Referendum, un buco nell’acqua

acquaDal sito 1channel.it 26 giugno 2012

di Marco Respinti

Da un anno, uno spettro tormenta gl’italiani. L’anno scorso, per l’esattezza il 12 e 13 giugno 2011, si votò per impedire “la privatizzazione dell’acqua”, e molti hanno la sensazione che il responso di quelle urne abbia esorcizzando il mostro solo temporaneamente.

In verità, in Italia nessuno ha mai voluto e nemmeno pensato di “privatizzare l’acqua” (e infatti non si votò per questo). Tra l’altro, molto semplicemente perché non si può. In Italia l’acqua è infatti di proprietà dello Stato dal 1903, grazie a quella norma di legge che si chiama Testo Unico sulle acque, confermato da successive norme del 1994 e del 2006. L’acqua non se la può cioè affatto comperare il miglior offerente.

Discorso invece diversissimo è quello che riguarda lo Stato e il suo presunto diritto a un monopolio impenetrabile anche della gestione dell’acqua. Magari nell’illusione che solo esso abbia titolo, diritto e merito nel gestire servizi pubblici come quello relativo all’acqua.

Ora, la grande confusione che da tempo regna sovrana nelle teste di tutti è che dice relazione a due paroline “magiche, cioè “pubblico” e “privato”, usate una contro l’altra come se fossero l’una il contrario speculare dell’altra. Ma non è così.

“Pubblico” è infatti ciò che serve tutti, indipendentemente da chi lo gestisce o lo finanzia, fosse anche un soggetto privato; anzitutto e soprattutto perché “pubblico” si riferisce a chi di un servizio fruisce, non a chi lo eroga. A rigore, dunque, occorrerebbe parla di gestione statale o privata di un tal servizio pubblico.

In secondo luogo, è un falso mito quello di dire che “privatizzare l’acqua” (cioè la sua gestione) significa mettersi di punto in bianco a far pagare ai cittadini un servizio che – “pubblico” – oggi non si pagherebbe affatto. Basta infatti ripassare un attimo la nota delle proprie spese condominiali per rendersi immediatamente conto del fatto che l’acqua già la paghiamo, e pure profumatamente.

È dunque immorale chiedersi se l’acqua la si può pagare meno, e magari domandarsi pure a chi è meglio pagarla, a fronte di un servizio essenziale di cui legittimamente il cittadino deve valutare scrupolosamente la qualità (che in molti, troppi casi italiani manca invece scandalosamente)?

Ma i referendum dell’anno scorso impedirono di botto a cittadini italiani di farsi queste domande più che lecite.

Si dice infatti, con enfasi mal riposta, che nel mondo l’acqua già scarseggia oggi e che quindi presto non ve ne sarà più del tutto; e che quindi “privatizzarla” vorrebbe dire consegnare il potere assoluto di vita e di morte nelle mani di “pochi” speculatori. Ma, ancora una volta, non è affatto così.

Stando alle Nazioni Unite, infatti, il fabbisogno medio di acqua di una persona è come minimo di 50-100 litri al giorno per bere, lavarsi, cucinare e disporre di servizi igienico-sanitari adeguati. A fronte di ciò, nei Paesi dell’Unione Europea il consumo idrico giornaliero pro capite si aggira sui 600 litri, mentre quei simpaticoni degli statunitensi, che fan sempre le cose in grande, ne adoperano mediamente 1400. Ebbene, oggi la cara vecchia Terra di litri di acqua a testa ne mette a disposizione 5700. Di che stiamo parlando, dunque?

Come non vedere dunque che se per esempio il Kuwait dispone di soli 30 litri di acqua al giorno per cittadino (mentre un Paese come l’Islanda ne ha disposizione circa 2 milioni il dì per ognuno), quello stesso Kuwait assetato si è ingegnato nel desalinizzare l’acqua marina, laddove zone di per sé ricchissime di acqua, come per esempio la regione africana dei Grandi laghi, patiscono la sete?

La questione vera infatti non è la mancanza di acqua. Ma per prima cosa la sua assai dispari distribuzione sul globo, cosa però cui il geniale sviluppo tecnologico di cui l’uomo è capace può ovviare egregiamente; in secondo luogo la difficoltà di accesso a un bene primario che non scarseggia affatto come viene raccontato.

Ma questo sposta l’attenzione sul punto focale: che a impedire l’accesso all’acqua sono governi, bande armate e potenti senza scrupoli, i quali per esempio nell’Africa subsahariana fanno quotidianamente il bello e il cattivo tempo sulla pelle dei popoli. E questo è un problema squisitamente politico, non idrogeologico. La grancassa propagandistica del facile conformismo non vuole però affatto che noi ci si pensi su seriamente.