle tecniche di manipolazione elaborate dalla Cia e soprattutto dal Kgb durante la Guerra fredda culturale.

L’ombra degli strateghi di Mosca

L’apertura degli archivi dell’intelligence e le testimonianze degli agenti segreti dell’epoca permettono di ricostruire quelle tecniche, che abbia abbinavano comunicazione e psicologia sociale, e in cui l’Unione sovietica era molto più efficiente rispetto agli Stati Uniti.

La storia non più segreta della Guerra fredda culturale dimostra come gli strateghi di Mosca fossero riusciti a elaborare strategie di manipolazione sociale volte a disgregare le società e a favorire il cambio di governo e, in ultima analisi, di regime.

Sapevano che il cambiamento si realizza rimettendo in discussione i pilastri morali e civili della società mentre si sollevano sospetti e malumori sulla classe dirigente, dipingendola come corrotta, inetta, reclamando a gran voce un cambiamento per un paese migliore e in nome di altri ideali.

Quando questo accade le vecchie generazioni perdono progressivamente la fiducia dei cittadini, dubitano di loro stessi; sorpresi e scioccati dagli attacchi, si dividono, smarriscono la voglia di reagire.

Se una nazione piomba nello smarrimento, perdendo la battaglia delle percezioni e smette di credere nei propri valori, diventando docile, finisce per cedere e dunque viene facilmente indotta a cambiare le proprie credenze e a sostituire i propri capisaldi etici, civili, identitari. Non riscontrate similitudini con il processo che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni?

Cultura cattolica soppiantata

Conoscendo le tecniche del Kgb ci si accorge di come il conformismo culturale e mediatico di oggi sia paradossalmente “figlio” di quell’epoca e delle teorie elaborate da Gramsci. Nel mio nuovo saggio spiego per quale ragione la cultura cattolica, un tempo prevalente in un Paese profondamente cristiano come l’Italia, sia stata soppiantata negli anni Cinquanta da quella marxista, che finì per ammantare con diverse gradazioni di colore, dal rosa al rosso, il mondo dei media, quello della cultura, della scuola e delle università. 

E come sia stato possibile che i giornalisti formatisi in quell’epoca, cresciuti nella cultura dell’anti-sistema, siano diventati oggi più strenui guardiani dell’attuale sistema, senza rinunciare alla propria iconica appartenenza alla sinistra.

Le loro logiche sono rimaste quelle della peggiore cultura marxista. che non contempla un confronto aperto e costruttivo con chi la pensa diversamente ma conduce all’estromissione di chi non è allineato e sfocia, inevitabilmente, nell’attuale, opprimente conformismo della stampa mainstream.

Il che è paradossale e significativo: Gramsci, che elaborò la teoria dell’egemonia culturale e sapeva quanto importante fosse controllare gli intellettuali, se fosse ancora in vita sarebbe verosimilmente inorridito. Eppure proprio l’omologazione della cultura e dei media attuata con successo dal Kgb, ispirandosi alle teorie del filosofo italiano, oggi serve a difendere e a promuovere la globalizzazione, certificando l’importanza delle tecniche di condizionamento delle società. Tecniche che sono al contempo palesi e occulte. Esu cui si impernia il sistema (in)visibile in cui siamo immersi.

(*) Giornalista, già presidente della Rai

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