“Ratzinger aveva ragione. L’Occidente ritrovi se stesso o cadrà per sempre”

Newsletter di Giulio Meotti 15 Febbraio 2021  

Per gli abbonati alla newsletter un brano del libro di Eugenio Capozzi. “L’odio per l’Occidente e un relativismo radicale, condensato nei precetti politicamente corretti, ci porterà alla nuova Babele”             

Solo per gli abbonati alla newsletter un brano del nuovo libro di Eugenio CapozziL’autodistruzione dell’Occidente. Dall’umanesimo cristiano alla dittatura del relativismo”, pubblicato dalla casa editrice Giubilei Regnani. Capozzi è ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” e ha già scritto “Politicamente corretto” (Marsilio). Il suo nuovo libro è importante per navigare nel caos culturale contemporaneo, comprendere come ci siamo finiti e come uscirne.     

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C’è un’avversione radicale degli Occidentali per la propria storia, un “odio di sé” – come fu definito quasi vent’anni fa da Joseph Ratzinger – derivato da un senso di colpa indotto: figlio di forze culturali e spirituali autodistruttive operanti da tempi molto lontani, e venute prepotentemente alla luce come una vera e propria “malattia autoimmune” contrastata solo dall’azione di preziosi “modulatori di immunità”, a lungo somministrati.

Proprio a partire dall’avvento della modernità, infatti, qualcosa si è infranto nell’equilibrio culturale che la civiltà europea aveva raggiunto. Alcuni aspetti della visione del mondo umanistica e razionalista che essa aveva prodotto sono ancora visibili, ma altri si sono invece indeboliti, logorati, consunti, fino a collassare.

La secolarizzazione radicale, il culto della potenza slegato da limiti, lo scientismo e le ideologie hanno corroso l’umanesimo occidentale fino a dissolverlo in un relativismo radicale, nel quale la stessa nozione di uomo perde significato. Un relativismo che lascia il mondo globalizzato privo di un tessuto etico-politico comune, e che può essere combattuto soltanto da una consapevole riconnessione della civiltà occidentale alle proprie radici religiose, filosofiche ed etico-politiche.

Si tratta, per l’Occidente e per i princìpi sorti nella sua lunga storia, di una questione di vita o di morte (…) Nei due secoli caratterizzati dal dominio delle ideologie, gli argini culturali contro l’iper-umanesimo cominciano a mostrare segni evidenti di cedimento, accusando colpi sempre più pesanti da parte di concezioni inconciliabili con la tradizione umanistica sul piano etico e politico, e consumando sempre più il patrimonio religioso che ne stava alla base. Fino a toccare il fondo con l’era dei totalitarismi, nel quale per un certo periodo parve che tutta la civiltà euro-occidentale potesse essere inghiottita, sostituita da tirannie di estensione e profondità mai vista nella storia, da “città del Dio ateo”, controllate in ogni recondito angolo da “Grandi Fratelli”.

Dal crollo dei totalitarismi sembra uscire un Occidente rinvigorito, avviato ancora una volta – nei decenni della Golden Age sotto l’egemonia di Washington – a rappresentare un modello universalistico di libertà e uguaglianza valido per il mondo intero. Ma nonostante la sua decisiva vittoria prima contro i fascismi, poi contro il comunismo sovietico, la civiltà occidentale era stata per molti versi ormai svuotata dall’interno: la corrosione iper- e sub-umanista l’ha privata in larga parte delle sue energie spirituali.

Tale svuotamento viene per qualche tempo occultato, ma non attutito, dal “boom” economico, dalle società del benessere diffuso, del welfare, dei consumi, del tempo libero, dei mass media. Ma proprio la “società opulenta”, le sue nuove classi dirigenti e la sua nuova cultura di massa assesteranno presto alla tradizione umanistica occidentale il colpo più terribile, e, più ancora dei totalitarismi, potenzialmente fatale.

L’avvento, a partire dagli anni Sessanta, del progressismo “diversitario” – adottato poi come filosofia ufficiale dalle classi dominanti emerse con la trasformazione digitale del capitalismo e la globalizzazione – impone come cultura egemone delle società industrializzate occidentali l’odio per la tradizione dell’Occidente e un relativismo radicale, condensato nei precetti del “politicamente corretto”, disfacendo il tessuto etico-politico delle democrazie liberali. Il tutto mentre, proprio con i processi di globalizzazione, l’Occidente si scopre rapidamente ridimensionato sotto il profilo economico, di potenza, demografico, nel nuovo quadro globale caratterizzato non dal sincretismo multiculturale sognato dagli ideologi diversitari, ma da un duro scontro tra civiltà, in cui gli antagonisti degli occidentali mostrano ben altra compattezza intorno ai princìpi fondanti della loro convivenza e alla loro identità condivisa, e sempre più spesso promuovono dottrine politiche esplicitamente, specularmente contrapposte, ostili, aggressive verso ogni principio dell’umanesimo occidentale: come nel caso dell’islam integralista o del regime dittatoriale cinese.

Il relativismo diversitario ha ripreso, in una forma ancor più radicale rispetto alle ideologie che lo hanno preceduto, la demolizione della concezione ebraico-cristiana dell’uomo. Portando alle estreme conseguenze la cancellazione dei fondamenti religiosi del costituzionalismo, del liberalismo e della democrazia esso ha promosso il ritorno a una concezione tribale e castale dei diritti soggettivi, ha legittimato su quella base la violazione del diritto alla vita, ha degradato l’essere umano a una condizione pari a quella animale, a “ospite” non essenziale dell’“ecosistema”.

Ha amplificato a dismisura l’abisso tra élites ultra-borghesi persuase di poter ambire all’onnipotenza e masse destinate a fungere da “materiale” per i loro progetti di dominio. Ne è derivata, tra l’altro, la sempre più esplicita negazione da parte dei ceti intellettuali occidentali, dell’uguaglianza democratica e della libertà di espressione, agitata dalla sistematica delegittimazione dei dissidenti da parte dai media egemonizzati dalla dottrina politicalcorrettista, incaricati di “rieducare” le masse a pensare secondo i canoni di un “progresso” coincidente con l’esaltazione del relativismo e con gli ideali di vita “fluida” della nuova classe dominante.

E ne è derivata persino, in tempi recenti, l’aperta teorizzazione di un regime di salute pubblica, che autorizza in nome della “nuda vita” la compressione di ogni libertà fondamentale degli individui e della vita sociale e politica, realizzata in occasione della pandemia di Covid-19 in molti paesi occidentali.

Una conversione di 180 gradi dall’edonismo estremo all’autoritarismo rigorista che è apparentemente paradossale, ma in realtà si colloca coerentemente all’interno di una visione del mondo integralmente relativista. Che, come già avvertiva Hannah Arendt a proposito delle ideologie totalitarie, subordina completamente il principio della verità a favore della propaganda. (…)

Affinché si verifichi una rinascenza dell’Occidente in grado di produrre effetti pratici tangibili sarebbe necessaria una autentica rivoluzione religiosa, etico-politica, socio-culturale: un Great Awakening dai tratti profetici, come quello che si verificò in due ondate nelle colonie nordamericane nel corso del XVIII secolo.

Un’onda d’urto che con la sua energia infrangesse gli argini dei conformismi ideologici, coinvolgendo tutti i campi della vita delle società, vivificandoli, restituendo a essi quel senso che nella deriva gnostica, biopolitica, scientista, ideologica hanno perso.

O l’Occidente vive – rivive – di quel nucleo religioso che funge da garanzia di libertà e dignità anche per i laici, impossibilitati a proporne uno di pari ampiezza e profondità, o diviene impossibile qualsiasi fondazione universalistica delle norme morali e giuridiche, e dei princìpi etico-politici.

L’Occidente, privato della sua ragion d’essere originaria, cade per sempre. Trascinando anche le altre civiltà, private del suo contributo a una razionalità condivisa, nella nuova Babele di una conflittualità radicale, aporetica, insolubile.

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