La fiducia in Dio, condizione necessaria per la lotta

Nuova Italia. Accademia Adriatica di filosofia 3 Giugno 2021 

 La fiducia in Dio, condizione necessaria per la lotta. Tra divina Provvidenza e il “Marchio di Caino”: chi di noi non ha fatto l’amara esperienza della fiducia tradita? La “supersperanza” fiducia eroica che ha radici nella fede di Francesco Lamendola               

di Francesco Lamendola 

Ci aspettano tempi terribili, come cristiani e come esseri umani; ci aspetta il tempo della lotta a fondo, senza quartiere, per la vita e per la morte, sia in senso fisico che spirituale. Un potere immensamente malvagio sta cercando di distruggere l’umanità e di trasformare i pochi sopravvissuti, il cui numero è già stato deciso da tempo, in esseri non più umani, ma transumani, vale a dire in giocattoli artificiali telecomandati, destinati a fungere da moderni schiavi al servizio dei Padroni Universali.

La fede in Dio (Lorenzo Bartolini)

In questa lotta avremo bisogno di tutto il nostro coraggio, di tutta la nostra lucidità e di tutta la nostra speranza. Ma non basterà ancora: avremo bisogno, più che mai, di un aiuto soprannaturale, vale a dire della grazia, senza la quale verremo miseramente sconfitti e ridotti alla più completa impotenza. Avremo perciò bisogno di tutta la nostra fede; e oltre alla fede, avremo bisogno di riscoprire un sentimento tipicamente umano, ma potenziato ed elevato alle altezze della vita divina, ossia la fiducia. Fiducia incrollabile in Dio Padre, fiducia in Gesù Cristo, fiducia nello Spirito Santo; fiducia in Maria Santissima, fiducia negli Angeli, fiducia nei Santi; fiducia nella Chiesa (quella vera, quella incrollabile e indefettibile, non nella trista congrega post-conciliare), nel suo magistero perenne, nella sua Tradizione.

Avere fiducia in una persona amica, quando si è angustiati e tribolati, è una grandissima consolazione; ebbene, ora più che mai abbiamo bisogno di riscoprire la dimensione della fiducia che, salda come una roccia, ci consentirà di restare ben ancorati alla Verità e alla vita di grazia, senza lasciarci smuovere dai venti rabbiosi e infuocati della tempesta infernale che sta per abbattersi su di noi e che vorrebbero strapparci da noi stessi, dalla nostra fede, dai nostri valori, da tutto ciò che di bello, buono e vero ha costituito il fulcro della nostra esistenza e di quella delle passate generazioni.

Colpendo la fede in Cristo che è in noi, essi vogliono colpire anche la nostra stessa umanità: infatti che cosa è mai l’uomo, separato dal suo Creatore e spogliato della luce della grazia che illumina la sua vita? Nulla, se non un fuscello di paglia che il vento trasporta qua e là, a casaccio, senza una meta, senza un perché. I malvagi esecutori di questo assalto diabolico mirano a distruggere in noi la nostra stessa umanità: perché non è veramente umano se non chi riconosce di essere creatura di Dio e di non poter vivere in maniera piena, armoniosa, sensata e serena, se non per mezzo di Lui, procedendo verso di Lui e domandando costantemente, con la preghiera, il Suo consiglio e il Suo sostegno.

Scrive Padre Thomas de Saint Laurent ne Il libro della fiducia (con presentazione di Mons. Angelo Comastri; Ed. Luci sull’Est, 2005, pp. 21-24): Con quella concisione che reca l’impronta del suo genio, san Tommaso definisce la fiducia: «una speranza fortificata da una solida convinzione» («est enim fiducia spes roborata ex aliqua firma opinione», Summa Theol., II-IIae, q. 129,art 6 ad 3). Affermazione profonda, che ci limiteremo a commentare in questo capitolo.              Spostiamo attentamente i termini impiegati dal Dottore Angelico. La fiducia, egli scrive, è “una speranza”; non la speranza ordinaria, comune a tutti i fedeli; una caratteristica specifica la distingue: è una speranza fortificata.

Si noti bene: la differenza non è di natura, ma solo di grado di intensità. Le luci incerte dell’alba e quelle abbaglianti del sole a mezzogiorno fanno parte della stessa giornata. Così, la fiducia e la speranza appartengono alla stessa virtù: l’una non è che il pieno sviluppo dell’altra.

La speranza comune vien persa con la disperazione; essa può tollerare, tuttavia, una certa inquietudine. Ma quando raggiunge quella perfezione che le fa mutare il nome in quello di “fiducia”, la sua sensibilità diviene delicata. Essa non sopporta più l’esitazione, per quanto leggera la s’immagini. Il minimo dubbio la diminuirebbe e la ricondurrebbe al livello della semplice speranza.

Il Regale Profeta sceglieva con cura le sue espressioni, quando chiamava la fiducia “una supersperanza” (“in verba tua supersperavi”, Ps. CXVIII, 43): si tratta infatti di una virtù elevata al massimo della sua intensità. E il padre Saint-Jure, uno dei più stimati autori spirituali del secolo XVII, vedeva giustamente in essa una speranza “straordinaria ed eroica” (“De la connaissance et de l’amour de Jésus- Christ, Guyot, 1850, t. III, p. 3).

La fiducia non è dunque un fiore comune. Essa cresce sulle cime e non si lascia cogliere che dai generosi. (…) Quale forza sovrana fortifica la speranza, al punto di renderla inespugnabile agli assalti delle avversità?… La fede.

L’anima fiduciosa conserva nella sua memoria le promesse del Padre celeste; ella le medita profondamente. Sa che Dio non può mancare alla sua parola e da qui trae la sua imperturbabile sicurezza. Se il pericolo la minaccia, la circonda, perfino la abbatte, essa conserva sempre la sua serenità. Malgrado l’imminenza del pericolo, ripete la parola del Salmista: «Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; che mai posso temere? Il Signore protegge la mia vita; che mai mi farà tremare?» («Dominus illuminatio mea et salus mea; quem timebo? Dominus vitae meae; quo trepidabo?» (Ps. 26,1).

Esistono, tra la fede e la fiducia, intimi rapporti, strettissimi legami di parentela. Per usare l’espresione di un teologo moderno, è nella fede che va trovata “la causa e la radice della fiducia” (C. Pesch S. J:,”Praelectiones dogmaticae”, Herder, 1909-25, vol. VII, p. 51, nota 2). Ora, quanto più la radice affonda nella terra, tanto più da essa trae il suo alimento; più vigoroso crescerà lo stelo, più opulenta sarà la fioritura. Così la nostra fiducia si sviluppa nella misura in cui diviene più profonda la nostra fede.

 Le Sacre Scritture riconoscono la relazione che unisce le due virtù. La stessa parola “fides” non designa forse l’una e l’altra, a seconda dei casi, nella penna degli scrittori sacri? (…)

La fiducia, scrive il padre Saint-Jure, è «ferma, stabile e costante, in un grado così eminente che nulla al mondo può, non dico abbatterla, ma neppure farla vacillare» (Saun-Jure, op. XXX, cit., III, p. 3).

Immaginate gli eccessi più angosciosi nell’ordine temporale, le difficoltà più insormontabili nell’ordine spirituale: esse non altereranno la pace dell’anima fiduciosa. Catastrofi impreviste potranno ammucchiare attorno ad essa le rovine della sua felicità; quest’anima, più padrona di se stessa del saggio antico, rimarrà imperterrita: “Impavidum furient ruinae” (Orazio, “Odi”, III, 3).

Essa si rivolge semplicemente a Nostro Signore; in Lui si appoggerà con tanta maggior sicurezza, quanto più essa si sentirà privata di ogni aiuto umano. Pregherà con ardore più vibrante; e nelle tenebre della prova proseguirà il suo cammino, aspettando in silenzio l’ora di Dio. Una tale fiducia è rara, senza dubbio. Ma se essa non raggiunge questo minimo di perfezione, non merita il nome di fiducia.

 Ecco una bella pagina di teologia morale: chiara, pulita, semplice e profonda. Uno sguardo agli autori citati ci rassicura pienamente: sono tutti della buona, vecchia scuola di sempre; da ciascuno di essi traspare la sana, vera cultura religiosa dei buoni sacerdoti di un tempo, indifferenti alle lodi del mondo e preoccupati unicamente di piacere a Dio e di fortificarsi, allenarsi, perfezionarsi sulla via della santificazione. Colmi di una tale scienza divina, essi erano anche dei modelli luminosi per gli altri, per i fedeli: la luce della loro fede splendeva negli atti della loro vita e perfino nei tratti del loro volto, nella luce del loro sguardo: calma, pacata, rasserenata e rasserenante.

Chi vede nello sguardo altrui l’agitazione, l’inquietudine, il ribollire delle passioni in qualche modo dissimulate, capisce al volo di esser di fronte a un’anima che è ancora molto, molto lontana dalla pace del Signore, dalla pace che solo la grazia divina può concedere a chi la cerca e la domanda con cuore puro. Perché questo il mondo cerca nelle anime consacrate: anche se non lo sa. Non cerca le rivendicazioni sociali, la lotta di classe, l’ambientalismo estremo; non cerca rancorose Lettere alle professoresse o cortei dietro la Greta Thunberg del momento, specchietti per le allodole dei quali si serve il potere finché ne ha bisogno, per poi gettarli via e sostituirli con altri. Cerca la pace di Dio, la serenità che viene da Dio, la fiducia incrollabile in Dio.

Quale errore catastrofico è stato quello di andare incontro al mondo, di voler dialogare col mondo, e in ultima analisi di voler piacere al mondo, credendo così (se pure qualcuno l’ha creduto per davvero) di guadagnare il mondo alla buona causa. Niente affatto. Il mondo lo si guadagna opponendosi ad esso, indicandogli con fermezza i suoi errori, e in particolare il suo peccato fondamentale: la pretesa di autosufficienza, l’incredibile arroganza di voler fare senza Dio, o addirittura contro Dio, pur avendo ricevuto ogni cosa da Lui, a cominciare dalla vita stessa, e proseguendo con la ragione e la volontà, doni realmente divini, che innalzano l’uomo molto al di sopra di tutte le creature.

Dunque, la fiducia. Chi di noi non ha fatto l’amara esperienza della fiducia tradita? Chi non ha provato la cocente delusione di vedersi ingannato e allontanato dalle persone più care, dall’amico più fidato, trovandosi a meditare mestamene sulla precarietà e l’instabilità delle basi stesse della condizione umana, dovuta alle conseguenze del Peccato di Adamo?

Avevamo creduto di poter scommettere sulla lealtà e sulla fedeltà di quella persona, alla quale avevamo aperto il nostro cuore fin nelle pieghe più intime: ed ecco che quella persona si è rivelata ben diversamente da come ci appariva, fredda, calcolatrice, egoista, preoccupata solo del proprio interesse, e perfino capace di servirsi delle nostre confidenze per metterci in uno stato di soggezione psicologica e morale, forse persino per ricattarci. Che miseria, che tristezza. Eppure, la parte più nobile di noi sente tuttora che non avevamo sbagliato nel donare la fiducia a qualcuno, ma che avevamo solamente sbagliato nell’individuare quel qualcuno.

E poi, riflettendo meglio, arriviamo a comprendere che qualunque essere umano è capace di deludere, di tradire la fiducia riposta in lui: perché noi stessi siamo fatti in tal modo, noi che ci lamentiamo di quel che abbiamo subito, ma che forse, a nostra volta, ci siamo comportati allo stesso modo con qualcun altro. E se pure non l’abbiamo fatto, saremmo capaci di farlo, qualora si presentassero le circostanze adatte: perché questo ci dice un infallibile intuito, che in ciascun uomo è impresso il marchio di Caino, e tutti, noi compresi, non siamo altro che creature egoiste, infide, mutevoli, a meno che la luce della grazia discenda su di noi e ci purifichi dalle nostre cattive inclinazioni.

A volte, per farlo, la grazia si serve delle vie in apparenza più strane. Può accadere, ad esempio, che ci cauterizzi a fuoco, sulla carne viva, proprio per immunizzarci una volta per sempre dalle pericolose illusioni della nostra umanità, chiusa in se stessa e compiaciuta di se stessa. Può darsi che quella tremenda delusione che abbiamo ricevuto dal comportamento dell’amico, sia stata in qualche modo predisposta, o comunque permessa, dalla divina Provvidenza, proprio per aprirci gli occhi e farci comprendere che è sbagliato avere totalmente fiducia in un altro essere umano, perché la fiducia totale, assoluta, incondizionata, va riservata solo a Dio.

Quando si giunge a questa conclusione, quando la si introietta, quando essa diviene parte integrante del nostro organismo interiore, ecco che la benda finalmente ci cade dagli occhi, e il mondo ci appare nella giusta prospettiva. Allora, e solo allora, si comincia a mettere in pratica nella propria vita il motto: spera soltanto in Dio, abbi fiducia in Lui solo. Sempre il padre Thomnas de Saint Laurent racconta l’episodio della vita di San Martin, allorché, durante un viaggio, questi cadde nelle mani dei briganti.

Solo, abbandonato alla loro mercé, egli non disperò mai, non perse la fiducia in Dio. Improvvisamente, in maniera inspiegabile i banditi mutarono idea al suo riguardo e lo rimisero in libertà; ed egli poté proseguire il viaggio e giungere tranquillamente a destinazione. Saputo della sua avventura, i fedeli gli si raccolsero intorno per sapere se avesse avuto paura. Al che il santo vescovo rispose: No, nessun timore. Sapevo che l’aiuto di Dio sarebbe giunto con tanta maggiore prontezza, quanto più lontana era ogni possibilità di ricevere un aiuto umano.

Tutti i santi sono stati sempre ispirati da questa ferma fiducia nell’aiuto divino, e in esso soltanto. L’aiuto umano, quando arriva, non è che uno strumento della divina Provvidenza. Quante volte a san Giovanni Bosco, che rischiava di non aver più di che sfamare i suoi ragazzi e di chiudere il suo istituto giunse all’ultimo momento un soccorso inaspettato.

È il premio che Dio concede a chi confida in Lui. E il segreto è uno solo: chi fa il bene, fa per ciò stesso la santa volontà di Dio; e Lui lo aiuta a realizzarla.