Weiler, il giurista ebreo che ama Benedetto XVI. «Ha il carisma della ragione»

Joseph WeilerTempi, 7 giugno 2012

Ieri all’Università Cattolica di Milano l’incontro con il giurista e don Stefano Alberto sui discorsi di papa Ratzinger. Da Ratisbona al Bundestag, parole per uscire dal bunker positivista.

di Benedetta Frigerio

«Come riconoscere ciò che è giusto? Si può ancora usare la ragione? Possono essere ancora accolte le domande di senso che ogni uomo ha nel cuore?». Sono le domande cui Papa Benedetto XVI non si stanca di dar voce. Risuonate ieri nell’aula magna dell’Università Cattolica di Milano, in un incontro organizzato dal Centro culturale di Milano.

A ripeterle è stato don Stefano Alberto, docente di teologia dell’ateneo cattolico, che le ha rivolte a un interlocutore di fama internazionale. A rispondergli il giurista ebreo Joseph Weiler, professore della New York University, che ha studiato i discorsi di Papa Benedetto XVI per analizzarli durante l’incontro titolato “Da Regensburg al Bundestag: ripensando Cesare e Dio”. Chiaro il suo giudizio su papa Ratzinger: è un Papa che «ha il carisma della ragione».

«Nel suo discorso al Bundestag – ricorda il teologo – il Papa parla del bunker della ragione positivista in cui ci siamo chiusi. Un bunker dove non esiste il creato, ma solo le cose artificiali costruite dall’uomo. Peccato che all’uomo non basta ciò che produce da sé. Ha bisogno di altro per respirare a pieni polmoni».

Per questo il Pontefice svegliò persino i parlamentari tedeschi sonnecchianti che lo ascoltavano, spiega don Stefano Alberto, «quando inaspettatamente fece riferimento ai Verdi. Affermando che le loro richieste nascevano da un desiderio buono. Quello di aprire le finestre sulla realtà creata. Spiegando che l’ecologia naturale è necessaria per rispettare quella umana».

I discorsi del Pontefice sono dunque comprensibili a tutti. Perché allora tanto astio nei confronti dei cattolici che pretendono di contribuire al raggiungimento del bene comune? Weiler esemplifica: «Se domani viene eletto un governo e le femministe dicono che la nuova formazione non è loro gradita per via del fatto che ci sono poche donne, noi accettiamo tranquillamente la loro critica. E se i verdi fanno lo stesso perché ci sono pochi ambientalisti pure. Quando invece ci sono cattolici che dicono che il governo ha troppi pochi uomini di fede tutti si scandalizzano. Perché?».

Passano almeno dieci secondi di silenzio prima che Weiler risponda così: «Siamo in un mondo dove tutti possono parlare tranne i cattolici. Perché la fede è ormai considerata come qualcosa di incomprensibile e non valido universalmente. Ad aggravare il problema sono poi i molti cristiani che credono lo stesso. Concepiscono la religione cattolica come una regola non dimostrabile a cui obbedire. Una regola che Dio ha dato ad alcuni e che dunque non si può comunicare a tutti».

Weiler ride sottolineando che questo dovrebbe essere vero per lui che è ebreo e per gli islamici. Ma non per un cattolico. «Il Papa, però, sa che non è così e sta combattendo questa idea. Infatti, i suoi discordi affrontano proprio questo tema: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Cosa significa per il Papa dare a Cesare e dare a Dio? La risposta si trova nella concezione di libertà religiosa presente in questi discorsi: «La libertà religiosa è quella che garantisce tutte le altre. Questa è anche la tesi di Giovanni Paolo II. Perché? È un pallino dei cattolici? Non credo. La libertà religiosa è quella duplice “di professare” e “dal professare”.

Il Papa nei suoi discorsi difende la seconda: la libertà dalla religione, ossia di rinnegare Dio. Solo questa salva poi la libertà di profesarla, cioè di aderire liberamente a Dio». Questa posizione dovrebbe essere accolta da tutti secondo Weiler perché libera dal potere ogni uomo, non solo i cattolici. «Ma perché queste parole allora sono rifiutate?». Forse perché il potere preferisce obbligare gli uomini togliendo loro proprio la facoltà di ragionare?

Weiler risponde sottolineando il secondo messaggio del Papa a Ratisbona: «Rompe un tabù irragionevole: “Le religioni non sono tutte uguali”, afferma Benedetto XVI». Il giurista spiega perché questo è considerato un tabù: «Non c’è nulla di male nel dire che due cose sono diverse: io sono ebreo e non mangio il prosciutto diversamente da un cattolico. Io sono anche un po’ invidioso di lui, ma non lo discrimino se ammetto questa diversità oggettiva».

Qui sta la ragione principale per cui il cattolico può parlare a nome di ogni uomo, «mentre io o un islamico no. E non mi sento discriminato per questo. Io, infatti, non mangio il prosciutto e un musulmano nemmeno perché Dio ha detto così. Non c’è spiegazione razionale a questo, semplicemente mi fido di Dio, motivo per cui per me è ragionevole seguirlo ma non per chi non lo riconosce come Padre. Pertanto noi ebrei non imponiamo le nostre regole a tutti».

Con il cristianesimo invece avviene una rivoluzione: «Il cristianesimo distrugge questi precetti. La rivelazione di Dio in Cristo è rivoluzionaria perché dal momento in cui Dio si incarna all’uomo per seguirlo basta seguire la sua ragione. Per il cristiano la morale, come dice San Paolo, è universale perché coincide con quella naturale. Ogni uomo seguendo la sua natura si realizza. Quello che “bisogna fare” nel cristianesimo ha sempre un contenuto ragionevole e quindi comprensibile e valido per tutti».

Il giurista prosegue poi con un altro esempio pregando la platea di non scandalizzarsi: «Se io dico a mio figlio che l’omosessualità è sbagliata gli posso dire che è così perché lo dice Dio. La mia ragione non è ragionevole per tutti. Un cristiano invece si riferisce alla sua natura umana che gli dice che è possibile compiersi solo nel rapporto con l’altro sesso perché siamo fatti oggettivamente così.

Questo è comprensibile a tutti quindi il cristiano può e deve dirlo. Ha la responsabilità di illuminare tutti. Come Cristo ha fatto con lui rivelandogli chi è». Così Weiler risponde al rifiuto moderno dei cristiani, attaccati e sconfessati come irrazionali: «Se parlo io non do fastidio a nessuno, mente il loro parlare giudica anche gli altri avendo un contenuto universale».

Per questo il Papa prosegue dicendo quello che per ogni costituzionalista dovrebbe essere normale: «La maggioranza non basta per garantire la democrazia. Perché non si trasformi in dittatura è necessario che non usurpi i diritti universalmente riconosciuti come tali da tutti gli uomini». Ma come si fa a riconoscerli come validi per tutti?

«Faccio un esempio. Dio stava per distruggere Sodoma e Gomorra perché in queste città c’erano dei farabutti. Abramo si ribella perché ci sono anche dei giusti e dice a Dio: “E se ci fossero 30 giusti distruggeresti lo stesso la città? E ce ne fossero 20? E 10?…Dio sorride perché Abramo ha passato la prova. Qual’è la prova? Se Dio è Dio non può essere ingiusto. Questo ad Abramo non l’ha detto Dio. Questo senso di giustizia è dentro il suo cuore. Cosa significa? Che tutti gli uomini possono capire che se uno è giusto non deve pagare e se uno uccide sì. Non è Dio a dircelo. Tutti siamo accomunati da una legge dentro di noi che ci fa concordare su questo. Una legge a cui Dio stesso si sottopone».

Cosa intendono allora i cristiani quando dicono che ogni autorità è data da Dio? «Ogni autorità ha dentro questo principio che accomuna ogni uomo e che per il cristiano è dato da Dio. Se il governante lo segue fa un servizio a tutte le creature insieme alla volontà del creatore».

La ricchezza degli spunti e delle suggestioni del professore fanno concludere don Stefano Alberto con un ringraziamento e un auspicio: «Ringrazio il professore che ci ricorda quanto disse il Pontefice nel suo discorso mai pronunciato alla sapienza di Roma in cui si spiega la necessaria responsabilità e il diritto dei cristiani a usare la ragione in un processo di argomentazione sensibile alla verità».

Non dobbiamo partire da tesi già precostituite per imporle, chiosa don Stefano Alberto, «come ormai sempre più spesso accade a tanti laici che si dicono tali. Ci vuole invece una passione per la conoscenza della realtà. Vincendo il dualismo che tanti cattolici vivono o perché pensano che la religione sia irragionevole o per pigrizia.

È urgente tornare a rivendicare la propria cittadinanza pubblica, da qui l’insistenza del Pontefice. E per farlo occorre avere un’esperienza di fede non consolatoria o vissuta come un rifugio, ma che parta dell’incontro rinnovato con Cristo vivente nella Chiesa, che illumina e valorizza la ragione e la libertà umane.

Solo se c’è questa fede l’uomo può essere libero. Per questo il Papa ripete: “Ubi fides ibi libertas”».